In occasione delle festività pasquali i giovani della Casa dell’Immacolata si recavano in famiglia per alcuni giorni di vacanza, sia per non perdere i contatti con i familiari, sia per aiutare nelle cerimonie liturgiche della settimana santa in parrocchia.
Ai tempi in cui don Ottorino era seminarista c’era la tradizione nelle parrocchie di chiamare un predicatore a tenere il quaresimale in preparazione alla Pasqua. Nella settimana santa, e in particolar modo il venerdì santo prima della processione, il predicatore raccontava la passione del Signore, a volte dilungandosi molto.
MI300,1 [25-03-1970]
1 Sarebbe bene che questa mattina ci fermassimo un pochino a meditare sulla passione del Signore. Non l'ho fatta leggere pubblicamente in chiesa, perché adesso si può leggere il Vangelo sul lezionario, ma ho pensato che almeno una volta, dato che il venerdì santo sarete a casa, dobbiamo soffermarci un momentino su di essa. Non faremo come si faceva un tempo il venerdì santo, quando si faceva la predica della passione. Ricordo quello che è capitato una volta con un certo predicatore venuto a Quinto: dopo quaranta minuti... il Signore era ancora nell'Orto degli Ulivi. E la gente era paziente, mentre alcuni che stavano fuori di chiesa di tanto in tanto mandavano dentro qualcuno a prendere informazioni: «Va’ a vedere a che punto è arrivato». Ricordo di essere uscito un momento di chiesa, ero chierichetto o meglio seminarista, per chiamare uno che si trovava fuori, e mi sono sentito domandare: «A che punto è arrivato?», e allora ho risposto: «Si trova ancora nell'Orto degli Ulivi». Ora tralasciamo pure il racconto, però facciamo alcune riflessioni sulla passione del Signore. Abitualmente ogni esposizione si articola in tre parti, e così faremo anche noi questa mattina.GESÙ
Via Crucis
AUTOBIOGRAFIA Quinto
Il signor Giovanni Frattini viveva nella parrocchia Gesù Operaio di Monterotondo (Roma), e sempre sostenne e aiutò le opere della Comunità della Congregazione che ivi operava.
Il termine pagare, anche se non molto bello teologicamente parlando, è molto caro a don Ottorino per sottolineare che Gesù è venuto a salvare gli uomini con il sacrificio di se stesso.
L’episodio dell’epilettico indemoniato è narrato da Mt 17,14-21; Mc 9,14-29 e Lc 9,37-42.
Cfr. Atti 3,1-9.
La leggenda a cui si riferisce don Ottorino è entrata nella letteratura e nel cinema, e la chiesetta del “Quo vadis”, nei pressi delle catacombe di San Callisto, è meta di continue visite da parte dei fedeli.
Probabilmente don Ottorino accenna con delicatezza al ciclo naturale delle nostre buone mamme, vedendolo come simbolo del loro continuo sacrificio per la famiglia.
Antonio Bottegal, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico, era addetto alla segreteria di don Ottorino
MI300,2 [25-03-1970]
2. Prima riflessione: Gesù si è consegnato volontariamente, cioè non è stato preso a tradimento, per caso, ma si è consegnato. Perché? Perché era volontà del Padre che gli uomini venissero salvati attraverso il sacrificio del Figlio. Quando i nostri confratelli vanno in missione, vanno con la speranza di poter predicare il Vangelo, di fare anche delle opere, delle opere parrocchiali, caritative, come vediamo che stanno facendo sia a Crotone, come anche a Monterotondo dove stanno organizzandosi e animando da una parte e dall'altra: hanno cominciato con l'asilo infantile, e ora con un po' di terreno vogliono realizzare un campo da gioco... adesso sperano che il signor Frattini venda del terreno per poter avere in dono il ricavato. Vediamo le stesse cose nel Chaco, dove stanno avviando la scuola professionale e qualche altra cosa sta sorgendo e anche la chiesa... In Brasile e nel Guatemala: la stessa cosa. Cioè noi vediamo, praticamente, che i nostri confratelli partono con un bel programma, - e noi godiamo di questo, godiamo! - un programma apostolico, anche organizzativo, e mentre stanno lavorando interiormente con le anime, catechizzando, evangelizzando, stanno anche promovendo una certa azione sociale, utile per i nostri fratelli cristiani. Però c'è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare: Gesù è venuto a predicare il Vangelo, ma anche a pagare. È venuto anche a pagare. E forse questa è stata la lezione che gli Apostoli hanno capito di meno. Hanno forse capito la prima parte, quella di far miracoli, che forse piaceva loro di più, ma si sono lamentati quando le cose non sono andate per il loro verso; infatti ai piedi del monte Tabor non sono riusciti a cacciare i demoni. Dopo hanno cominciato. Infatti Pietro e Giovanni, quando si sono recati alla porta Speciosa del tempio dopo l'ascensione al cielo del Cristo, hanno detto: «Non abbiamo né oro né argento, ma nel nome di Gesù alzati e cammina!». Hanno imparato subito, come anche a predicare, quando discese su di loro lo Spirito Santo, ma a patire e a soffrire non subito. Voi sapete che a Roma c'è la chiesa del «Quo vadis», legata alla leggenda che racconta che San Pietro, arrivato a Roma, visto che le cose si mettevano male per lui, la sua vita era in pericolo e la sua missione non attecchiva, in altre parole visto il sacrificio, avrebbe preso la via del ritorno. Sulla via Appia antica si sarebbe incontrato con il Signore, il quale gli avrebbe detto: «Che fai? Dove vai?», o meglio, San Pietro avrebbe domandato: «Dove vai, Signore, per questa via?». E il Signore gli avrebbe risposto: «Vado a Roma a morire un'altra volta». «Ho capito!», avrebbe detto allora San Pietro; ritornò indietro e andò incontro al martirio. Questa è una realtà, una realtà! Quando l'apostolo va in una nazione, va in un luogo a predicare il Vangelo, non deve dimenticare che è necessario il suo sangue, sangue che può essere sparso con un martirio violento o con un martirio lento, che può essere sparso come lo spargono le nostre buone mamme nell’arco di trenta o quarant'anni, come può essere sparso, per esempio, in un parto o in un incidente. Anzi, a questo proposito, vorrei che ricordassimo nelle nostre preghiere la sorella del caro Antonio Bottegal, la quale ha subito un intervento chirurgico proprio per queste cause ed era piuttosto grave in questi giorni; adesso sembra che vada rimettendosi, però l'intervento le impedirà di essere di nuovo mamma. Le nostre mamme spargono il loro sangue per i propri figli, talvolta d’un solo colpo rimettendoci la vita, talvolta invece in una forma lenta, come richiedono l'educazione dei figli, la loro cura durante la notte, la preoccupazione per la loro salute, e quando credono d'avere finito la loro opera ricominciano con l'educazione dei figli dei figli. E così non finiscono mai.GESÙ
Via Crucis
GESÙ
redenzione
VOLONTÀ
di DIO
PASTORALE
CONGREGAZIONE storia
COMUNITÀ
confratelli
DIO Padre
PAROLA DI DIO Vangelo
DIO Spirito Santo
PENITENZA sacrificio
CROCE martirio
CROCE sangue
FAMIGLIA mamma
FAMIGLIA figli
FORMAZIONE educazione
Il riferimento è al trasferimento da Araceli alla prima casetta dell’Opera nella zona di Saviabona per dedicarsi a tempo pieno all’assistenza e alla formazione dei ragazzi orfani.
Don Giovanni Calabria (1873-1954), canonizzato nel 1999, fondatore dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza, godeva fama di santità ancora in vita. A lui don Ottorino ricorse per chiedere consiglio prima di iniziare l’Opera e gli rimase legato da sentimenti di profonda venerazione e stima.
MI300,3 [25-03-1970]
3. Non dobbiamo dimenticare che Gesù è disceso dal cielo per evangelizzare e per pagare. Anche noi dobbiamo andare a predicare il Vangelo: predicare e pagare. Non possiamo dimenticare la seconda parte, altrimenti non abbiamo capito niente della nostra missione apostolica. Il giorno in cui mi io sono stabilito qui a Saviabona sapevo chiaramente che prima di predicare avrei dovuto pagare, e sapevo chiaramente che, incominciando a predicare, avrei dovuto incominciare a pagare. Quando don Giovanni Calabria mi disse: «Preparati a soffrire e a patire», non fece altro che ricordarmi che ero prete, a ricordarmi quello che mi ero già prefisso e che avevo messo in preventivo ancora da ragazzo facendomi prete. Quando entrai in seminario, vi entrai per offrirmi al Signore, cioè per offrirgli il mio corpo e la mia lingua, il cuore, l'intelligenza e tutto, sapendo già che il Signore avrebbe preso il corpo e lo spirito e li avrebbe maciullati, un pochino, per la salvezza delle anime. Come un limone si spreme per fare una limonata per un fratello, così noi apostoli dobbiamo essere disposti ad essere spremuti per dare il nostro sangue ai fratelli. Come non è possibile, fratelli miei, togliere dalla vita di una mamma il sacrificio, così non possiamo togliere dalla vita di un apostolo questa, vorrei dire, maternità delle anime. Una mamma partorisce nel dolore, nel sacrificio, e con il sacrificio educa; noi dobbiamo, scusate, partorire le anime ed educarle, seguire cioè il ciclo che fa una mamma, ma questo è impossibile senza sacrificio, senza dolore, senza immolazione. Perciò, quando i miei successori, dal momento che ormai io sono vecchio, verranno un domani a visitarvi nei luoghi di missione, forse verranno a visitarvi anche su Marte, sulla Luna o in qualche altra parte, chissà dove, e si incontreranno con voi e voi direte loro: «Ah! Qui c'è tanto da soffrire!», ebbene, che cosa dovrebbero fare? Andare in chiesa e ringraziare il Signore.APOSTOLO predicazione
MISSIONI
GESÙ
incarnazione
GESÙ
redenzione
CONGREGAZIONE Casetta
SACERDOZIO paternità
spirituale
SACERDOZIO prete
AUTOBIOGRAFIA seminario
APOSTOLO salvezza delle anime
PENITENZA sacrificio
CONSACRAZIONE offerta totale
CONSACRAZIONE immolazione
FAMIGLIA mamma
DIO riconoscenza a...
CROCE sofferenza
CROCE sangue
Il termine paracarri è abituale in don Ottorino per significare le croci che indicano il cammino del Signore. Nell’esempio nomina il diacono Vinicio Picco, all’epoca consigliere generale, considerato fra gli anziani della Congregazione.
MI300,4 [25-03-1970]
4 Se io, per esempio, un domani andassi a Crotone o a Monterotondo o in America, e sentissi i nostri confratelli che mi dicono: «Ringraziando il Signore, la gente viene in chiesa, però sapesse, sapesse quante sofferenze!», significherebbe che il treno va bene. La cosa più dolorosa per me, invece, sarebbe se dicessero: «Tutto va bene: nessuna difficoltà». Vi assicuro che per me sarebbe triste. Quante volte ho detto a voi anziani, quando eravate più giovani, che se io vedessi una strada senza paracarri mi fermerei! Ricordi, Vinicio? Se vedessi una strada senza paracarri, improvvisamente mentre sto correndo, mi fermerei. Più volte ho portato l’esempio di quella volta che, andando in macchina verso Roma, a circa metà percorso, sugli Appennini, a un certo momento, credendo che fosse la strada giusta e continuando ad andare avanti, mi sono accorto che non c’erano più i paracarri e la strada non era più asfaltata. Allora ho detto: «Eh, no! Non è possibile che una strada piena di curve in mezzo ai monti - anche se allora non c'erano le autostrade - sia senza paracarri e senza asfalto. Certamente ho perso la strada!». E son tornato indietro. Infatti, ad un bivio, avevo sbagliato strada. Perciò quando su una strada provinciale non si trovano più né asfalto né paracarri, si dice: «Qui ho sbagliato strada!». Alla stessa maniera, se nella vita apostolica non troviamo più croci né difficoltà, significa che abbiamo sbagliato strada. Se vi trovate in un luogo di missione e non avete più da soffrire, tornate a casa, avete sbagliato strada, non siete sulla strada giusta. Perché? Perché sarebbe come se si volesse fare una travatura con ferro e sabbia, ma senza cemento: non è possibile se manca il cemento. Il cemento della vita apostolica è il sacrificio perché il Signore ci ha chiamati a questo.MISSIONI
DIO riconoscenza a...
CROCE sofferenza
CROCE difficoltà
AUTOBIOGRAFIA viaggi
PENITENZA sacrificio
APOSTOLO chiamata
Il termine mestiere è molto significativo per dire che la missione sacerdotale svuotata del sacrificio viene avvilita terribilmente e perde la sua dignità.
Nel testo registrato don Ottorino cita l’ultima parte della frase di Gesù, come è trasmessa da Lc 22,42, in latino.
Cfr. Mt 26,46.
Don Ottorino continua il linguaggio usato prima per la donna che sta per essere madre, e nomina nell’esempio Mariano Apostoli che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico.
MI300,5 [25-03-1970]
5. Ricordo che quando ero ragazzo vidi un santino di piccole dimensioni: vi era raffigurato Gesù ragazzo con accanto un altro ragazzo inginocchiato davanti a lui. Gesù aveva allargato la sua corona di spine e l'aveva messa in modo da circondare ambedue le teste, quella del ragazzo e quella sua. In calce all'immagine era scritto: «Sacerdos, vinctus Christi». Capite questo latino? «Sacerdos, vinctus Christi». Nell’immagine Gesù era un ragazzetto di forse dodici anni. Pensai: «Se voglio farmi prete devo accettare di inginocchiarmi dinanzi al Signore e che lui allarghi la sua corona di spine cingendo anche il mio capo, altrimenti devo cambiare mestiere ». Non accettare questo vuol dire non avere capito niente di ciò che significa essere prete, apostolo, araldo del buon Dio. Gesù l'aveva capito. Lui, venendo dal cielo, lui Dio ha preso un corpo e un'anima come noi e quest'anima umana ha accettato la missione apostolica pur avendo dinanzi la visione della sofferenza e della croce. Ha detto soltanto: «Padre, è grande la sofferenza che mi domandi; se è possibile passi questo calice, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta». E quando giunse la risposta dal cielo: «No, caro, non c'è niente da fare: bisogna che tu beva quel calice», che cosa fece? Si alzò, svegliò gli Apostoli e disse: «Presto, andiamo! Colui che mi tradisce è vicino». Aveva contato i passi del traditore, aveva visto l'avvicinarsi dei suoi nemici; per lui sarebbe stato facilissimo scomparire, fuggire altrove anche con le proprie gambe, e invece non lo fece: andò incontro alla sua passione perché sapeva che con quella passione avrebbe salvato noi, avrebbe salvato gli uomini. Guardate che è importantissimo questo atteggiamento di Gesù. Per cui non dobbiamo meravigliarci quando il Signore ci invia la croce. Quando, per esempio, una mamma va a trovare una figlia che sta piangendo per le doglie del parto, le dice: «Perché ti meravigli? Lo sapevi. Per diventare mamma bisogna che tu passi per queste sofferenze». Se io vado a visitare un figlio e lo trovo che piange perché l'hanno calunniato, insultato, maltrattato, gli dico: «Caro Mariano, non lo sapevi, non lo sapevi? Non volevi diventare mamma? Eccolo, eccolo qui il modo!».AUTOBIOGRAFIA seminario
GESÙ
Via Crucis
GESÙ
imitazione
SACERDOZIO prete
APOSTOLO chi è
l’
apostolo
GESÙ
servo
GESÙ
incarnazione
CROCE sofferenza
DIO Padre
GESÙ
salvatore
GESÙ
redenzione
FAMIGLIA mamma
MI300,6 [25-03-1970]
6. Amici miei, è importante non dimenticare questo, perché teoricamente siamo tutti d'accordo, però, quando arriva la croce, mandiamo in malora i nostri figli. E per conto mio - scusate la brutta parola, ma siete tutti uomini - si fa un aborto quando si respinge la croce. Dico male? Dovete capire da uomini che cosa voglio dire. Quando una mamma comincia a sentire le doglie e dice: «Ah! Io non voglio queste sofferenze: meglio abortire! Non voglio provare queste sofferenze!», beh, quella è una tigre, non è una mamma. Alla stessa maniera quando noi apostoli respingiamo la croce, non vogliamo la croce, ci ribelliamo o magari brontoliamo dinanzi alla croce, noi facciamo la stessa cosa: non vogliamo partorire le anime, cioè salvare i fratelli, perché noi li salveremo solo con la croce. Dunque, il primo pensiero è questo: Gesù ha accettato volontariamente la croce che il Padre aveva stabilito come mezzo di salvezza dei fratelli. Noi, se vogliamo essere veramente preti, dobbiamo accettare, con rassegnazione almeno, ma generosamente, quella croce che Dio Padre ha stabilito che sia la nostra porzione di sangue per la salvezza dei nostri fratelli. Possiamo anche cercare di evitarla, se volete, ma ricordiamoci che non possiamo togliercela, perché togliercela significherebbe togliere una parte del nostro sacerdozio.CROCE
FAMIGLIA mamma
APOSTOLO salvezza delle anime
GESÙ
redenzione
GESÙ
servo
SACERDOZIO prete
SACERDOZIO paternità
spirituale
CONSACRAZIONE generosità
Cfr. Mt 26,63.
Cfr. Mt 22,15-22; Mc 12,13-17; Lc 20,20-26.
Cfr. Gv 8,1-11.
Cfr. Mt 26,57-66; Mc 15,53-64; Lc 22,66-71.
MI300,7 [25-03-1970]
7. Seconda riflessione: Gesù si consegna, però prima domanda al Padre se è possibile che passi da lui quel calice, ma, visto che deve accettare, lo accetta. Allora lo accetta in silenzio: «Jesus autem tacebat». Gesù si dimentica, quasi, della sua dialettica e della sua forza nell'atto di accettare la croce. Per lui sarebbero state sufficienti due o tre parole per capovolgere la situazione... «Di chi è questa moneta?». «Di Cesare». «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». E altrove: «Questa donna è stata colta in peccato: che cosa dobbiamo fare?». Pensavano: eh, adesso vedremo come se la caverà. E Gesù: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Vinicio, don Ottorino, i più vecchi... sono rimasti con un palmo di naso. «Donna, dove sono i tuoi accusatori?». «Se ne sono andati!». «Va’ in pace e non peccare più!». Gesù metteva sempre nel sacco i suoi avversari. Loro andavano con il sacco, pensando: «Vediamo: che sia possibile, adesso, prenderlo?». E lui sfuggiva e metteva dentro loro, e poi restava a guardarli. Il Signore ha sempre fatto così. Per lui sarebbe stato facilissimo confonderli, anche con la sola parola. Quando, per esempio, aprirono il primo tribunale nella casa di Caifa e portarono testimoni e controtestimoni... mi pare di vedere il Signore sorridere nel suo intimo perché c'era gran confusione. A un dato momento: «Come possiamo fare?», si chiesero. «Senti, - disse il sommo sacerdote rivolto a Gesù - ti scongiuro per il Dio vivo, dimmi se sei...». E lo costrinsero a dire una bestemmia, secondo il loro giudizio, cioè a dire la verità. «Ecco qua: che bisogno abbiamo ora di testimoni?». Sfido io, c'erano testimoni che si contraddicevano l'un l'altro! Per forza! Se il Signore avesse voluto confonderli fino in fondo, l'avrebbe fatto facilmente, li avrebbe fatti cadere nella loro stessa fossa, dentro il loro stesso sacco. Invece Gesù taceva. Gesù sopportò gli insulti che erano più forti degli stessi colpi, gli insulti sopportati dal Signore erano più forti degli stessi schiaffi, degli stessi flagelli. Perché li sopportò? Se questa è la volontà del Padre, se è un cibo che devo mangiare, perché prendermela con coloro che me lo danno? Lo accetto dalle mani del Signore. Tante volte noi non siamo capaci di accettare dalle mani del Signore quelle croci che vengono dai nostri fratelli o dai nostri superiori, cioè non sappiamo vedere il timbro di Dio, il suo sigillo nelle croci che troviamo sul nostro cammino. È vero che la condanna di Gesù, la sua flagellazione, le sue sofferenze sono venute dalla cattiveria degli uomini, anche la condanna che Pilato stesso gli inflisse per paura, però il Signore le ha accettate dal Padre come mezzo di salvezza dei fratelli. Ora vorrei domandare a me stesso e a voi: sappiamo noi accettare dalle mani di Dio le croci che ci vengono?DIO Padre
GESÙ
Via Crucis
VOLONTÀ
di DIO
COMUNITÀ
confratelli
CROCE sofferenza
GESÙ
redenzione
Il riferimento è alle difficoltà affrontate da don Otorino, specialmente nel 1968, per ottenere il diaconato permanente per i religiosi non preti della Congregazione. Il maggior oppositore fu il vescovo diocesano mons. Carlo Zinato, motivo di grandi sofferenze perché nulla don Ottorino avrebbe fatto senza il suo assenso, che considerava la firma di Dio.
L’allusione molto esplicita è ai responsabili della legatoria della Casa dell’Immacolata e dei lavori di ristrutturazione di villa San Giovanni, ove i religiosi erano chiamati a portare la loro collaborazione.
Nell’esempio don Ottorino nomina Renzo Dabionelli, che all’epoca frequentava il 1° anno del corso teologico.
Il riferimento è alle località dove erano state aperte le missioni della Congregazione in Argentina e in Brasile.
Nell’esempio dapprima e nelle domande retoriche poi don Ottorino torna a nominare ancora una volta il diacono Vinicio Picco.
MI300,8 [25-03-1970]
8. Presento un caso. Quando lo scorso anno, o meglio l'altr'anno ormai perché gli anni passano, stavamo lottando per il diaconato, noi cercavamo di fare tutto il possibile per ottenerlo perché ci sembrava volontà di Dio, ma trovavamo per strada degli ostacoli, riguardo ai quali, almeno così mi pare, mi sforzavo di dirvi: «Accettiamoli dalle mani del Signore; è lui che permette questo». Perciò lottavamo, se volete, con gli uomini, ma non nutrivamo nessun astio contro di loro, nessuna avversione nei loro riguardi. Perché? Perché ci sembrava doveroso proseguire per quella strada, ma nello stesso tempo noi vedevamo gli uomini come strumenti nelle mani di Dio per la nostra purificazione. Bisogna che anche voi sappiate prendere dalle mani di Dio, cioè spiritualizzare e trasformare, quelle occasioni di sofferenza che vi si presentano oggi, e che possono essere il professore a scuola o il vostro confratello o il datore di lavoro, che nel caso nostro è l'incaricato della legatoria o anche il direttore generale dei lavori della villa San Giovanni. Però bisogna saper cogliere queste occasioni perché, se non siete capaci di spiritualizzare le croci che incontrate oggi sul vostro cammino e vi ribellate in forma umana criticando chi ve le fa subire, non sarete capaci di accettarle un domani nel campo apostolico come mezzo di salvezza vostra e dei vostri fratelli. In tutte le croci che incontriamo è chiaro che c'è, vorrei dire, o una cattiveria da una parte o una incomprensione o una leggerezza umana dall'altra, ma qui il Signore ci invita a dire: «Renzo per sua distrazione mi ha messo nel caffelatte qualcosa di amaro, ed io lo prendo lo stesso per amore del Signore e cerco di dire a Renzo: “Sta’ attento un'altra volta”, ma con semplicità». Gesù sapeva che i Giudei commettevano un peccato, sapeva che la sua condanna era ingiusta, sapeva che le parole che essi pronunciavano contro di lui non avrebbero dovuto pronunciarle, però sapeva anche che essi erano strumenti della sua crocifissione e passione, necessarie per la salvezza degli uomini. Se non ci abituiamo a saper soffrire per amore del Signore nella Casa dell'Immacolata, cambiamo casa, cambiamo posto, cambiamo mestiere! Perché, se non siamo capaci di soffrire qualche cosa qui per causa dei fratelli, non saremo capaci di accettare un domani quella croce che potrebbe venirci dal sindaco di Presidencia Roque Sáenz Peña o dagli abitanti di Resistencia o di Resende, o anche da un vescovo, cioè da chi vuole il Signore. Ciò non significa che un domani dobbiamo essere degli stupidi e non dire con semplicità le ragioni che si devono dire, ma bisogna anche concludere: «Io ce l'ho messa tutta, e adesso sia fatta la volontà del Signore!». Alla fine ritorniamo sempre alla fede semplice di nostra nonna, - non è vero, Vinicio? - la quale metteva la chioccia a covare e aggiungeva: «Io ho fatto tutto il possibile; adesso, Signore, pensaci tu. Se nascono i pulcini, bene, se no, pazienza!», oppure metteva la focaccia a cuocere e diceva: «Io ce l'ho messa tutta... Signore, una benedizione! Se si brucia, pazienza! Se esce cotta bene, ringraziamo il Signore, altrimenti pazienza!». Ciò che importa è questo sapere accettare tutto dalle mani del Signore, e non prendersela con il bottegaio che ha venduto farina vecchia... o con questo o con quello. Accettiamo un pochino le contrarietà dalle mani del Signore. Non so se ho detto cose poco belle: tu, Vinicio, sei d'accordo? Non so se sono riuscito a rendere il pensiero, ma spremi, spremi, si riduce a questo.DIACONATO
CONGREGAZIONE storia
VOLONTÀ
di DIO
CROCE sofferenza
VIRTÙ
fede
COMUNITÀ
critica
CROCE incomprensioni
DIO amore a Dio
GESÙ
Via Crucis
GESÙ
redenzione
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CHIESA Vescovo
DOTI UMANE buona volontà
L’espressione scherzosa vuole significare che Gesù accetta ogni sofferenza da parte degli uomini per amore del Padre, e non per altri motivi.
Nel testo registrato don Ottorino usa l’espressione latina “in humanis”, e il termine dialettale barba.
Nell’esempio don Ottorino nomina Giorgio Girolimetto, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico, che negli anni precedenti aveva frequentato la facoltà di filosofia della Pontificia Università Gregoriana a Roma.
Cfr. Mt 27,46 e Mc 15,34.
MI300,9 [25-03-1970]
9. Terza riflessione: Gesù accetta liberamente, va incontro alla passione, tace e soffre, però tanto l'andare incontro alla passione quanto il tacere non li fa naturalmente, cioè con soddisfazione umana, ma come se dicesse: «Li faccio perché c'è qui mio Padre, altrimenti ve la farei vedere io». Qualche volta si nota un atteggiamento simile quando ci sono cinque, sei, sette, otto giovani ed è presente con loro anche don Ottorino. Se uno dice una frase poco corretta, si legge negli occhi degli altri come se fosse scritto: «Ringrazia il Signore che c'è qui don Ottorino, altrimenti ti rimangeresti le parole!». Se poi don Ottorino si allontana per cinque minuti, si sente il motorino andar su di giri: «Boooooom...». Quando torna don Ottorino tutto si smorza. Se chiede: «Che cosa c'era?», rispondono: «Ah, niente, niente!». Sono cose che capitano, e capitano spessissimo, perché siamo nell’ambito della fragilità umana. In altre parole: finché è presente la persona più anziana bisogna stare in guardia perché si potrebbe ricevere un rimprovero, e allora si preferisce moderare la pressione, ma non appena questa si allontana, la reazione scoppia. Mi pare che Gesù soffre, ma dinanzi allo sguardo del Padre, il quale vuole quella sofferenza per la salvezza degli uomini. In altre parole il Signore non è uno stupido, un essere insensibile: è intelligentissimo, e senza dubbio il più sensibile al dolore di tutti gli uomini. Però, però, ha accettato e l'una e l'altra cosa, sentendo il dolore. Io vorrei proprio sottolineare questo: noi non possiamo pretendere di non provare dolore, di non sentire il peso della croce; il fatto di accettarla per la salvezza delle anime non vuol dire che si è divenuti insensibili. Qualche volta noi diciamo: «Accetto la croce», ma quando essa ci capita sulle spalle, è naturale sentirne il peso. Amici miei, guardate che restiamo uomini, e una umiliazione è sempre un'umiliazione, una bastonata è sempre peggiore di una carezza. Se, per esempio, si va a fare una predica e con l'aiuto del Signore essa riesce bene, si prova una certa contentezza; se invece si avverte che è riuscita male, si sta male: è impossibile non provare questo piacere o questo dispiacere. Se ti consulta una persona e tu riesci a renderla soddisfatta e anche, umanamente parlando, a fare una bella figura perché ti domanda un consiglio e il consiglio ti riesce azzeccato, tanto che lei esclama: «Sono venuta dal nostro caro Giorgio; avevo domandato a filosofi e a teologi, ma nessuno mi ha soddisfatto; invece lui ha centrato immediatamente», è logico che Giorgio provi una certa gioia. Se, invece, a quella persona lui risponde: «Ma... sa... non saprei neanch'io...», e lei gli dice: «Beh, beh, pazienza!» e se ne va mortificata, è chiaro che Giorgio resta disgustato. Non possiamo eliminare il gusto e il disgusto. Gesù stesso lo ha mostrato. Con le sue ultime parole: «Padre, Padre, perché mi hai abbandonato?» , sembra quasi dirci: «Ricordatevi che io ho mangiato questo pane della passione, ma guardate che mi è costato sangue. Ho accettato la passione, ma ricordatevi che è passione ed è stata vera passione».GESÙ
Via Crucis
DIO Padre
GESÙ
uomo
GESÙ
redenzione
CROCE sofferenze morali
APOSTOLO uomo
APOSTOLO salvezza delle anime
CROCE sangue
“Nei secoli dei secoli. Così sia”.
MI300,10 [25-03-1970]
10. Fratelli miei, io vi ripeto quello che mi disse don Giovanni Calabria: «Mettete in preventivo che la passione resterà passione, la sofferenza sofferenza, l'abbandono abbandono, la tristezza tristezza». Non potete trasformare questo peso solo perché lo offrite al Signore. Una giornata di lavoro, offerta pure per la patria, è sempre una giornata di lavoro. Se andate a sudare una giornata, offritela a chi volete, ma è sempre una giornata di sudore. Se la offrirete al Signore, sentirete per questo una certa gioia nell'animo, ma, amici miei, quella giornata in cui si soffre, si soffre e si sta male, è vero che più si soffre, più si guadagna per il Paradiso, più si guadagna per le anime, ma resta che il dolore è dolore. Qualche volta ho rilevato che, supponiamo, Ruggero offre la sua croce al Signore, è tutto contento, pienamente d'accordo e dice: «Mi faccio prete, offro le mie croci al Signore», ma quando poi sta portando la croce si lamenta: «Sì, ma... sì, ma...». «Ma l'hai offerta o no?», osservo io. «Sì, l'ho offerta al Signore, ma, capisce...». «Insomma: l'hai offerta o no?». «Sì, ma...». In altre parole: l'ha offerta, ma pensava che non pesasse. Allora questo è come portare una collanina d'oro con la crocetta d'oro falso. È chiaro? In questi giorni Gesù vuole insegnarci che lui ha accettato la croce e, mentre la portava, taceva e offriva; però era sensibile al male. Se vogliamo essere seguaci di Gesù, essere il Cristo che continua l'opera della salvezza degli uomini, dobbiamo anche noi accettare quella che è la base del nostro sacerdozio: la volontà di Dio, e nella volontà di Dio state sicuri che c'è una giusta percentuale di croce. Vi assicuro che quella non manca mai. Accettatela volentieri dalle mani del Signore, sapendo tacere perché altrimenti non è bene accettata, ma mettendo in preventivo che le pacche restano pacche in “saecula saeculorum. Amen”.CROCE sofferenza
ESEMPI croce
APOSTOLO salvezza delle anime
SACERDOZIO prete
NOVISSIMI paradiso
GESÙ
Via Crucis
GESÙ
uomo
GESÙ
sequela
GESÙ
redenzione
VOLONTÀ
di DIO