Don Ottorino amava di tanto in tanto trascorrere qualche giornata nella tranquillità del villaggio San Gaetano di Bosco di Tretto (VI), abitualmente con qualche confratello o con qualche gruppo.
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1. Sia lodato Gesù Cristo! Mi rivolgo a coloro che sono venuti insieme con me a Bosco per dire che questa mattina, non avendo potuto per vari motivi preparare la meditazione, mi permetterò di ripetere quella che abbiamo fatto lassù ieri mattina. Se qualcuno non volesse risentirla, può uscire e fare meditazione per conto proprio, mentre io mi giro dall’altra parte e così non so nemmeno chi esce. Prima di iniziare la meditazione vorrei fare una domanda a me e a voi: questa mattina, appena alzati e durante la Messa, ci siamo incontrati con il Signore? Quando siamo entrati in chiesa per ascoltare o per celebrare la Santa Messa, abbiamo fatto quell’atto di contrizione che deve precedere la nostra salita all’altare? Nella Messa ci siamo veramente incontrati con lui, come la Samaritana, per attingere ‘l’acqua viva’ che ci è necessaria per camminare durante la giornata? Abbiamo fatto firmare da lui il programma apostolico? Anche coloro che vanno a scuola devono seguire un programma, e per noi il programma è sempre apostolico. Abbiamo fatto firmare da lui il programma della nostra giornata? Per un istante, guardando il tabernacolo, domandiamocelo, e se non l’abbiamo fatto, mettiamoci subito in contatto con lui e chiediamogli la grazia che ogni nostra Messa sia veramente preceduta da un atto di contrizione, sia un incontro con lui e una programmazione del nostro lavoro apostolico.EUCARISTIA S.Messa
GRAZIA
PREGHIERA unione personale con Dio
PECCATO pentimento
SOCIETÀ
scuola
EUCARISTIA tabernacolo
Don Ottorino inizia a raccontare in maniera abbastanza scherzosa, che continuerà per tutto il racconto, l’esperienza di alcuni religiosi della Casa dell’Immacolata a Milano per la conoscenza pratica di alcune macchine per la legatoria che si stava organizzando in forma industriale.
Nardini è la marca della più famosa grappa distillata a Bassano del Grappa (VI) e che è senza dubbio una delle più prestigiose grappe italiane in assoluto.
Il riferimento è a don Pietro De Marchi, che era un po’ preso di mira negli scherzi per il suo modo di ‘interpretare’ il codice della strada e di guidare l’auto.
Don Ottorino scherza nell’esempio in cui nomina don Matteo Pinton, che all’epoca insegnava nella Casa dell’Immacolata dopo gli studi di filosofia presso l’Università Gregoriana di Roma, e in particolare sul fatto che aveva il dito mignolo di una mano particolarmente piegato.
Si trattava della macchina che aveva usato per molto tempo don Ottorino, il cui motore aveva un carburatore a doppio corpo: in caso di bisogno, premendo l’acceleratore al massimo, entrava in funzione il secondo carburatore che consentiva al motore di erogare maggiore potenza.
Nell’esempio don Ottorino si riferisce agli anni in cui l’officina elettromeccanica dell’Istituto San Gaetano di Vicenza produceva motori elettrici che venivano venduti alle industrie.
MI251,2 [13-12-1968]
2. Mi pare che non molto tempo fa tre inviati speciali della Casa dell’Immacolata si siano portati a Milano per visitare alcune legatorie, per dare poi dei consigli tecnici alla FAG che ne avevano bisogno per il perfezionamento delle macchine che essa smercia. Quando sono partiti per Milano - data la loro perizia la FAG ha offerto loro a Milano vitto e alloggio - hanno chiesto un po’ di denaro, o meglio glielo abbiamo offerto noi, perché loro non l’avevano nemmeno chiesto; l’avevo dato prima io. È chiaro che, prima che partissero per Milano, non abbiamo telefonato alla stazione per chiedere il prezzo del biglietto. Supponiamo che costasse tre o quattromila lire per l'andata e il ritorno. Forse loro avranno viaggiato in vagone letto... non lo so, comunque non lo abbiamo chiesto. Supponiamo che il prezzo del biglietto fosse di cinquemila lire: tre per cinque fanno quindicimila lire. Aggiungete il prezzo del tram per arrivare alla FAG, e poi... Non abbiamo misurato fino al centesimo: no, no; si è dato il denaro con una certa larghezza, perché poteva capitare, come succede specialmente ai più anziani, che arrivati a Milano si sentissero il capogiro e, perciò, avessero bisogno di ricorrere a Nardini , eh! Poteva darsi che a Milano capitasse una necessità, qualche necessità improvvisa... Infatti, quando si fa un viaggio, non si può dire: “Parto soltanto con il denaro necessario per il viaggio”, e nemmeno si dice: “Porto con me del denaro per sprecarlo”. Mi pare che sia prudente avere una certa scorta perché, se capita qualcosa d’imprevisto, si possa... almeno pagare la multa, non è vero, don Pietro , nel caso che i vigili ti fermino per strada. Ebbene, mi pare che altrettanto si debba dire nella nostra vita riguardo alle energie di cui abbiamo. Noi dovremmo avere sempre una certa scorta di energie per farle balzar fuori nel momento dell’emergenza. Supponiamo che io possa correre a cinque chilometri all’ora, ma se a un dato momento mi avvisano che don Matteo è caduto da un pesco e si è rotto il dito mignolo, allora io improvvisamente accelero la corsa perché voglio arrivare a soccorrerlo... affinché non succeda che, avendo egli un mignolo già sinistrato, non resti sinistrato anche quell’altro. Nella vita ci sono dei momenti nei quali bisogna correre un pochino di più. Qualcuno di voi potrebbe dire: “Io corro al massimo”; tuttavia ci può essere un momento in cui bisogna correre ancora più del massimo, in cui bisogna tirar fuori delle altre energie. La Fiat 1100 D, quella famosa che voi ricordate, aveva il secondo acceleratore che scattava nel momento del bisogno. Ora io credo che sarebbe necessario che i nostri religiosi avessero tutti questo spunto di riserva. Dicevamo ieri lassù a Bosco che, quando costruivamo motori elettrici, una delle richieste da parte di alcune ditte era che tali motori avessero un forte spunto di partenza. Non tutte le macchine hanno bisogno di questo; a certe piccole macchinette basta un motore da mezzo cavallo e hanno potenza di scorta, ma ce ne sono altre che assolutamente devono avere un motore che sviluppi più potenza inizialmente. Per esempio, un motore da tre cavalli nel momento della partenza ne assorbe cinque, poi va avanti con i suoi tre cavalli. Molte, ma proprio molte ditte ci mandavano indietro i motori perché dicevano: “Non hanno lo spunto di partenza sufficiente”. Spunto di partenza vuol dire capacità di resistere - dico male? - allo sforzo iniziale senza bruciarsi, senza saltare; cioè nel momento dello sforzo iniziale al motore sono necessari, ma per un istante solo, quattro o cinque cavalli anziché tre, e quando è avviato gira con tre cavalli. Per esempio, voi avete lavorato in legatoria con la macchina per pulire i pavimenti. Il suo motore doveva avere un forte spunto di partenza, una grande forza di energia iniziale, perché per vincere il momento di inerzia ci vuole un colpo forte di energia, altrimenti salta tutto in aria, balzano fuori le mole. Quando poi il motore è avviato, gli basta la sua forza normale, ma per un istante solo ci vuole qualche cosa di più. Ecco, io vorrei che i nostri religiosi avessero questo qualche cosa, questa potenza iniziale per poter partire. Quando si è partiti poi le cose si fanno, ma il bello, qualche volta, è partire! Su tre campi - nella meditazione ci fermiamo, come il solito, su tre punti - sarebbe necessario avere questa forza.CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CONGREGAZIONE storia
SOCIETÀ
tecnica
VIRTÙ
prudenza
ESEMPI religioso
CONSACRAZIONE religioso
Il riferimento è a Roberto Tirelli, vocazione adulta da poco entrata nella Casa dell’Immacolata e all’epoca ancora postulante.
Il riferimento è a don Giuseppe Rodighiero, entrato nella Congregazione già sacerdote, che all'epoca stava facendo il periodo di noviziato
È evidente che don Ottorino sta usando un linguaggio scherzoso nei suoi esempi.
Il riferimento è a Ugo Gandelli, che all’epoca frequentava il 2° anno di ragioneria e faceva parte della Comunità della Casa dell’Immacolata.
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3. Nel campo della salute fisica, per esempio. Quando si inizia un lavoro è chiaro che se si devono portare tre quintali sulle spalle, nemmeno Roberto , nonostante la sua forza, se la sente di portarli. Però se tu, per esempio, puoi portare normalmente quarantacinque chili, c’è un momento in cui ne puoi portare cinquantacinque. Supponiamo che tu sia capace di alzare cinquanta chili, ma c’è un momento, se c’è bisogno, in cui tu ne alzi di più. Quella volta, per esempio, che abbiamo collocato la pietra dell’altare, in quel momento ognuno di noi ha portato per lo meno il 15% o il 20% più di quello che avrebbe normalmente portato. In quel momento di sforzo, si è trattato di un istante, la pietra è andata al suo posto. Direi che questo sforzo fisico bisogna metterlo in moto nel campo apostolico. Non dico - e tu, adesso, caro don Giuseppe ., non condannarmi - che bisogna trascurare la salute. Se è necessario prendere ogni sera il ‘biberone’, come ieri sera, bisogna farlo assolutamente e, se è necessario, bisogna curarsi la salute: abbiamo il dovere di curare la nostra salute. Supponiamo che uno di noi venga operato, per esempio, di calcoli al fegato e il medico gli prescriva di nutrirsi per due mesi di lingue di cardellino; non c’è niente da fare, si mangiano lingue di cardellino per due mesi interi! Si ha il dovere di farlo! Perché? Perché non siamo noi che possiamo disporre liberamente di noi stessi: Dio ci ha affidati... Supponiamo che io avessi in consegna Ugo Gandelli da parte di Dio e il Signore mi dicesse: “Devi farlo crescere dieci chilogrammi in un mese!”; ebbene, io ho questo dovere e devo farlo. Così ciascuno di noi, che si è offerto al Signore, è stato riconsegnato a se stesso dal Signore. Come la Madonna ha portato Gesù al tempio e poi le è stato riconsegnato, così anch’io sono stato riconsegnato a me stesso, ma non sono più di me stesso: sono in mano mia, ma sono proprietà del Signore, e perciò io devo curarmi come cosa del Signore. Per questo bisogna conciliare due aspetti: - primo: io devo rispettare il mio corpo, perché deve servire a Dio, e perciò devo nutrirlo, non fargli fare strapazzi, e cercare che stia in buona salute perché possa servire bene il Signore. - secondo: non devo idolatrare il mio corpo, non devo, insomma, rispettarlo in modo da fermarmi due ore prima di sudare, o da portare appena il 10% di quello che potrei portare. Riguardo al corpo bisogna avere la forza di vincere anche noi stessi e, direi, di fare qualcosa di più di quello che potremmo fare. In certi momenti bisogna anche saper trascurare un pochino il proprio corpo. Non so se sbaglio, don Pietro e compagni? Occorre non perderci dietro a piccole magagne, a piccole stupidaggini che, state tranquilli, avremo tutti, siatene certi. Qualche volta, per il bene delle anime, dovremo anche agire eroicamente. E qui ci sono degli esempi meravigliosi.DOTI UMANE salute
CONGREGAZIONE storia
ESEMPI vari
CONSACRAZIONE offerta totale
MARIA
VIRTÙ
eroismo
APOSTOLO salvezza delle anime
L’assistente Vinicio Picco, che all’epoca era consigliere generale, era entrato nella Casa dell’Immacolata come vocazione adulta dopo un’esperienza di lavoro presso la ditta Marzotto di Valdagno (VI), da dove proveniva.
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4. Ricordo quello che il nostro caro Vinicio mi ha raccontato a proposito di un suo amico medico, assistente all’ospedale di Valdagno. Un bel giorno questo medico si è accorto di avere una escrescenza carnosa ad una gamba. Ha dubitato subito di avere un tumore. Lui stesso si è tagliato l’escrescenza e l’ha fatta analizzare a Padova, dove l’aveva presentata non con il suo nome, ma con un altro nome: si trattava di un tumore maligno. Poi si è presentato al suo professore e senza dire di essere lui l’interessato diretto, ha detto: “Professore, uno dei miei pazienti ha un tumore maligno; l’esito dell’analisi è questo. Che cosa si potrebbe fare? Quali farmaci si potrebbero somministrare?”. E il professore ha risposto: “Che cosa vuoi; lo sai anche tu: cinque o sei mesi al massimo di vita. Così, tanto per tenerlo un po’ nell’inganno, puoi prescrivergli ora questo, ora quello; di tanto in tanto lo visiti per dargli un’occhiatina”. Gli ha così insegnato come fare per tenerlo su senza dargli l’impressione di avere un tumore. “Ah, puoi fare così, e se poi cominciano i dolori, lo calmi con dei farmaci, ma sono mezzi che non valgono nulla, intendiamoci bene!”. “Va bene, grazie, professore!”. Quel medico ha prestato servizio in ospedale finché non è sopravvenuta la metastasi, cioè per cinque o sei mesi; poi, la morte. Solo allora il professore è venuto a sapere che il paziente era il suo assistente. Amici miei, amici miei! Qualche altro invece sarebbe scappato chissà dove. Osserviamo suor Bertilla, per esempio. La storia la conoscete meglio di me. Quando i medici hanno scoperto il male in suor Bertilla si sono domandati: “Ma come è riuscita questa creatura a non parlare con nessuno? Come faceva a prestare il suo servizio con quel male che aveva addosso?”. La stessa cosa, mi pare, è successa a Santa Bernardetta. E quante buone mamme tirano avanti, si alzano presto al mattino... Quanti industriali si alzano al mattino con mezza febbre o con la febbre addosso, con il mal di testa o con il mal di denti! Perché? Perché c’è il guadagno! La mamma lo fa perché c’è la famiglia, l’industriale perché bisogna mandare avanti l’industria: c’è l’interesse! E forse noi, tante volte, per un po’ di mal di testa diciamo: “Ah, me ne sto a casa, non vado a scuola stamattina; ho dormito poco stanotte, ho mal di testa... stanotte ho avuto un dolore a una gamba... stamattina sto a letto!”. Un domani, quando si è sacerdoti o diaconi, si dirà: “Mi manca proprio il tempo, vi andrò un’altra volta! È vero, dovrei tenere una conferenza: intanto telefona che quest’oggi non mi sento troppo bene”. Oppure: “Faccio a meno di prepararmi perché non ne ho voglia!”.ESEMPI croce
CROCE malattia
VIRTÙ
eroismo
NOVISSIMI morte
ESEMPI di santi
ESEMPI sacrificio
FAMIGLIA mamma
PECCATO omissioni
PECCATO mediocrità
SACERDOZIO prete
Il riferimento è a Daniele Galvan, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico e amava molto la vita libera ed avventurosa.
MI251,5 [13-12-1968]
5. Amici miei, state attenti! La nostra vita può portarci facilmente a divenire dei pigri, della gente immortificata che cura troppo il corpo e non si sacrifica sufficientemente per le anime. Abbiamo davanti a noi esempi di mamme, di papà, di industriali, che si sacrificano molto, che sacrificano il loro sonno, sacrificano il loro riposo, sacrificano un pochino se stessi con viaggi, eccetera, per i bisogni della casa o dell’industria. E noi, forse, non vogliamo essere scomodati, idolatriamo un pochino il nostro corpo. Non so se esagero in questo, ma qualche santo è andato anche all’eccesso opposto. Io non voglio che arriviate a questo, però, per piacere, piuttosto di arrivare a quel punto, arrivate a questo. È meglio morire dieci anni prima per avere lavorato per le anime che lasciare un’anima andare all’inferno per la nostra pigrizia o per la cura del nostro corpo! Siete d’accordo? Tornando al punto di prima direi che bisogna avere un pochino il coraggio di dire: “Lo faccio, sebbene mi costi, sebbene abbia quei disturbi. Non importa: qualcosina devo pagare anch’io; un po’ di penitenza la devo fare anch’io. Ho questi disturbi... sono piccole cose”. Beh, insomma, passiamo sopra a certe piccole cose! Che brutto sarebbe se, un domani, un prete o un diacono fosse dal medico ogni altro giorno! Se ha un tumore, capisco, vada dal medico, non si discute; se ha qualcosa di grosso, vada pure dal medico, ma che ogni altro giorno sia lì a dire che ha mal di testa... Poi magari ci si accorge che ha l’aureola troppo stretta, ha l’aureola di un numero inferiore! Ci sono delle creature che hanno quasi la mania del male: “Piano - dicono - perché bisogna stare attenti a questo e a quello!”. Se soffriamo qualcosina, passiamoci sopra, passiamoci sopra! Non cito adesso casi particolari perché non pensiate che io voglia alludere a casi particolari, ma vorrei che cresceste un po’ più figli di montagna, di alta montagna, anziché piante da giardino o da serra; insomma, gente che sa adattarsi alla durezza della vita. Adesso Daniele fa il sorriso come per dire: “Per quello che andiamo in montagna noi!”. Va bene, andremo in montagna anche per questo, ma andare in montagna con la stufetta a gas, andare in montagna con lo zaino pieno... Bisognerebbe andarvi con un sacco di polenta e basta, e andare a caccia di uccelli!APOSTOLO salvezza delle anime
FAMIGLIA mamma
FAMIGLIA papà
CROCE malattia
NOVISSIMI inferno
PENITENZA sacrificio
SACERDOZIO prete
DIACONATO diacono
CROCE sofferenza
VIRTÙ
Don Renato Novello stava completando all’epoca il 4° anno del corso teologico, e proveniva da Malo (VI) dove ancora viveva la sua famiglia.
MI251,6 [13-12-1968]
6. Figlioli miei, qui nella nostra casa dobbiamo darvi il necessario: il riscaldamento, il cibo, eccetera, eccetera; ma qualche volta, ve l’assicuro, mi domando se in questo modo vi preparo ad essere missionari. Ieri siamo andati in casa di don Renato Novello. Dov’è don Renato? Bene! L’abbiamo visitata e poi siamo saliti anche in soffitta ove c’erano due letti. Ho detto a don Renato: “Ne avete anche in caso di bisogno”. “Intanto - mi ha risposto - li abbiamo messi qui”. Io ho guardato la soffitta, e il papà ha detto: “Qui, soffittando un po’, se si volesse, si potrebbe ricavare anche una stanzetta”. La soffitta era fatta di tegole da tre o quattro centimetri, e sopra di esse i coppi: travature, tegole e coppi sopra. Obietterete: “Ma voi, una volta...”. Sì, dite quel che volete... Guardate che fino a venticinque anni io ho dormito in una casa come quella, senza alcun riscaldamento. Eravamo tutti in questa condizione: senza il vero soffitto, con coppi posati su tavelle da tre centimetri e basta. Si dormiva così. Freddo? Era freddo, sì! Le chiese? Erano senza riscaldamento! Ricordo qui all’Ausiliatrice, con i vetri aperti: era così freddo da far saltare le mani e alla comunione non eri capace di comunicare; avevi i piedi che saltavano, tanto che quando arrivavi a casa, per toglierti le scarpe bisognava prima aspettare per sgelarti un pochino le mani. Amici miei, nella vita apostolica troverete più o meno queste cose. Nel Chaco non troverete il freddo, ma il caldo. Questa vita un po’ dura la troverete, la dovete trovare perché se un domani nella vita apostolica andrete cercando le comodità che avete qui, scandalizzerete la gente che vive nelle baracche. Portiamoci anche a Crotone: quanta povera gente! Qualcuno di voi che vi è andato ha visto: gli zingari, e altre persone in condizioni simili. Voi non dovete andare all’estremo, ma dovete allenarvi per le difficoltà. Vi ho detto che sento il bisogno che abbiate il necessario sia quanto al cibo che nel resto, ma per me, per esempio, è stato inconcepibile che una sera - sono stato a Bosco con un gruppo di sette o otto dei nostri - tre di noi non abbiano mangiato il pasticcio. Mi sono allora domandato: in refettorio questi ragazzi mangiano sempre tutto quello che viene portato? Soltanto se è cibo che fa ripetutamente vomitare non devi prenderlo, ma se fa solo un po’ di male lo si prende, cari miei. L’altro giorno, per esempio, hanno portato in tavola minestra di fagioli che a me fa male: l’ho mangiata e mi sono venuti conati di vomito. Non importa niente!MISSIONI vita missionaria
AUTOBIOGRAFIA
PASTORALE poveri
CROCE difficoltà
Gli ‘arditi’, corpo composto di truppe scelte dell’Esercito Italiano della II Guerra mondiale, erano i soldati che avevano il compito di assalire per primi le postazioni nemiche, per creare teste di ponte e per compiere sabotaggi; nelle operazioni militari ad alto rischio erano i primi ad agire.
Cfr. Mt 11,7-10 e Lc 7, 24-27.
Evidentemente don Ottorino gioca sulla parola, dicendo che il “corpo” non mortificato può trasformarsi in “porco”.
MI251,7 [13-12-1968]
7. A un dato momento bisogna essere capaci di fare anche un po’ di sacrificio, anime di Dio! E voi siete capaci di fare questo? Nella vita dovrete affrontare il sacrificio: una volta perché il letto è duro, un’altra volta perché il cibo è così, un’altra ancora per qualche altro motivo. Insomma, questo benedetto corpo! Viviamo per curare il corpo o per salvare la nostra anima e quella degli altri? Abbiamo bisogno di uomini temprati alle difficoltà. Vi dico: non strapazziamo il corpo, questo l’ho premesso ed è chiaro, ma nemmeno andiamo, adesso, all’estremo opposto che, tirato fuori il dito, non si dica: “Qui no! Ci vogliono due gradi di più, se no non vengo a letto. Eh, no! Se non c’è la stufa accesa, io non vado a letto!”. Qualche giorno fa ho sentito che parlavate di stufa con una certa insistenza e mi era venuta la voglia, ve l’assicuro, di andare a dormire io nella vostra camera e mandare voi a dormire nella mia stanza. Se non l’ho fatto è perché sono diventato più vecchio e non faccio queste stramberie, ma mi era venuta la voglia di portare tre letti nella mia stanza, scegliere tre ragazzi e mandarli a dormire là per tutto l’inverno. In altri tempi, quando ero più duro, l’avrei fatto: ne ho combinate anche di peggio! Figlioli miei, qui dentro non devo formare delle signorine e neanche degli smidollati. Dobbiamo formare uomini e uomini un po’ rudi, vorrei dire, degli arditi di Nostro Signore, capaci di superare le difficoltà, di dormire nelle trincee, insomma. Io ho bisogno di uomini che dormano nelle trincee, non che dormano nell’ovatta! Di San Giovanni Battista che cosa ha detto Gesù? Che viveva nei palazzi dei re? No, no! Del Battista Gesù ha detto così: “Chi siete andati a vedere? Un uomo mollemente vestito?”.. No, no, si può dire che era un uomo vestito di sacco e che viveva nel deserto. Ora voi dovete essere capaci di fare una vita così! Per quanto riguarda la salute mi pare di essermi spiegato abbastanza. Non scendo più in giù, perché altrimenti comincerei a toccare troppi particolari, e allora qualcuno questa sera mi potrebbe assassinare in qualche corridoio. Tuttavia c’è della strada da fare! Non basta dire: “Signore, Signore...”; bisogna saper fare anche qualcosa per il Signore. Non escludo con ciò che una sera si possano mangiare le paste, bere un bicchiere di vino, fare un po’ di festa, ma non succeda che viviate di quella festa o per quella festa. Si deve essere capaci anche di dire: “Per amore del Signore mangio questo cibo che non mi piace, per amore del Signore faccio a meno di prendere questa cosa, per amore del Signore faccio quell’altra”. Certo con furberia! Ma se non mortificate il corpo, figlioli miei, a un dato momento il corpo diventa colla ‘p’ invece che con la ‘c’ e viceversa.PENITENZA sacrificio
APOSTOLO salvezza delle anime
APOSTOLO uomo
CROCE difficoltà
AUTOBIOGRAFIA
FORMAZIONE
VIRTÙ
fortezza
PAROLA DI DIO Vangelo
DOTI UMANE salute
CREATO corpo
Don Ottorino, che proveniva dal ceto popolare, conosceva bene l’arte di arrangiarsi: ‘rangiarse’, in dialetto. Infatti fin da bambino era vissuto in mezzo a ‘quest’arte’ che permetteva ai poveri di sopravvivere e che era fatta di mille espedienti, a volte geniali, che sapeva utilizzare ogni più piccola risorsa economica per tirare avanti.
Il riferimento è a Natalino Peserico, che all’epoca frequentava il 3° anno del corso teologico ed era di una statura abbastanza elevata.
Don Giovanni Battaglia era compagno di studi e di ordinazione sacerdotale di don Ottorino e all’epoca era parroco di Madonetta di Sarcedo (VI).
In quegli anni don Ottorino aveva cominciato a mandare in aiuto ai parroci anche degli studenti di teologia perché imparassero a fare catechesi ‘sul campo’ e non solo impararla sui libri e anche perché si abituassero a vivere in pastorale. In questo caso non sappiamo a chi si riferisse, anche se subito dopo nomina Michele Sartore, che all’epoca frequentava il 1° anno del corso teologico.
Cirò è una cittadina distante da Crotone circa 35 chilometri. Nel suo territorio si produce il vino ‘Cirò’, uno dei vini rossi più famosi d’Italia.
MI251,8 [13-12-1968]
8. Ho detto che ci vuole la spinta iniziale per vincere il corpo, perché il corpo tirerà sempre indietro, cerca il suo comodo; ma anche per vincere le difficoltà che si trovano sul nostro cammino e poter, si direbbe in dialetto, arrangiarsi. Fare, disponendo di tutto, è abbastanza facile. Per esempio, confezionare un vestito per Natalino se hai venti metri di stoffa, sì, forse si riesce, ma riuscire a confezionarlo avendone soltanto cinquanta centimetri, ci vuole una certa capacità. Non è vero, Natalino? Nella vita apostolica, scusatemi tanto, qual è la capacità che serve? La capacità di prendere un vestito vecchio, tagliarne un pezzo, fare con esso qualche cosa di artistico anziché un vestito arlecchino. Adesso lo farebbero con due fasce di qua e due di là. Si direbbe: “Che bello!”, e non si saprebbe che, invece, è stato confezionato con i ritagli. Adesso si farebbe così! Certi maglioni portano segni qua e là. Ci si sa arrangiare. Ieri sera sono passato per Madonetta di Sarcedo; dovevo andare a Thiene. Poiché più di una volta don Giovanni Battaglia mi aveva detto: “Vieni a visitare la chiesa”, sono andato a visitarla come fa il nostro cappellano e ho visto in fondo all’altare un pannello che, a prima vista, sembrava di bronzo. Non mi sono azzardato a dirgli: “Ehi, dimmi: che materiale è? Di marmo?”, ma vi dico che era fatto veramente bene. Sapete di che cosa è fatto? Di cemento. In che modo? È stato preso del polistirolo, lo si è segnato con il saldatore in modo da formarne delle strisce; sulle parti così segnate è stato gettato il cemento. Ne sono risultati dei pannelli che, uniti insieme e dipinti in finto bronzo, hanno formato un pannello che mi sembra veramente bello. Michele, dico male? Non è fatto bene? Sembra di bronzo ed è di cemento! Nella vita bisogna sapersi arrangiare un pochino, figlioli miei! Non hai il bronzo? Ebbene, hai il marmo! Non hai il marmo? Hai il cemento! Non hai il cemento? Hai la terra, fallo di terra! Un domani vi troverete in un paese e vi si chiederà: “Hai cominciato a fare qualcosa, don Michele?”. “No, perché manca la casa della dottrina cristiana. Adesso stiamo qui...”. “Comincia in una stalla, benedetto del Signore!”. “Ma, qui a Crotone non ci sono stalle perché le bestie sono tutte fuori della porta!”. “E allora comincia fuori della porta!”. “Ma, fuori della porta c’è troppo rumore!”. “E allora vai in una casa, vai in una cantina!”. “Ma, le cantine qui non ci sono, perché sono a Cirò”. A un dato momento, insomma, viene da dire: “Rospo, arrangiati!”. Bisogna sapersi arrangiare! Abbiamo bisogno di fare un impianto elettrico qui dentro perché mancano le luci? Prenderemo due fili di filo di ferro e tireremo provvisoriamente la corrente elettrica. “Consuma troppo!”, si dice. Ma intanto, per quella sera abbiamo la luce; domani e posdomani sera vedremo di fare un impianto regolare. Bisogna sapersi arrangiare! Tante volte è facile dire, per esempio: “Beh, io faccio gli gnocchi, però voglio tutto l’occorrente”. “E se a un dato momento manca qualcosa?”. “Allora no!”. “Se non impasti gli gnocchi, almeno prepara la pastasciutta!”. “Avevamo stabilito di fare gli gnocchi: hanno portato la farina, hanno portato questo, ma non hanno portato le patate, perciò staremo qui a guardare”. “Ma, fai qualcos’altro! Hai la farina: impastala con le uova e fai un po’ di tagliatelle. Se non fai gli gnocchi, fai le tagliatelle!”.CROCE difficoltà
ESEMPI vari
CREATO corpo
AUTOBIOGRAFIA
Il riferimento è a Ugo Gandelli, già nominato precedentemente
MI251,9 [13-12-1968]
9. Insomma, bisogna sapersi arrangiare con quello che il Signore ci mette in mano, senza pretendere di avere quello che sogniamo. Perché nella vita apostolica non avrete sempre tutto, sia come mezzi materiali sia come collaboratori. “Ah, qui non si può fare niente; non c’è nessuno che dia una mano”. “Eh, prepara tu stesso i tuoi collaboratori”. “Non ci sono uomini! Se vedesse; non c’è nessuno che mi aiuti!”. “E va bene! Comincia a fartene uno; quell’uno poi ti aiuterà a farne un altro”. “Ma, sa, ci vuole tempo!”. “E va bene, consuma quel tempo!”. Non fermiamoci dinanzi alle difficoltà che ci sono e che ci devono essere! Vorrei dire che i nostri uomini dovrebbero, quasi, trovare la gioia nelle difficoltà e soggiungere: “Non c’è niente! Beh, meglio. Così ci affaticheremo di più”. Dovrebbero quasi trovare il gusto di andare in una casa dove non c’è niente: quattro foglie per terra perché non c’è un letto dove dormire, una cassetta da frutta che serva da comodino e per ogni altro uso. Dovreste sentire quasi la gioia di trovarvi in una tale situazione, e non dire: “Ah, dove siamo arrivati! Non c’è nulla. Dobbiamo sederci a terra per mangiare; una sola scodella deve servire per tutti, un bicchiere per tutti...”. “Ma, scusa: un solo bicchiere... C’è almeno del vino?”. “Sì!”. “E allora bevilo, furbo! Non perderti di coraggio!”. Ecco, direi proprio: se vi mancano certe cose, non perdetevi di coraggio. Se si rompe la macchina in mezzo alla strada, non scendete sul ciglio a piangere. Non ti sembra, Ugo? . Non sedetevi là perché la macchina non si ripara da sola; andate almeno in cerca di un asino che vi trascini fino a casa, e se non lo trovate andate a casa a piedi, perché se state seduti sul bordo della strada non arrivate a casa. Non so se sbaglio anche in questo. Bisogna saper essere uomini, avere un po’ di coraggio, insomma; affrontare le difficoltà, ma serenamente. Mamma mia, il tempo è passato: pazienza! Volevo fermarmi un po’ di più su questo argomento questa mattina, e anche ieri mattina.CROCE difficoltà
DOTI UMANE ottimismo
VIZI scoraggiamento
Nell’esempio don Ottorino nomina don Pietro De Marchi e don Girolamo Venco che erano già sacerdoti, e gli assistenti Livio Adessa, che frequentava il corso teologico in seminario, e Dionigi Castagna, che faceva parte della Comunità dell’Istituto San Gaetano di Vicenza; in seguito nomina anche l’assistente Natalino Peserico.
Cfr. Gv 21,15-17.
MI251,10 [13-12-1968]
10. Terzo punto: lo tocco appena. È la capacità di sapersi adattare con le persone. Ieri mattina non l’ho affrontato, ma sarebbe necessario fermarsi. Vi do solo il tema. Scelgo tre o quattro religiosi: don Pietro, don Girolamo, Livio e Dionigi, i quali vanno a dare inizio ad una parrocchia. Dice don Pietro: “Don Ottorino, com’è possibile? Se lei mi avesse assegnato Natalino anziché Dionigi... eh, con quello si potrebbe fare, sa! Ma con Dionigi, come si fa?”. Dice Dionigi: “Don Ottorino, come si fa? Don Pietro è un po’ duro, e poi non è capace di correre in macchina; e poi... poi...”. Insomma, in altre parole: “Non si può, non si può fare nulla - dice don Pietro - perché lei mi ha dato tre uomini con i quali non si può fare niente”. Dice Dionigi: “Non si può fare nulla perché lei mi ha dato tre uomini con cui non si può fare niente”. Anima di Dio: il Signore ti ha dato, don Pietro, quei tre e con quei tre tu devi fare. In altre parole: non mettiamoci a sedere dicendo che non si può fare nulla perché abbiamo quei dati uomini. Invece con quei dati uomini bisogna fare gli ‘gnocchi’, sia considerando la Comunità come le persone che hai attorno a te. Attorno a te hai degli uomini che si chiamano Pietro... Penso che Gesù non abbia detto all’Eterno Padre: “Senti, Signore: non hai qualche altro da darmi come capo della Chiesa? Che io debba avere proprio un uomo che ogni tanto se ne esce con qualche scarabocchio, che all’ultimo anche rinnega? Proprio questo?”. “Proprio quello! E con quello tu farai la Chiesa!”. E allora il Signore Gesù obbedisce al Padre e dice a Pietro: “Pasce agnos, pasce agnos, pasce oves”. Ma perché? Perché questa è la volontà di Dio. Perciò io direi: non scoraggiamoci se non abbiamo con noi gli uomini ideali, la Comunità ideale. “Sì, sì, tutto sarebbe possibile, ma c’è quel tale nella Comunità... Nella parrocchia c’è quel tale; bisognerebbe che quello non ci fosse... Sarà impossibile finché ci sarà quel sindaco... quel maresciallo dei carabinieri... quel medico... quella maestra a scuola!”. Nossignori! Proprio in quell’ambiente, proprio in un ambiente così tu devi farti santo e santificare l’ambiente, far balzar fuori da te quell’energia che Dio ha messo dentro di te proprio per superare quella difficoltà.DIO Padre
GESÙ
servo
CONSACRAZIONE obbedienza
VIRTÙ
umiltà
CONSACRAZIONE santità
Il riferimento è, forse, a Giorgio Girolimetto, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico, e che proveniva da una famiglia di contadini, come Ruggero Pinton che viene nominato subito dopo, al contrario di Vinicio Picco, pure nominato in questo esempio, che proveniva da Valdagno (VI) e da una famiglia di operai.
MI251,11 [13-12-1968]
11. Termino con un’immagine “mistica”. Non so se vi ricordate, ma quando noi eravamo giovani e meno motorizzati, si andava di solito a sgranare il granoturco. Te lo ricordi, Giorgio? Quando eravamo ragazzi si saliva in soffitta, si girava la manovella della macchina sgranatrice e... bururumm... bururumm... bururumm! Avete mai visto quella macchina? È possibile che Vinicio non l’abbia mai vista, ma voi che venite dalla campagna... Bene, attenti! Si girava la manovella e... tira, tira. Quando la macchina girava più velocemente, che cosa faceva il fratellino, Ruggero? Buttava dentro la pannocchia, ma quando ne buttava dentro due o tre tutte in un colpo, la velocità diminuiva, ma poi la macchina ripartiva di nuovo a tutta velocità. Ebbene, la vostra vita apostolica sarà uno sgranare continuamente il granoturco, miei cari. Sarà un susseguirsi di pannocchie: una volta il mal di testa, un’altra volta un doloretto a destra o a sinistra, “in interioribus o in posterioribus”, un’altra volta vi mancheranno i soldi per pagare, un’altra volta si romperà il coperchio della chiesa e non avrete i soldi per ripararlo, un’altra volta sarà un confratello o un’altra persona... Ma ricordatevi bene: cercate sempre di partire in velocità, cavatevela in qualche modo e poi ritornate alla vostra velocità usuale! Guai - lo dico in dialetto perché è più bello - se dinanzi a una ‘pannocchia’ la macchina si fermasse. Guai se un nostro apostolo, non dinanzi a una ‘pannocchia’, ma dinanzi a una ‘pannocchietta’, si fermasse! Ci sono apostoli, sapete, che si fermano non dinanzi a una ‘pannocchia’, non dinanzi a una ‘pannocchietta’, ma persino dinanzi alla fotografia di un moscerino. Sia lodato Gesù Cristo!VIRTÙ
fortezza
CROCE difficoltà
APOSTOLO
CROCE sofferenza