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14 marzo 1969Don Ottorino si riferisce alle delibere del 1° Capitolo generale sulla vita di pietà. Il testo della delibera viene riportato in corsivo, facendo presente che nel testo degli Atti tale delibera è la n.16 e il testo è un po’ diverso.
Il diacono Vinicio Picco era all’epoca consigliere generale e, per essere entrato in Congregazione come vocazione adulta, godeva di una particolare maturità e saggezza.
Il ‘caliero’ era il paiolo in rame che serviva a fare la polenta.
Il fondo o rovescio del
caliero in dialetto si dice ‘culo del caliero’, che venendo a contatto col fuoco si annerisce facendo scomparire quanto eventualmente sia stato scritto.
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1. 1. Il dovere della riconoscenza Sia lodato Gesù Cristo. A Dio piacendo speriamo di terminare stamattina le meditazioni sulla “vita di pietà” con il commento alla delibera n.17.CONGREGAZIONE Capitolo
AUTOBIOGRAFIA famiglia
Hernán Cortés (1485-1547), famoso conquistatore spagnolo, si impossessò dell’isola di Cuba nel 1511, e poi in pochi anni conquistò l’impero degli Aztechi nel Messico facendo prigioniero e uccidendo il loro imperatore Montezuma II nel 1520 quando il popolo azteco cercò di scacciare gli spagnoli dai loro territori.
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2.Penso che noi siamo troppo facili a dimenticare i benefici ricevuti o a pagarli con una moneta troppo inadeguata. Leggendo le avventure di Cortés - potrebbero chiamarsi avventure quelle di Cortés per la conquista del Messico - si vede come i suoi soldati andassero alla ricerca dell’oro di Montezuma e compagni, e in cambio dell’oro davano specchietti, cioè vere e proprie stupidaggini; prelevavano chilogrammi d’oro e davano uno specchietto, un ninnolo qualsiasi. Noi non possiamo pagare un beneficio ricevuto con una moneta così inadeguata come può essere un grazie, e credere di avere accomodato tutto. Qualche volta si dice: “Ho ringraziato! Quella volta ho mandato un bigliettino!”. Che cosa abbiamo fatto perché abbiamo mandato una bigliettino o abbiamo ringraziato una volta? Non abbiamo fatto né più né meno che dare uno specchietto in cambio di un chilogrammo d’oro. Non illudiamoci! Siamo nell’era in cui si fanno le cose un po’ alla buona, si corre via, ci si dimentica; è facile cancellare le impressioni. La riconoscenza è un fiore che sboccia dalla carità, e se in noi, nel nostro giardino, non c’è il fiore della riconoscenza, non possiamo dire di avere la vera carità, quella riconoscenza che non si soddisfa con una sola parola. Chi sa di avere ricevuto un beneficio dovrebbe ricordarlo, vorrei dire, per tutta la vita. Anche se sorgesse qualche piccola divergenza, qualche piccolo screzio, se per caso si ricevesse da quella stessa persona anche qualche dispiacere, si dovrebbe ricordare soltanto il beneficio ricevuto; quel dispiacere non dovrebbe farci dimenticare quello che abbiamo ricevuto. Quanti figlioli, per esempio, dimenticano gli immensi sacrifici dei genitori! Perché? Perché il papà o la mamma non hanno capito qualche volta il figlio. Diamo pure questa colpa al papà e alla mamma, se volete, ma ciò non è motivo sufficiente per dimenticare tutto quello che un papà e una mamma hanno fatto per un figliolo.DOTI UMANE gratitudine
ESEMPI vari
CARITÀ
FAMIGLIA papà
Il riferimento è a Ugo Gandelli, che all’epoca frequentava il corso per ragionieri.
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3. 2. La riconoscenza verso Dio Il primo pensiero di riconoscenza deve essere per Dio. In altre circostanze vi ho detto che forse noi ringraziamo troppo poco il Signore. In quei pochi minuti nei quali ogni sera ci incontriamo con Dio, direi che il primo pensiero dopo l’adorazione deve essere quello del ringraziamento. Se volessimo suddividere quei minuti, un minuto dovremmo almeno dedicarlo all’adorazione, due al ringraziamento, un altro alla domanda di perdono e un altro alla richiesta di fare la volontà di Dio. Però se vogliamo fare una graduatoria, un paio di minuti dobbiamo dedicarli al ringraziamento. Diamo, insomma, il tempo più lungo, vorrei dire il fuoco più grande, al ringraziamento del Signore: e questo, in fondo, è atto di amore. Non dimentichiamoci di tutto quello che il Signore ci ha dato! Perciò deve scaturire ogni giorno un inno di ringraziamento dal nostro cuore. Al mattino, appena alzati, - quante volte lo si è detto nel passato! - dopo aver un po’ pianto perché non ci siamo svegliati in Paradiso, sgorghi un inno di ringraziamento perché abbiamo ancora la vita, la possibilità di fare del bene, di amare il Signore, di servire i fratelli, cioè di servire Gesù Cristo nei fratelli. 3. La riconoscenza verso i genitori Amici miei, il ringraziamento a Dio deve essere per noi un fiore naturalissimo, ma esso deve essere subito rivolto anche ai fratelli. Le nostre delibere parlano “dei vivi e dei morti”, di persone alle quali siamo legati come individui e come società; cioè abbiamo tante persone verso le quali siamo debitori. Tra queste i genitori. Noi, caro Ugo, non ricordiamo quello che la mamma ci faceva quando avevamo uno o due anni, noi non ricordiamo i dolori fisici e morali sostenuti dai nostri genitori per noi, per amore nostro. Perciò, come prima cosa, non possiamo dimenticare i nostri genitori; ogni giorno, vivi o morti, li dobbiamo ricordare, vorrei dire, mattina e sera. Penso che un buon figliolo non lascia un vuoto nella comunione: un pensierino lo fa sempre per i suoi genitori. Alla sera, prima di andare a letto, fa un pensierino a Dio per queste due creature che con il Signore hanno collaborato per darci la vita, hanno accettato di essere il mezzo attraverso il quale sono venute a noi tante grazie: per esempio, la prima educazione cristiana, la prima formazione sociale, umana, eccetera. E allora bisogna pregare Dio per loro. I nostri genitori possono aver avuto qualche difetto... erano uomini, erano creature: dimenticate i difetti, cancellate, amici miei, qualsiasi ombra che ci può essere nei vostri genitori. “Ma, mio padre - io posso dire - beveva qualche bicchiere di troppo!”. Bene, ringraziamo il Signore: era allegro con nostro Signore! Cancellate qualsiasi ombra, qualsiasi ombra! Ricordate solo quello che i genitori vi hanno dato e pregate per loro. Accanto ai genitori, quante anime buone che forse abbiamo ricordato, così, solo di tanto in tanto, ma per le quali bisognerebbe pregare di più! Possono essere quella buona zia, quella buona maestra di dottrina, quel buon sacerdote che ci ha aiutato spiritualmente e anche economicamente, i superiori del seminario per me, il padre spirituale, il rettore, il vescovo: creature che si sono dedicate alla mia formazione e che, forse, sono là in Purgatorio e aspettano una preghiera, un aiuto da chi è stato beneficato.DIO riconoscenza a...
NOVISSIMI paradiso
PROVVIDENZA benefattori
FAMIGLIA
EUCARISTIA comunione
DOTI UMANE gratitudine
PREGHIERA
NOVISSIMI purgatorio
Don Ottorino scherza sull’amicizia molto stretta che legava Ugo Gandelli con don Pietro De Marchi.
Lino Zuin, chierico del seminario di Padova, era ospite della Casa dell’Immacolata quando soffrì un banale incidente mentre stava giocando in cortile il 18.1.1969 e perdette la vita.
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4.E poi, se passiamo alla nostra Famiglia, quante persone alle quali dobbiamo riconoscenza! Tutti questi muri, questa terra, il villaggio di Bosco... sì, sono il frutto del vostro sacrificio, del vostro lavoro, ma anche di quello di altre persone che si sono private di qualcosa per darla a noi. Non sto qui, ora, a fare un lungo elenco di tutte queste persone alle quali dobbiamo riconoscenza, ma ricordatevi che non possiamo dimenticarle. Perciò, nella nostra preghiera, sia per i vivi che per i defunti, dobbiamo mettere un posto per la riconoscenza. Mostreremmo di avere il cuore un po’ cattivo se volessimo pagare con uno specchietto un chilogrammo d’oro, se ci accontentassimo di dire una parolina di tanto in tanto. Per esempio, il nostro caro don Pietro, non è vero Ugo, il tuo caro amico don Pietro, la tua anima complementare, l’anima gemella o complementare, adesso vedetevela fra di voi, mettetevi d’accordo un pochino. Ci sono persone che non si possono, non si devono assolutamente dimenticare. Per esempio, quel nostro caro Lino Zuin, come lo si può dimenticare? Dal giorno della sua morte io l’ho sempre ricordato, mattina e sera: è stato un fratello che è vissuto in mezzo a noi, e dev’essere legato al nostro cuore. È vissuto, ha mangiato, ha giocato, ha scherzato con voi, adesso è di là, con Dio; può essere in Purgatorio che attende da voi qualcosa, e come si può dimenticare? Fratelli miei, insisto proprio su questo, perché è facile quando c’è da mangiare, mangiare e dimenticarsi di chi patisce la fame. E forse tante anime vive o morte che ci hanno aiutato, hanno bisogno di aiuto. E mentre loro hanno sacrificato tanto per noi, noi forse non sappiamo sacrificare qualcosa per loro, mentre basterebbe tanto poco per dare una mano a queste creature.PROVVIDENZA benefattori
DOTI UMANE gratitudine
PREGHIERA
PENITENZA sacrificio
Don Ottorino ama scherzare, e nel caso si riferisce a don Giuseppe Rodighiero che aveva conseguito la laurea in lettere prima di entrare in Congregazione.
Don Ottorino si riferisce in particolare al gruppo degli Amici legati alla Congregazione da vincoli ben definiti di preghiera e di vicinanza, e per questo nella presente meditazione si vuole sottolinearlo scrivendo la parola con l’iniziale maiuscola.
Il termine in questo contesto ha il significato di aiuti materiali per le opere della Congregazione.
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5. 4. La riconoscenza verso gli Amici della Congregazione Qui, poi, c’è un’altra cosa: «Al venerdì si offrano sacrifici e preghiere per gli Amici della Pia Società». Se domenica prossima, viaggiando in macchina, il nostro venerabile professor dottor Giuseppe Rodighiero, di felice memoria, facesse uno scontro e una buona famiglia lo soccorresse salvandogli la vita, egli, ogni qualvolta avesse poi l’occasione di passare da quelle parti, andrebbe da quella famiglia per ringraziarla. Tanto è gentile e buono don Giuseppe che, anzi, partirebbe qualche volta apposta per farlo. Direbbe: “Mi hanno salvato la vita; stavo morendo dissanguato e sono venuti con una cavezza da vacca e mi hanno legato la ferita e mi hanno salvato”. Facciamo un altro esempio. Supponiamo che una persona arrivi prima di don Giuseppe e tolga dalla strada l’inciampo che potrebbe procurargli addirittura il disastro. In altre parole, se quella persona fa un ponte in modo che don Giuseppe non precipiti, non è ugualmente degna di riconoscenza? Se tu, don Giuseppe, giaci mezzo morto sulla strada e qualcuno ti salva, tu senti il bisogno di andare a ringraziarlo; ma se una persona ti toglie l’ostacolo che ti potrebbe portare in quelle condizioni, essa merita ugualmente riconoscenza. Ora, state attenti: da quanti disastri spirituali hanno salvato la Congregazione i nostri Amici? Noi consideriamo tutta questa grande famiglia degli Amici come creature che ci aiutano ad ottenere vocazioni e provvidenza, ma avete mai pensato che, forse, questi Amici, con le loro preghiere e il loro sacrificio, hanno salvato la nostra vocazione, qualcuno di noi e, Dio non voglia, proprio don Ottorino, da qualche caduta disastrosa? In questo momento io potrei essere nel gruppo dei traditori, se non ci fosse stata quella buona suora, quella buona mamma, quel buon papà che al venerdì hanno detto: “Signore, ti offro tutto per i membri della Pia Società San Gaetano!”.CONGREGAZIONE Capitolo
ESEMPI vari
CONGREGAZIONE amici
PROVVIDENZA benefattori
APOSTOLO vocazione
PENITENZA
Don Guido Massignan era all’epoca segretario generale della Congregazione e vicedirettore della Casa dell’Immacolata.
Mirco Pasin faceva parte della Comunità aperta nel Chaco (Argentina) nel 1967. Molto giovane, nell’ambiente difficile del Chaco, dopo pochi mesi entrò in una profonda crisi che lo portò a uscire dalla Congregazione l’anno seguente.
Don Ottorino si rivolge a Zeno Daniele, che curava la pubblicazione della rivista per gli Amici, e nel testo registrato si ascolta la risposta: “Milletrecento”.
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6. Lunedì scorso don Guido, mentre facevamo la meditazione per l’impegno di vita, mostrandomi la prima pagina del libro che teneva in mano mi diceva: “Don Ottorino, questi due teologi qui hanno gettato la veste”. “È vero?”. “Eccoli qui! - dice - Hanno gettato la veste tutti e due”. Ora, prendendo in mano l’elenco dei membri della Pia Società, se escludiamo Mirco che è giovane e che, insomma, era all’inizio della sua esperienza pastorale e in fondo, ha detto: “Non è questa la mia strada”, non possiamo dire che don Pietro sia andato con gli amici di Satanasso o si sia fatto maoista, che don Ottorino o qualche altro se ne siano andati... Ringraziando Dio, finora, finora questo non è capitato, ma chi è stato che ha sostenuto la nostra debolezza? Chi ci ha trattenuti qualche volta sull’orlo dell’abisso? È facile cadere, sapete! E allora io dico: perché non pensare a tutti questi Amici, - sono più di mille, mi pare, non è vero, don Zeno? Quanti sono? - a queste milletrecento anime che si sono impegnate ad innalzare ogni venerdì la loro preghiera a Dio? Se queste milletrecento creature offrissero il frutto materiale del loro lavoro ogni venerdì, pensate quanti soldi ci offrirebbero! Invece, offrono il frutto spirituale del loro lavoro che vale immensamente di più. Se non sono avvenute cadute disastrose nella nostra Casa, in buona parte, fratelli miei, lo dobbiamo a queste creature che ogni venerdì soffrono e pregano per noi. Non solo, se poi nella nostra Congregazione, ringraziando Dio, troviamo lo spirito buono, lo spirito di Dio, troviamo che si sta camminando con gioia sulla strada tracciata dal Signore, non dobbiamo dimenticare che ci sono delle anime che ogni venerdì, e qualcuna tutti i giorni della settimana, dicono a Dio: “Signore, fa’ che i nostri figlioli si facciano santi e facciano la tua volontà”. Può darsi benissimo che qualche venerdì ci dimentichiamo di loro. Per arrivare a questo vi consiglierei di mettere queste creature assieme ai nostri genitori e agli altri benefattori, e di ricordarle ogni giorno; in questo modo non sbaglieremo mai. Che ve ne pare? Cerchiamo proprio di sentire riconoscenza verso Dio per le grazie che abbiamo ricevuto: verso i genitori per tutto quello che hanno fatto per noi; verso gli amici e i superiori che ci hanno aiutato a salire; ma, tra i benefattori che ci hanno aiutato economicamente, mettiamo anche questo piccolo o grande esercito di anime che ci seguono giorno per giorno, si sentono proprio di famiglia e ci accompagnano offrendo qualche volta, come abbiamo visto, - non ti pare, don Guido? - anche la loro vita per noi. Qualcuno qui dentro deve certamente la sua salvezza alla immolazione di qualcuno di loro perché, più di una volta c’è stata qualche creatura che ha detto: “Offro la mia vita per i figli, per i miei fratellini della Casa dell’Immacolata, per i religiosi”. Talvolta qualcuno ha detto: “Offro la mia vita per quel religioso!”, e noi abbiamo constatato che qualche volta il Signore ha accettato l’immolazione e ha concesso la grazia. Queste sono cose, fratelli miei, che non si possono e non si devono mai dimenticare.COMUNITÀ
Impegno di Vita
CONGREGAZIONE amici
PENITENZA
PREGHIERA
CONGREGAZIONE spiritualità
DOTI UMANE gratitudine
Cfr. Galati 6,2.
Cfr. 2 Corinti 11,29. La lezione giusta è: “Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?”.
La Comunità del Guatemala era composta all’epoca da don Gianni Rizzi, don Ugo Caldini, don Leonzio Apostoli e dagli assistenti Lino Ceolato e Severino Stefani.
Il riferimento è, forse, a don Giovanni Galvan, che all’epoca era vicedirettore dell’Istituto San Gaetano di Vicenza.
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7. 5. La riconoscenza verso i confratelli Ancora. «Nel primo sabato del mese ognuno pregherà per tutti i religiosi della Congregazione e in ogni Casa sarà celebrata, allo scopo, una Santa Messa». Ho parlato dei genitori, dei benefattori e degli Amici. Ma bisogna che preghiamo tanto anche, vorrei quasi dire specialmente, per i nostri confratelli. “Alter alterius onera portate”; bisogna che sentiamo proprio il dovere “di portare gli uni i pesi degli altri”. Dice San Paolo: “C’è qualcuno in mezzo a voi che è infermo e io non sia infermo? Che è debole e io non sia debole?”. Ricordate questa frase di San Paolo! Ebbene, tutto quello che c’è di gioioso nella Congregazione deve portare gioia, tutto quello che c’è di doloroso deve portare dolore. Se ci accorgiamo che un confratello è pieno di gioia, che raccoglie nel suo apostolato, gioiamo anche noi; se ci accorgiamo che è crocifisso, soffriamo anche noi. Siamo proprio una famiglia, una vera famiglia, e quindi dobbiamo sentirci corresponsabili di tutta la famiglia. Perciò non deve entrare in noi lo spirito di critica e di invidia, ma lo spirito della santa collaborazione. Ho detto altre volte che quando vengo in chiesa per la visita passo un po’ in rassegna tutte le Comunità, e mi fermo in Guatemala - di solito comincio con il Guatemala - e considero uno per uno i nostri religiosi e dico: “Signore, lì c’è don Gianni: aiutalo, salvagli le gambe in modo che non se le rompa correndo di qua e di là. C’è don Ugo, il nostro caro Lino, Severino, don Leonzio”. Li passo uno per uno. Poi passo alle altre Comunità. Naturalmente quando arrivo a quella di Vicenza, mentre per quelle delle missioni ricordo uno per uno, non passo uno per uno, ma prendo i capi, - non so se don Giovanni è lì al buco della serratura che mi ascolta - prendo i capisquadra e dico: “Signore, benedici la testa con tutte le gambe che ci sono”.CONGREGAZIONE Capitolo
CONGREGAZIONE appartenenza
PREGHIERA
COMUNITÀ
comunione
COMUNITÀ
conduzione comunitaria
COMUNITÀ
critica
Il riferimento è a Natalino Peserico, che all’epoca stava completando il 3° anno del corso teologico.
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8.Amici miei, com’è bello sentirsi fratelli specialmente nella preghiera! Che bello è, quando senti qualche piccola cosa, portarla dinanzi al Signore, dirla al Signore e pregarlo che ci aiuti ad essere tutti sani, tutti pieni di gioia, tutti pieni di Spirito Santo! Bisogna chiedere lo Spirito Santo non egoisticamente per noi soli, ma per tutta la Famiglia, chiedere la gioia e il trionfo apostolico per tutta la Famiglia. Penso che noi non possiamo esercitare la vera carità soltanto in quel piccolo gruppo nel quale il Signore ci chiamerà a vivere, ma la dobbiamo estendere a tutti i membri della Congregazione. La vocazione, che noi abbiamo, è comunitaria, data a tutti i religiosi della Congregazione, e perciò dobbiamo sentire il bisogno di essere ‘uno’ anche nella preghiera. Quindi, io direi, non accontentiamoci della Santa Messa o della comunione, come abbiamo fissato nelle delibere, perché bisognava pure fissare qualcosa, almeno un minimo; come abbiamo indicato i cinque minuti della sera, così abbiamo fissato una volta al mese una Messa; ma questo è il minimo! Come si deve pregare ogni giorno per il papà e per la mamma, amici miei, così si deve pregare ogni giorno per i confratelli. Vorrei dire - sentite che cosa dico! - che per i genitori dobbiamo pregare perché abbiamo un dovere di riconoscenza, qui invece per un dovere di collaborazione apostolica. Se i nostri Amici pregano per noi perché possiamo stare in piedi, voi capite chiaramente che noi dobbiamo pregare gli uni per gli altri per stare in piedi. E allora alimentiamo anche la nostra carità fraterna con la preghiera. Specialmente in chiesa, qualche volta, cerchiamo di passare in rassegna i nostri confratelli non per criticarli o invidiarli, ma per aiutarli, per dare loro una mano. Quanto è bello, anche se lontani, sentirsi legati in questo modo! Voi ricordate quello che ha detto in chiesa monsignor Fanton quando è venuto la prima volta a dare l’addio al primo gruppo di missionari partenti: “Leghiamo un filo qui, a questo banco: voi tiratelo fino in Guatemala, ma cercate di non romperlo mai”. Ebbene, amici, questo filo che lega la Casa dell’Immacolata all’Istituto, al Guatemala, al Brasile, all’Argentina, a Crotone, a Monterotondo e un domani a quelli - mi pare che Natalino vada sulla luna, non è vero? - che vanno sulla luna... cerchiamo che questi fili non siano mai staccati: mai sia staccato dal nostro cuore il filo che lo lega non al cuore delle Comunità, ma a tutti i singoli membri delle varie Comunità.COMUNITÀ
fraternità
DIO Spirito Santo
CARITÀ
CONGREGAZIONE appartenenza
CONSACRAZIONE religioso
COMUNITÀ