Meditazioni italiano > 1969 > IL SACERDOTE NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA

IL SACERDOTE NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA

MI266[21-02-1969]

21 febbraio 1969 Meditazione ai Religiosi e ai Novizi della Casa dell’Immacolata. Don Ottorino, prendendo lo spunto dal discorso di Paolo VI ai parroci e ai quaresimalisti di Roma del 17.2.1969, illustra la necessità per il sacerdote di conservare la propria identità anche in mezzo al mondo contemporaneo, e suggerisce propositi pratici per la Quaresima. Il testo originale è registrato e la sua durata è di 31’.

Monsignor Eugenio Dal Grande insegnava, all’epoca, Sacra Scrittura nel seminario vescovile di Vicenza.

MI266,1[21-02-1969]

1. 1. La fedeltà alla parola del Papa
Invece di continuare con le solite meditazioni, è conveniente sospenderle un momento e leggere, fermandosi un pochino a meditare, il discorso che il Santo Padre ha fatto ai quaresimalisti e ai parroci di Roma. Faccio questo perché mi sono commosso qualche sera fa quando monsignor Dal Grande è venuto qui e si è intrattenuto con me cinque minuti, cioè dalle 18,30 alle 20,00; aveva detto “cinque minuti”, ma poi ci siamo fermati dalle 18,30 alle 20. Ecco quanto mi ha detto di importante: “In questo momento di così grande disorientamento io sento la responsabilità di conservare la dottrina giusta, quella di Cristo, e ho cercato una strada: leggo tutti, proprio tutti, i discorsi del Papa e me li medito, li pondero parola per parola e cerco di fare un confronto fra quello che penso io e quello che pensa il Papa. Ecco, voglio stare con il Papa. Quando leggo una rivista, un libro, qualche cosa, vi cerco la parola del Papa e mi aggrappo ad essa perché sono sicuro che, seguendolo, sono al mio posto. Ci sono dei momenti - e ve lo dico con lo stesso tono confidenziale con cui mi parlava monsignor Dal Grande - nei quali si esce dalla lettura un po’ disorientati, perché tante cose vengono presentate in forma piuttosto speciosa. In un primo momento riesci un pochino ad orientarti, ma poi ti chiedi: “Che è mai questo?”. Allora seguo la parola del Papa e mi dico: “Il Papa dice così e basta! Il Papa mi dice questo, e per me il Papa è la voce di Cristo”, e vado avanti per questa strada”. Ci sono tante persone che mettono in discussione non solo la parola del Papa, ma anche, forse, qualche cosa che sta un pochino più in alto. Noi sappiamo che anche il Santo Padre può mostrarsi uomo, sbagliare su certe cose quando non parla ‘ex cathedra’; ma io preferisco stare con mio papà... anche se in qualche cosa potesse sbagliare. Amici miei, ricordiamo quello che è stato stabilito dal nostro Capitolo generale. Non è la dottrina di don Ottorino o di don Aldo o di qualcuno della Casa dell’Immacolata e dell’Istituto a cui mi appello. Il Capitolo generale ha codicizzato certe idee fondamentali per cui esse non sono più né di Pietro né di Paolo; sono della Congregazione, sono principi che ognuno di noi deve vivere e difendere non come patrimonio proprio, ma come patrimonio ricevuto in consegna e in deposito, sono lo spirito della Congregazione. Perciò non si deve dire: “Don Ottorino voleva così!”, no! È la Congregazione che vuole così, o meglio è Cristo che vuole così da tutti i membri della Congregazione. È stato stabilito nel Capitolo generale che noi dobbiamo improntare la nostra vita sul Vangelo e seguire la linea del magistero della Chiesa. Non è vero? È stato anche sottolineato e ricordato che nelle nostre Comunità si deve cercare di leggere e di vivere la parola del Papa. In questa circostanza il Santo Padre ha parlato proprio ai sacerdoti e ha tracciato loro una linea. Perciò credo sia mio dovere e di tutti voi fermarci un momentino e domandarci: “Che cosa mi chiede Cristo in questa Quaresima attraverso il suo vicario?”.

CHIESA Papa

CONGREGAZIONE Capitolo

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

CONGREGAZIONE spiritualità

CONGREGAZIONE appartenenza

Don Ottorino prende spunto per la meditazione dal discorso di Paolo VI ai parroci e ai predicatori quaresimalisti di Roma tenuto il 17.2.1969. Le citazioni, prese da Insegnamenti di Paolo VI 1969, Tipografia Poliglotta Vaticana 1970, pagine 116-119, vengono sempre riportate in corsivo, senza ulteriori richiami specifici.

MI266,2 [21-02-1969]

2. 2. Il sacerdote nella società contemporanea
Con questo spirito leggiamo la parola del Santo Padre. Tralasciamo la parte di esordio e passiamo addirittura al sottotitolo: «Il sacerdote nella società contemporanea». «Dobbiamo innanzitutto ricordare alcune idee dinamiche che percorrono oggi tutta la Chiesa,e che specialmente fra gli ecclesiastici suscitano un poco di turbamento. La prima di queste idee riguarda la figura del prete. La si considera quasi sempre esteriormente, nella sua posizione sociologica, nel quadro della società contemporanea, la quale, come ognuno sa, è tutta in movimento, tutta in trasformazione. Il prete, rimasto al suo posto, s’è visto abbandonato dalla sua tradizionale comunità; il vuoto s’è fatto attorno a lui, in molti luoghi; in altri la clientela pastorale è cambiata; difficile avvicinarla, difficile capirla, difficile interessarla alle cose religiose, difficile ricomporla in una comunità affiatata, fedele, orante. Il prete, allora, si è chiesto che ci sta a fare in un mondo così diverso da quello ch’egli una volta assisteva. Chi lo ascolta? E come può egli farsi ascoltare? Egli si è sentito un fenomeno sociale strano, anacronistico, impotente, inutile, perfino ridicolo. Ed ecco allora l’idea nuova e dinamica: bisogna fare qualche cosa, bisogna osare tutto per riavvicinarsi al popolo, per comprenderlo, per evangelizzarlo. L’idea, per se, è ottima; e noi l’abbiamo vista germinare dalla carità del cuore desolato del prete, che si è sentito escluso dal mondo storico, sociale ed umano in cui egli doveva trovarsi personaggio centrale, maestro e pastore, ed in cui invece è diventato forestiero, solitario, superfluo e deriso. La incongruenza e la sofferenza di questa sorte si sono fatte intollerabili. Il sacerdote ha cercato ispirazione ed energia nella profondità e nell’essenza della sua vocazione. Bisogna muoversi, ha detto, e riprendere la ‘missione’; e talvolta così lo ha detto a scapito anche della celebrazione del culto divino e della normale amministrazione dei sacramenti. Ottima, diciamo, l’idea e segno d’una altissima coscienza sacerdotale. Il sacerdote non è per sé, è per gli altri; il sacerdote deve lui rincorrere gli uomini per farne dei fedeli, e non solo aspettare che gli uomini vengano a lui; se la sua chiesa s’ è fatta vuota, egli dovrà uscire per ‘le piazze e per i vicoli delle città in cerca della povera gente e poi ancora ‘per le vie e lungo le siepi’ e spingere invitati raccogliticci ad entrare. Questa urgenza apostolica preme sui cuori di tanti sacerdoti le cui chiese sono diventate deserte. E quand’è così, come non ammirarli? Come non sostenerli?».

CHIESA Papa

Giornale quotidiano cattolico.

Il cardinal Giovanni Battista Montini era stato per più di un decennio arcivescovo della diocesi di Milano prima di essere eletto al soglio pontificio. Già nel 1966 don Ottorino aveva preso spunto da un discorso del card. Montini per una meditazione ai suoi religiosi.

Cfr. Tobia 5,4-17.

MI266,3 [21-02-1969]

3. 3. Il sacerdote è nel mondo, ma non è del mondo
Ora mi fermo un momentino. Non so se prima o dopo questo passo - infatti non ho letto il discorso per intero, l’ho letto sull’ ‘Avvenire d’Italia’; comunque troveremo il punto che ci interessa - il Santo Padre ha usato una frase molto incisiva: “Il sacerdote è nel mondo, ma non è del mondo”. Quest’uomo di Dio, che improvvisamente si è trovato abbandonato dalla gente e ha pensato che, forse, bisognerebbe cambiare i metodi, a un dato momento è incorso nel pericolo di correre dietro alla gente e, senza accorgersene, è diventato come uno di loro, cioè si è laicizzato. Qualche anno fa con don Aldo, lo abbiamo notato in America Latina: abbiamo rilevato come questi sacerdoti, per andare in mezzo alla gente, si sono laicizzati, e di sacerdotale hanno molto e molto poco. Mentre leggevo queste parole del Santo Padre ripensavo ai discorsi che egli aveva fatto a Milano ai sacerdoti, e alle lettere che aveva loro inviato. È dominante nel Santo Padre l’idea che bisogna uscire di chiesa e andare in mezzo alla gente, che bisogna - vorrei dire - buttarsi in mezzo alla gente, quasi un mimetizzarsi un pochino - come diceva allora -, mettersi proprio così tra la gente. La prima volta che ho letto quei discorsi, parecchi anni fa, mi sembrava quasi un po’ troppo spinto. Diceva che bisognava proprio buttarsi in mezzo alla gente... E invece vi dico: sono pienamente d’accordo, pienamente d’accordo con lui, anche in quello che diceva prima di essere Papa: bisogna buttarsi in mezzo alla gente. Però ecco il pericolo, qui sta il pericolo! Quando un angelo, San Raffaele, scese dal cielo e si presentò a Tobiolo che stava cercando una guida per andare a Rage, Tobiolo non ha visto un angelo del cielo, ma un uomo, perché Raffaele si è presentato in forma di uomo. Quando gli ha chiesto di guidarlo, l’angelo rispose di sì: lo ha guidato e gli è stato proprio amico e compagno di viaggio, uguale agli altri uomini in tutto. Però quando sopravvenne il pericolo di perdere la vita salvò Tobiolo e quando giunse il momento di conservare il fegato e il cuore del pesce gli disse: “Fa’ questo, fa’ quello...”. È sempre stato la guida prudente, ma non si è mai manifestato come angelo, si è mostrato proprio come uomo.

SACERDOZIO prete

CHIESA Papa

PAROLA DI DIO Sacra Scrittura

MI266,4 [21-02-1969]

4.Però, esaminando quanto ha fatto, si vede che si è dedicato tutto agli altri. Quando, poi, è arrivato il momento della separazione, il papà e il figlio hanno fatto consiglio fra loro: “Che cosa daremo a questo tale? In fin dei conti - dice Tobiolo - mi ha condotto a Rage e ricondotto a casa, mi ha salvato la vita, ha ridato la vista a te. Che cosa potremo dargli? Chiediamogli se si degna di accettare la metà delle nostre ricchezze”. Lo avvicinarono e allora lui disse loro: “Io ero in mezzo a voi, però sembrava che io mangiassi, ma non mangiavo. Io sono l’angelo Raffaele; sono venuto perché mandato da Dio e ora ritorno a Dio. Ringraziate lui, ringraziate lui! Egli vedeva quando facevate l’elemosina, quando tu, Tobia, seppellivi i morti, eccetera, eccetera. La tua preghiera è stata gradita al Signore, e io sono venuto per guarire te e Sara, tua nuora...”. Ed è scomparso.
Questa, si può dire, deve essere la missione del nostro sacerdozio, la nostra missione. Noi dobbiamo essere gli uomini di Dio, proprio gli uomini di Dio, che vivono di Dio. La nostra vita: il tabernacolo. Il nostro momento più grande della giornata: la celebrazione del sacrificio della Messa. Si può dire che tutte le nostre ventiquattro ore hanno un centro: la Messa. Bisogna prepararci alla Messa con sacrifici da portare sopra l’altare, dal quale prendere energie da portare ai fratelli; è come un cerchio. Noi dobbiamo vivere, come abbiamo detto ripetutamente, il sacrificio della Messa: dobbiamo prepararci, come faceva Luigi Gonzaga che dedicava mezza settimana a prepararsi alla comunione e mezza settimana a ringraziare. Noi questa mattina abbiamo celebrato i sacri misteri, e adesso dovremmo quasi dividere la giornata in due parti: una per ringraziare e una per prepararci. Noi dobbiamo avere una vita quasi contemplativa, di unione con il Signore, altrimenti non possiamo dire di essere i ‘carmeli ambulanti’. Noi abbiamo rinunciato al mondo, abbiamo abbandonato completamente il mondo, siamo in una casa che per noi dovrebbe essere un monastero, un cenobio: la nostra casa, per noi, dovrebbe essere un deserto.

SACERDOZIO prete

APOSTOLO uomo di Dio

CONGREGAZIONE appartenenza

APOSTOLO missione

EUCARISTIA S.Messa

EUCARISTIA tabernacolo

SLOGANS comunità

Il riferimento è a S. Paolo, il fondatore della vita eremitica cristiana, la cui biografia fu scritta da San Girolamo. Nato nel 228 d.c., durante l’impero di Alessandro Severo, in una località del Basso Egitto, da famiglia ricchissima, ricevette un’educazione adeguata al suo censo. Alla morte dei genitori ereditò ricchezze ingentissime che destarono la cupidigia del cognato che pensò di denunciarlo come cristiano nella grande persecuzione di Decio (249-252) che fu particolarmente dura nelle provincie d’Africa. Paolo fuggì nel deserto per salvarsi, ma, illuminato dalla grazia, decise di rimanere nel deserto e vivere da eremita e ciò che era stato scelto per necessità divenne, per la grazia di Dio che gli tramutò il cuore, una scelta di vita abbracciata con totale donazione alla volontà di Dio. Famoso è l’incontro tra Paolo e l’altro grande eremita Antonio di 23 anni più giovane di lui. Poco dopo quest’incontro, a circa 113 anni di età, nel 341 d. c., il santo eremita moriva nel deserto dove era vissuto per circa novant’anni pregando e facendo penitenza.

Cfr. Atti 17, 22-32.

MI266,5 [21-02-1969]

5.Come fu il deserto per Paolo eremita, così dovrebbe essere per noi questo “deserto”, nel quale ci incontriamo con Dio, viviamo solo di Dio: siamo proprio i contemplativi. A un dato momento il Signore ci invierà nel mondo, come l’angelo Raffaele che discese dal cielo per la sua missione. Ah, allora sì! Se siamo uomini che viviamo la nostra giornata, il nostro sacrificio, la nostra preghiera, e in modo particolare la nostra Santa Messa con questo spirito, allora possiamo andare nel mondo, buttarci in esso vestiti in abito borghese o buttarci come vogliamo. Perché? Perché allora saremo sempre angeli, noi saremo sempre gli ambasciatori di Dio, i portatori di Dio. Allora, certamente, noi avremo non solo la possibilità, ma il dovere, il sacrosanto dovere, ce lo dice il Santo Padre che è il vicario di Cristo, di affrontare sistemi nuovi e anche di rischiare un pochino, diciamo sinceramente, anche di arrischiare.
Io sarei ben felice che un domani si arrischiasse qualcosa, e anche si sbagliasse. Però, quello che mi pare che Dio voglia, prima di tutto è che siamo angeli. Si può rischiare, si può sbagliare, si può ritentare. Amici miei, lo facciamo per la salvezza delle anime. Qualche fiasco lo hanno fatto anche gli Apostoli: basterebbe domandarlo a San Paolo quando parlò all’Areòpago. Qualche fiasco lo faremo pure noi. Però, amici, quello che è essenziale è essere angeli e rimanere angeli, cioè uomini di Dio, uniti a Dio e ambasciatori di Dio; allora sì, fratelli miei, possiamo anche andare nel mondo e fare quello che dice il Santo Padre. La preoccupazione che io ho nella Congregazione è appunto questa: bisogna che noi siamo convinti di questa prima parte; non solo convinti, ma interessati, preoccupati, fortemente preoccupati di questa prima parte. Direi che quelle prime parole del Santo Padre: “Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo”, vogliono alludere proprio a questo. Noi non siamo una Famiglia religiosa solo contemplativa; noi, per forza, siamo chiamati a lavorare in mezzo alle anime, ad andare nelle parrocchie, vorrei dire quasi a confonderci in mezzo ai fedeli... però, ci capiamo come! Siamo in mezzo a loro, siamo un po’ fratelli come loro, ma siamo i portatori di Dio, proprio gli araldi del Signore. Noi non possiamo perdere questa caratteristica altrimenti il nostro diventa un mestiere, la nostra non resta più una missione, non siamo più angeli di Dio per le anime. Questo non può essere messo in contestazione assolutamente!

PREGHIERA deserto

APOSTOLO missione

EUCARISTIA S.Messa

APOSTOLO ambasciatore di Dio

CHIESA Papa

VOLONTÀ

di DIO

APOSTOLO salvezza delle anime

APOSTOLO uomo di Dio

PASTORALE

CONSACRAZIONE fedeltà

La Montanina era la villa del poeta Antonio Fogazzaro a Velo d’Astico (VI). Probabilmente venne in seguito donata dalla figlia del Fogazzaro a monsignor Francesco Galloni che la trasformò in residenza della congregazione femminile ‘S. Maria Annunziata’ e sede dell’Associazione ‘Pro Oriente’ che aveva lo scopo di aiutare i cristiani dell’Europa dell’Est perseguitati dal comunismo. In questa casa i primi sette diaconi della Congregazione furono ospiti nel periodo di luglio-agosto 1968 per prepararsi all’ordinazione diaconale che sarebbe avvenuta il 22 gennaio 1969.

MI266,6 [21-02-1969]

6. 4. Il sacerdote è prudente negli esperimenti pastorali
Continuiamo la lettura del discorso del Santo Padre. « Ma facciamo attenzione, proprio in omaggio al carattere sperimentale e positivo dell’apostolato. Primo: non è sempre così». Vorrei sottolineare un altro particolare. Il Santo Padre, quando fa una osservazione prima mette la parte positiva. Se avete osservato bene, il Santo Padre è un ammiratore di San Francesco di Sales. Non so se ve ne siete accorti, ma ha una spiritualità improntata su quella di San Francesco di Sales, e una delle arti del santo era quella di fare sempre una lode prima della correzione. Che cosa fa il Santo Padre? Prima dice: “Bene! È una cosa necessaria...”, e poi: “Però, eh! State attenti!”. Ho sentito anche ieri in una certa conferenza che il Santo Padre si è incontrato con alcune persone fuori da ogni grazia di Dio, si direbbe, però lui trova sempre la parte buona, la parte da cui si può partire. Questo lo dovremmo fare anche noi nei nostri contatti con la gente, nei nostri contatti con il prossimo. Voi direte: “Don Ottorino, invece, non fa così!”. Che volete? Siamo tutti peccatori, tutti sbagliamo! Ma se vogliamo salvare le anime, avvicinare i peccatori, essere, insomma, buoni papà in mezzo alle anime, bisogna che sottolineiamo la parte positiva. Scusate, ma era giusto mostrare che anche il Papa fa così. «Primo: non è sempre così. Vi sono tuttora comunità di fedeli straripanti di numero e desiderose di regolare osservanza: perché lasciarle? perché cambiare per loro il metodo del ministero, quando questo è ancora autentico, valido e magnificamente fecondo?». Alcuni giorni fa sono stato alla Montanina di Velo d’Astico, ove ci sono delle ragazze indiane. La loro superiora mi diceva: “Oggi abbiamo fatto preparare il secondo piatto dalle indiane. Abbiamo detto loro: ‘Preparate voi il secondo piatto. Siccome voi mangiate sempre quello che mangiamo noi, è giusto che anche noi mangiamo, per una volta, quello che mangiate voi’. Ed esse ci hanno messo così tanto pepe, così tante droghe... hanno preparato una specie di frittelle, che erano una cosa immangiabile. Abbiamo fatto un atto di virtù per mangiarle. E hanno detto che avevano messo molto meno pepe di quello che di solito si mette in India”. Le suore, anzi, hanno invitato un giorno anche i diaconi e hanno detto: “Una sera potrebbero venire i diaconi. Facciamo una Messa, una concelebrazione, e poi lasciamo che tutta la cena venga preparata dalle indiane, non soltanto il secondo piatto”. Ora, state attenti! Vedete: in India bisogna preparare il mangiare all’indiana, in Italia all’italiana. È giusto introdurre certe novità, certe cose, dice il Santo Padre, ma se troviamo che una comunità vive bene, va bene, perché vogliamo, per esempio, improvvisamente suonare la chitarra in chiesa, quando vediamo che la gente parla un’altra lingua? Ecco, direi che il Santo Padre lo sottolinea molto bene: se ci sono persone che parlano in francese, parliamo in francese, ma l’essenziale è far conoscere il Cristo attraverso il francese.

CHIESA Papa

PECCATO peccatore

APOSTOLO salvezza delle anime

PASTORALE

ESEMPI vari

VIRTÙ

PASTORALE parrocchia

GESÙ

MI266,7 [21-02-1969]

7.Non è il caso che in sede di meditazione discutiamo questo, ma mi pare che sia sufficiente quello che dice il Santo Padre. Non siete bambini e capite che cosa vuol dire. Dunque: «... desiderose di regolare osservanza: perché lasciarle? perché cambiare per loro il metodo del ministero, quando questo è ancora autentico, valido e magnificamente fecondo?». Per esempio, ci sono certe comunità dell’America Latina, come nel Chaco o in altre parti, dove basterebbe portare le innovazioni della liturgia, fatte bene, regolarmente, la Messa celebrata bene, con i suoi lettori... insomma ciò che costituisce la liturgia. Perché dobbiamo fare passi nuovi, esperienze nuove, quando in questi luoghi è più che sufficiente quello che già si fa e dove, piuttosto, manca ancora la base del catechismo? Sono anime sitibonde di Dio: facciamo prima che vivano, mi pare! «Non faremmo torto alla fedeltà di tanti buoni cristiani per tentare avventure di esito incerto? E, secondo, quando basta aprire una nuova chiesa e accogliere con amorosa premura la gente che vi accorre spontanea ed avida di parola divina e di grazia sacramentale, perché escogitare forme nuove e strane d’apostolato di dubbia riuscita e forse di precaria durata? Non conviene forse perfezionare quelle tradizionali, e farle rifiorire, come il Concilio c’insegna, di realismo pastorale, di nuova bellezza e di nuova efficacia, prima di tentarne altre, spesso arbitrarie e di non sicuro risultato, o ristretto a gruppi particolari e staccati dalla comunione della plebe fedele? Oh, noi non dimenticheremo la parola di Gesù, che ci raccomanda di lasciare le novantanove pecorelle che sono al sicuro per andare in cerca dell’unica smarrita; e ciò specialmente se la proporzione, come oggi capita in certe situazioni, fosse contraria, quella cioè di una sola pecorella al sicuro mentre novantanove fossero quelle disperse: ma sempre il criterio dell’unità e della completezza del nostro gregge, il criterio dell’amore pastorale e della responsabilità verso le anime e del loro inestimabile valore ci sarà da guida. Bisogna fare attenzione. Il bisogno, anzi il dovere, della missione efficace e inserita nella realtà della vita sociale può produrre altri inconvenienti, come quello di svalutare il ministero sacramentale e liturgico, quasi fosse di freno e di intralcio a quello dell’evangelizzazione diretta del mondo moderno; ovvero quello, oggi piuttosto diffuso, di voler fare del prete un uomo come qualsiasi altro, nell’abito, nella professione profana, nella frequenza agli spettacoli, nell’esperienza mondana, nell’impegno sociale e politico, nella formazione d’una famiglia propria con l’abdicazione al sacro celibato». Voi direte che queste cose si verificano in altri luoghi. Invece posso dirvi, proprio con dolore, che ho sentito non uno, ma parecchi sacerdoti, buoni sacerdoti, vi dico buoni, buoni, che purtroppo sono stati un po’ avvelenati, hanno forse sentito parlare troppo, hanno forse letto troppo, io non lo so, Dio lo sa, e non voglio giudicare. La verità è che ho sentito dei buoni sacerdoti, stimati sacerdoti, dire che per conto loro la questione del celibato sacerdotale durerà qualche anno, perché per forza il Papa deve cedere. Qualcuno mi ha detto: “Sa, non è per me perché io resterò sempre celibe, ma mi pare di sentire qua e là...”. Qualche altro, vi assicuro che è un ottimo sacerdote, ha detto: “Per me il celibato è una cosa assurda. Insomma, io non sono capace di digerire il celibato”. È triste che preti di trentacinque o quarant’anni dicano questo! Si potrebbe obiettare: “Lo sapevi che a un dato momento... Ti sei ‘sposato’? Eh, scusa, non tradire il tuo ‘matrimonio’: ti sei donato, ti sei offerto!”.

MISSIONI vita missionaria

EUCARISTIA liturgia

PASTORALE parrocchia

SACERDOZIO prete

CONSACRAZIONE celibato

P. Giovanni Battista Chautard è l’autore di un libro sulla spiritualità sacerdotale dal titolo “L’anima di ogni apostolato”, molto in uso nella Casa dell’Immacolata in quegli anni.

MI266,8 [21-02-1969]

8. 5. Il pericolo dell’eresia dell’azione
Questo lavorare, per esempio, solo in forma orizzontale, dare tanta importanza a questa forma e meno a quella verticale, è una tentazione tremenda. Si potrebbe cadervi a un dato momento, io e anche voi, sostenendo che bisogna fare, bisogna fare. Non vi nascondo che a un dato momento, anche all’inizio del mio sacerdozio, questa è stata per me una tentazione tremenda perché si vedevano tante cose da fare, specialmente durante la guerra, e si credeva di essere soli nel fare. E invece bisogna guardare la lampada del Santissimo e dire: “Siamo in due, e io sono inviato da lui, sono un mandato, e le azioni sono un po’ fatte da lui”. Altrimenti, a un dato momento, corri di qua, corri di là e, insomma, credi di essere tu che fai e la preghiera diventa quasi impossibile... Nei primi tempi dell’Istituto, durante la guerra, dovevo fare da maestro anche ai ragazzi in officina, e poi come si faceva con la meditazione, il breviario, la lettura spirituale? Insomma era difficile cominciare il breviario alle dieci e trenta o alle undici di sera, dopo aver messo a letto i ragazzi! A un dato momento è naturale dire: “Insomma, insomma! Ho lavorato per loro, insomma!”. L’eresia dell’azione, di cui parlava il Chautard, è una tentazione tremenda che a un dato momento ti può prendere. Anzi hai tanti passi della Sacra Scrittura che potrebbero giustificarti, che potrebbero essere applicati al tuo caso, anche tirati o stiracchiati. Dopo tanti anni di sacerdozio mi sono convinto, miei cari, che l’opera apostolica è di Dio. Quando ti trovi dinanzi un’anima che è in peccato mortale o a una persona che da anni e anni non si confessa, quando ti trovi dinanzi a uno che vuoi mettere in contatto con Dio, se non sei legato alla carrucola, no lo puoi tirare su, non puoi prenderlo e portarlo su: occorre che ci sia una carrucola fissa in alto, una corda attorno ad essa, e allora tu tiri, tiri; ci vuole la tua azione del tirare, ma anche la carrucola in alto, un attacco, un collegamento con Dio. Se noi non abbiamo questo costante collegamento con Dio, non possiamo tirare su le anime. Corriamo il rischio di comportarci come un predicatore in una grande cattedrale, il quale sta dinanzi a un microfono e manca la corrente elettrica: lui parla, si dimena, e non lo si sente; lo sentono quelli che sono vicini, ma non viene sentito da tutti. La nostra è un’azione soprannaturale, un’azione con Dio, un’azione di Dio, tutta di Dio, il quale si serve di noi per moltiplicare i pesci, per moltiplicare i pani; dove ci vuole anche l’azione nostra, completamente nostra, dove dobbiamo metterci interamente noi stessi, però è sempre un’azione di Dio.

APOSTOLO attivismo

PREGHIERA

AUTOBIOGRAFIA Araceli

ESEMPI Eucaristia

AUTOBIOGRAFIA

PAROLA DI DIO Sacra Scrittura

APOSTOLO salvezza delle anime

APOSTOLO ambasciatore di Dio

ESEMPI vari

MI266,9 [21-02-1969]

9. 6. Proposte pratiche per la Quaresima.
Ecco, io direi di concludere la meditazione questa mattina, e di fermarci qui. Che cosa ci dice, in sostanza, il Santo Padre, in questa prima parte? Ci dice questo: amici, voi siete nel mondo, ma non del mondo; dovete essere gli uomini di Dio e spingervi nel mondo, fino alle estremità del mondo, fino alla luna, se necessario, ma essendo sempre gli uomini di Dio. Perciò, durante questa Quaresima, sforziamoci di essere gli uomini di Dio. In questa Quaresima metterei a fuoco due cose: - la prima è quella che abbiamo detto ripetutamente: penitenza, facciamo un po’ di penitenza. Ma facciamola in preparazione alla Santa Messa, per vivere meglio la Messa. Cioè, ogni mattina, quando ci presentiamo per celebrare i sacri misteri, sopra quella patena, durante la Quaresima, cerchiamo di deporre qualche cosa. Gli “oremus” della Messa durante la Quaresima parlano sempre di digiuno: “Signore, benedici il nostro digiuno, benedici la nostra penitenza”. Come sarebbe ridicolo dire: “Signore, benedici queste mie vesti bianche”, e magari sono vestito di nero! Che cosa vi pare? Se io dicessi: “Signore, che belle vesti bianche ho!”, e fossi vestito di nero! Poiché ci presentiamo al mattino al Signore e lo preghiamo di benedire la nostra penitenza, allora cerchiamo ogni giorno di offrire qualcosa al Signore. Voi sapete che la grazia di vivere un po’ in carmelo, quasi come in un cenobio nella nostra Casa, la possiamo ottenere da Dio. E allora offriamogli qualche cosa, qualche cosa che costi. Io non vengo adesso a suggerirvi che cosa fare; avete il vostro padre spirituale e mettetevi d’accordo con lui, però fate qualcosa, fate in modo di non dire bugie durante la celebrazione della Messa. Non vi dico: fate, ma facciamo! - seconda cosa: durante la Quaresima facciamo in modo di vivere la Messa, di capire con chi ci incontriamo, di capire che celebriamo il sacrificio con Cristo, che siamo noi il piccolo Gesù che ogni giorno deve essere di nuovo crocifisso. Se ci sforzeremo di fare questo, allora potremo essere anche la parola di Dio, perché noi saremo il Cristo che continua a soffrire e che parla agli uomini. Ricordatevi che potremo parlare agli uomini nella misura che noi soffriremo con il Cristo, saremo voce del Padre nella misura che saremo crocifissi per il Padre e per i fratelli.

CHIESA Papa

APOSTOLO uomo di Dio

CONVERSIONE Quaresima

PENITENZA sacrificio

EUCARISTIA S.Messa

ESEMPI vari

PENITENZA

GRAZIA

FORMAZIONE direzione spirituale

GESÙ

incontro personale

GESÙ

imitazione