1. Sia lodato Gesù Cristo!Iniziamo presentando le nostre felicitazioni al caro Adriano per lo scampato pericolo: poteva essere morto e non lo è. Però, state attenti! Una volta era in agosto che di solito capitavano le disgrazie, adesso sono incominciate un po' prima. Guardate che non è disgiunto dalle disgrazie il primo caldo, per cui si è un pochino distratti. Quando si adoperano le macchine, quando si usano attrezzi meccanici, bisogna avere prudenza.Vi pregherei quindi di avere una certa prudenza, e se uno nota l'imprudenza di un altro glielo dica, da buon fratello. A volte qualcuno potrebbe essere distratto per un momento e causare un incidente. È bene preavvisare, parlare, aiutarsi, perché non dobbiamo andare in cerca di disgrazie. Ormai la macchina l'abbiamo collaudata con la vita di Giorgio; adesso il telaio l'abbiamo già collaudato, come pure il muletto. Ora, basta! Non ci sono altre macchine, mi pare, da collaudare, non ce ne sono altre.
Per esempio, in legatoria c’è il tagliacarte. L'altro giorno stavate tagliando i libri ed eravate in due o tre che ci mettevate le mani. È necessario essere severi nel richiedere prudenza e attenzione nell’uso di questi mezzi: non si deve prendere confidenza con gli attrezzi e con le macchine. E soprattutto in questo momento non bisogna prendere confidenza con le macchine. Magari, per far più presto, si dice: «Beh, tu premi qua, io premo là», mentre si manovra il tagliacarte, con il rischio di rimetterci una mano o che ne vada di mezzo qualcosa. Può capitare anche qualche incidente più grave.Il lavoro è un'attività bellissima, seria, ma anche pericolosa. Marco, non è una barzelletta questa, è una realtà.
Poiché siamo in un periodo di vacanza e, naturalmente, abbiamo anche un po' di stanchezza fisica, allora ho pensato di offrire una meditazione più leggera del solito. Michele mi guarda con un certo sorriso, quasi per dirmi: «Perché non dice che ho ottenuto trenta all'esame?». Suvvia, battiamogli le mani... lo aspettava. Sì, hai ragione, Michele, anche perché devo prepararti l'animo a dare la tinta.
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2. State attenti! Ho pensato di ricavare la meditazione da questo libro, perché così abbiamo un po' di varietà che distrae un pochino.
Il Signore stava percorrendo la Galilea, allorché si imbatté in una piccola carovana in cui c'era Gamaliele, il quale doveva andare a pregare sulla tomba di Hillele. Incontratosi con Gamaliele, Gesù si fermò con lui perché si erano già conosciuti durante un pranzo in un altro luogo, e cominciarono a chiacchierare un po' insieme. E allora il Signore disse: «Vengo anch'io». I servi rimasero, e i due si misero in strada: Gamaliele cavalcava una mula e il Signore un'altra. Anche se i fatti non si svolsero proprio così, press'a poco avveniva qualcosa del genere, perché anche Gesù è vissuto, ha mangiato, ha bevuto, ha riposato, ha parlato con gli uomini. Presero quindi una mula ciascuno e cominciarono a salire.Il Signore taceva, rimaneva in silenzio e osservava la natura. Siccome anche noi siamo ora in attesa delle vacanze, io direi che è importante sottolineare proprio questo particolare. Per tagliare l'aria, Gamaliele avrebbe detto:«Tu ami molto le erbe e gli animali, non è vero?».«Molto. È il mio libro vivente. L'uomo ha sempre davanti le fondamenta della fede. La Genesi vive nella natura. Ora, uno che sa vedere, sa anche credere. Questo fiore, così dolce nel profumo e nella materia delle sue pendule corolle, e così in contrasto con questo spinoso ginepro e con quel ginestrone pungente, può essersi fatto da sè? E, guarda: là, quel pettirosso può essersi così da solo fatto, con quella ditata di sangue disseccato sulla gola molle? E quelle due tortore dove e come hanno potuto dipingersi quel collare di onice sul velo delle piume grigie? E là, quelle due farfalle: una nera a grandi occhi d'oro e rubino, bianca con righe d'azzurro l'altra, dove avranno trovato le gemme e i nastri per le loro ali? E questo rio? È acqua. Sta bene. Ma da dove venuta? Quale la fonte prima dell'acqua-elemento? Oh! guardare vuol dire credere, se si sa vedere».Ora mi sembrerebbe opportuno aggiungere questo, ragazzi: adesso, durante l'estate, si esce qualche volta, ci si mette all'aperto, ci si siede qui fuori se si è stanchi, o sotto le viti... finché non c'è uva da mangiare bisogna solo guardare, ma quando sarà matura se ne potrà anche mangiare; quest'anno, però, hanno mutilato un po' le viti, per cui qui potremo solo assaggiarla, poi andremo a mangiarla giù nel campo, qui l'assaggeremo e a mangiarla andremo là. Mi sembra bello star lì a chiacchierare o a leggere qualcosa. Il nostro grande diacono Vinicio direbbe che dobbiamo saper ascoltare i silenzi della natura, saper osservare i fiori, saper pensare un pochino dinanzi alla natura. Guardate che i santi erano i grandi amanti della natura, ma sapevano vedere e credere attraverso la vista. Per questo è importante fermarsi a contemplare.
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3. Ricordo d'avervelo detto ancora: mons. Fanton è meraviglioso in questo. Quando si va in montagna da soli con lui, mons. Fanton sa elevarsi subito verso Dio: «Guarda questi fiori! Guarda quanti ne ha fatto il Signore! Guarda che cose belle ha fatto!». Ora, se ci fosse un giardino dove c'è uno che lavora, un bravo giardiniere insomma, si direbbe: «Guarda che bel giardino ha!». Noi guardiamo il giardino immenso della natura.Anche voi che adesso scendete nell’Italia meridionale, soprattutto i più vecchi, non guardate solo le città e le cose fatte dagli uomini; cercate di vedere un pochino le meraviglie di Dio. Tarcisio sorride sotto sotto, perché pensa alle città e alle donne. È vero, Tarcisio? Ah, no! Allora ho pensato male. Vi ripeto: cercate di contemplare il mare, le bellezze naturali, la nostra Italia che è così bella, che ha suscitato tanti poeti. Anche i santi hanno saputo cogliere queste meraviglie. Che cosa non ha detto San Francesco d'Assisi, come ha saputo assurgere dalla natura a Dio!Se noi, che viviamo un po' la vita intima con il Signore, non sappiamo ammirare queste cose, se noi non sappiamo capirle, comprenderle un pochino, chi lo farà? Guardate che questo è frutto di una riflessione, è frutto della capacità di fermarsi a pensare. Per esempio, quando si andrà a Bosco, durante quei quindici giorni di permanenza, ad eccezione dei giorni in cui andrete in alta montagna, mettetevi con un libro da soli, allontanatevi un pochino più su e fermatevi là con un bel libro a leggere. Mettetevi a leggere anche qualche cosa di interessante, per esempio, sulla natura. Ai nostri tempi ci spingevano molto a leggere qualcosa sulla natura: mons. Volpato, mons. Carpenedo. Il prof. Bolfe, per esempio, insisteva: «Leggete i libri del Fabre sulla natura». Ma ci sono anche altri autori e si può andare a cercarli. Si deve leggere qualcosina, si deve trovare il tempo di mettersi là e dire: «Aspetta che mi leggo un po' un libro, tanto per comprendere che cosa ha fatto il Signore, per vedere un po' le bellezze di quello che Dio ha creato», ma poi saper leggere elevandosi verso l'alto. Nella vita ci saranno dei momenti in cui non si avrà voglia di fare meditazione, non si avrà voglia di pregare, ma se siete abituati a leggere questi libri, quando verrà il momento o il giorno in cui non avrete voglia di leggere, ebbene, camminate, uscite all'aperto e camminate. Allora non è distrazione: quella è meditazione, forse la più sublime.Io posso dirvi che, forse, le più belle meditazioni da ragazzo, le ho fatte sulle rive del Tesina, seduto sull'argine o in barca, guardando un pesce, guardando un fiore, guardando l’acqua.Se non siamo capaci di assurgere verso l'alto, che volete che facciamo? Non so se voi siete d'accordo. Da principio sarà un po’ difficile, ma se vi abituate a leggere la natura, poiché questo libro lo abbiamo sempre davanti, da esso potremo un domani salire in alto. Perciò, anche nei films che faremo, cercheremo di tutto per sottolineare questo aspetto perché, in fondo, è il libro che il Signore ci ha messo davanti.
Per esempio, siamo saliti in montagna i giorni scorsi, siamo saliti anche domenica, mi pare; come è possibile contemplando i prati con tutta la loro ricchezza di fiori non dire: «Che belle cose ha fatto il Signore!»? Immaginate che un cieco apra improvvisamente gli occhi e veda simili bellezze: come resterebbe estasiato! Invece noi vi siamo un po' abituati; il Signore ci ha dato tanto, e noi non ci meravigliamo più. Cerchiamo di rompere questa abitudine. E ciò non vuol dire non gustare, anzi vuol dire gustare di più.
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4. Procediamo con la lettura, perché il pensiero centrale della nostra meditazione è ancora più avanti.«“Guardare vuol dire credere. Noi guardiamo troppo poco la Genesi viva che ci sta davanti”».È Gamaliele che dice questo, commentando le parole di Gesù, e Gesù continua:«“Troppa scienza, Gamaliele. E troppo poco amore, e troppo poca umiltà”».Io direi che limitarsi a conoscere com'è fatta una pianta, come è tagliata, è senza dubbio una bella cosa, ma conoscerla pensando che è Dio che l'ha fatta, pensando al creatore, si prova maggiore soddisfazione. Perciò nella scienza bisogna che ci sia l'umiltà di riconoscere un creatore, e che ci sia l'amore. Allora la scienza vale, ha un suo scopo. Altrimenti che vale la scienza?«“Troppa scienza, Gamaliele. E troppo poco amore, e troppo poca umiltà”».Ecco la base: la base per poter studiare, la base per poter gustare, la base per poter amare è l'umiltà, che non è umiliazione. Umiltà è stare al proprio posto, è conoscere e amare Dio, riconoscere il nostro creatore.«Gamaliele sospira e crolla il capo.“Ecco. Io sono giunto, Gesù. Là è sepolto Hillele. Scendiamo lasciando qui le cavalcature. Un servo le prenderà”.Smontano legando ad un tronco le due mule e si dirigono ad un sepolcreto che sporge dal monte presso una vasta dimora tutta chiusa. “Qui io vengo per meditare, in preparazione delle feste d'lsraele”, dice Gamaliele accennando la casa».Vengo a meditare: deserto... meditazione... preghiera... fermarsi... prepararsi alla preghiera, alla Messa... prepararsi alle prediche con la preghiera, prepararsi all'apostolato con la preghiera...
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5. «“La Sapienza ti dia tutte le sue luci”.“E qui (e Gamaliele accenna il sepolcro) vengo per prepararmi alla morte. Era un giusto”».Il mio primo anno di sacerdozio, o meglio il primo anno dell'Istituto più che del mio sacerdozio, cioè il secondo del mio sacerdozio, andavo ogni settimana, perché mi ero prefisso di andarci ogni settimana, di sera, al cimitero. Invece di andare a far la visita al Santissimo fuori della porta, andavo al cimitero, di sera, quando già era scuro, da solo. Ero in amicizia con i frati , e andavo lungo i portici a meditare. Pensavo: “Qui adesso ho il mio sacerdozio, ma con il mio sacerdozio c'è anche la natura che tira indietro, che non vorrebbe fare, che recalcitra, e c'è la natura che tira avanti. In altre parole c'è la natura che tira indietro dal far sacrifici e c'è la natura che ti attira a cercare il piacere, a desiderare la soddisfazione umana”. Quando si affronta il sacerdozio si comincia a guidare da soli, e quando c'è la fatica si vorrebbe fermarsi, e se ci sono soddisfazioni umane si vorrebbe prenderle. Non è così? lo non so voi, ma per me è così. E allora, per aver la forza di poter resistere a questo, andavo ogni settimana al cimitero e rimanevo a meditare. I padri abitavano lì ed eravamo amici, e io camminavo tutt'intorno sotto i portici dicendo la corona. Ne dicevo una, rimanevo il tempo di una corona, venti minuti, una mezz'oretta. Dicevo il rosario. E mi fermavo a guardare, e allora pensavo a quello che diceva mio nonno, e capivo: «Questi una volta erano come noi e noi saremo come voi». E pensavo: «Quell'avvocato, quel prete, quel monsignore, quel cavaliere, quella serva, quel ragazzino... ieri camminavano per la città di Vicenza. Allora “quod aeternum non est, nihil est” . Io devo camminare alla luce dell'eternità». E ritornavo a casa con nuovo coraggio. Di solito facevo questa visita la domenica sera, per prendere il coraggio di affrontare un'altra settimana. Fratelli miei: «Qui vengo a prepararmi alla morte», perché guardate che la morte viene, «viene rapida», si diceva o si cantava.
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6. Il nostro caro Giorgio è già partito; il nostro caro Lino io l'ho visto dalla finestra morto in mezzo al cortile. E prima di sera uno di noi potrebbe essere già disteso sul tavolo della morte: per lui sarebbe definita tutta l'eternità, cioè già segnata l'eternità. Per questo bisogna vivere ogni giorno preparati all'eternità, figlioli, perché a farci morire può essere un incidente, un infarto, una scossa elettrica, un colpo preso il giorno precedente... si rovescia il muletto, paff, eccolo là a pezzi il nostro caro Adriano. E per te è finita, per te è già segnata l'eternità, per te è finito il mondo, e tu resti come sei. Il nostro caro Lino è rimasto come era, in quell'atto di amore per tutta l'eternità. Non bisogna che scherziamo, figlioli!Questo non vuol dire non godere la vita, non vuol dire non godere quello che è lecito godere, ma godiamola guardando dove siamo diretti. È bene godersi in treno un'aranciata o un pasto, ma se tu vedi che il treno va indietro invece che andare avanti, ti preoccupi e scatti in piedi anche se stai mangiando. Perciò con la coda dell'occhio controlliamo che il treno proceda nel senso esatto; dopo stiamo pure allegri, giochiamo una partita a carte se volete, ma con la coda dell'occhio teniamoci sicuri che il treno possa arrivare, perché noi dobbiamo arrivare. Questa non è una cosa irrilevante come una barzelletta.«“E qui vengo per prepararmi alla morte”.“Era un giusto. Prego volentieri presso le sue ceneri. Ma, Gamaliele, non deve solo insegnarti a morire Hillele. Ti deve insegnare a vivere”».Quando si va a meditare sulle tombe dei morti, non si va per cantare la marcia funebre, ma per imparare a vivere, non per morire. Per morire abbiamo tempo; vi andiamo per imparare a vivere.
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7.«“Come, Maestro?”.“L'uomo è grande quando si umilia, è il suo motto preferito...”.“Come lo sai se non lo hai conosciuto?”.“L'ho conosciuto... e del resto anche non avessi conosciuto Hillele il rabbi, personalmente, il suo pensiero l'ho conosciuto perché nulla ignoro del pensiero umano”».Lasciamo stare il resto; il pensiero è questo: «L'uomo è grande quando si umilia».«E quando Io non sarò più fra voi ricordate che dovendo giudicare di una conversione e di una potenza di santità dovete sempre tenere per misura l'umiltà».
Ricordate l’episodio di San Filippo Neri inviato dal Papa ad accertarsi se una monaca era santa o no? “Sono venuto - disse San Filippo - per vedere qual è la santa”. “Eh, sono io!”, rispose la monaca. “Ah, ho capito! È sufficiente...”. In un’altra occasione camminò sopra i tappeti sporcandoli tutti, e la suora incominciò a dare in escandescenze. L'umiltà, cari, l'umiltà è il segno chiaro se è vera o non è vera santità.E state attenti a questo:«Se in uno perdura l'orgoglio non illudetevi che sia convertito».Si può affermare che una persona è convertita, ma se la si esamina e ci si accorge che dentro c'è ancora l'orgoglio, non c’è da illudersi: non è convertita. Invece potrebbe esserci una persona, poverina, che pecca ogni tanto, ma appare umile e dispiaciuta: quella può essere convertita. Troverete qualcuno, confessando, che magari promette di non bestemmiare più, di non far più peccati e poi, ogni volta che viene a confessarsi è avvilito e piange: quello è convertito. Può esserci invece qualcuno che non fa neanche peccati veniali volontari, ma ne fa uno di così grosso che è quello della superbia, che sarebbe meglio che ne facesse qualcuno di grave e piangesse. Perciò il segno della vera conversione è l'umiltà; in caso contrario niente da fare!«E se in uno anche detto “santo” regna superbia, siate certi che santo non è. Potrà ciarlatanescamente e ipocritamente fare il santo, simulare prodigi. Ma non è tale. L'apparenza è ipocrisia, i prodigi satanismo. Avete capito?».Alla luce della natura noi dobbiamo imparare una cosa: vedendo nostro Signore così buono, così grande, che manifesta la sua bontà e la sua potenza, mettiamoci al nostro posto e diciamo: «Signore, quanto sei buono!». Ecco l'umiltà: è mettersi al proprio posto. In mezzo ai fiori: al nostro posto! Non disprezziamo i doni che Dio ci ha dato, ma riconosciamo che è il Signore che ce li ha dati, che è tutto dono suo. Perciò non diciamo: «Adesso faccio io! Adesso sono io, perché...». Va bene, tu devi impegnare tutta la tua capacità, ma sappi riconoscere che è dono di Dio. E a questo proposito allora vi dico che attraverso la lettura del libro della natura, attraverso la meditazione semplice, così, dobbiamo raggiungere la vera umiltà, e raggiungendo la vera umiltà, raggiungiamo la verità, raggiungiamo Dio, raggiungiamo l'amore.Quando abbiamo raggiunto l'amore, «con Dio in voi, pienamente posseduto per merito di un amore perfetto, l'occhio diviene fuoco che brucia ogni idolo e ne atterra i simulacri, la parola diviene potenza» .
MI311,8 [17-06-1970]
8. E in un altro punto Gesù, parlando ai suoi Apostoli, dice che quando si ha Dio dentro di sé:«Ma miei cari. Non c'è bisogno di andare nel sublime. Dite semplicemente quello che pensate, con la vostra convinzione. Credete che quando uno è convinto persuade sempre».
Mi pare di sentire Papa Giovanni. Quando un apostolo, veramente convinto di Dio e della sua esistenza, fedele al suo posto, impegnato a vivere con semplicità l'unione con il Signore, pieno di amore di Dio, si muove e si incontra con una persona, non deve preoccuparsi di quello che dovrà dire perché avrà le parole giuste. Infatti, quando uno è convinto, persuade sempre. Alla base sta questo, e su questa base si appoggia lo studio, perché bisogna anche essere preparati. Però ricordatevi che alla base bisogna mettere questo, altrimenti è una montagna che frana.Avete mai visto don Ottorino in refettorio, quando si diverte con i cioccolatini ad innalzare un castello? Se ha posto male la base, dopo un poco si rovescia tutto; se l'ha costruita bene, gli altri possono divertirsi a dare qualche scossone al tavolo per farlo indispettire, ma se la base è ben piantata il castello non si sfascia.
Se vogliamo piantare bene il nostro apostolato di domani, la precedenza è per la nostra vita intima anzitutto e poi per il nostro apostolato; ricordatevi che è su questa base che lo dobbiamo fare. Qualcuno potrebbe dire: «Come si fa a raggiungere questa benedetta umiltà? Come si può raggiungere questo benedetto amor di Dio?». Semplicità, figlioli, semplicità! Niente cose complesse. Prendete in mano un fiore e dite: «Che belle cose ha fatto il Signore!». Prendete in mano, per esempio, una mela e dite: «Come l'ha fatta bella il Signore, e chissà quanto sarà gustosa!», e mangiatela. Prendete in mano un gelato e dite: «Come è stato bravo il Signore a dare l'intelligenza agli uomini che sono riusciti a mettere insieme tante cose buone!», e mangiamo un gelato. Non prendete nessuna cosa, nemmeno alcune ciliegie, senza cantare le lodi di Dio, figlioli cari.
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9. «I maialini fanno così...», rispose quel tale una volta... Ricordo una storiella, e poiché vedo che alcuni dormono bisogna che la racconti e, poi, termino. Un contadino era entrato in un'osteria e aveva ordinato da mangiare, ma prima di cominciare si fece il segno della croce. Dall'altra parte c'erano quattro bellimbusti che, passato un po' di tempo, si avvicinarono.“Ehi, nonno, di dove venite?”.Non ricordo se fu il prof. Peretti a dire: «Vendo zucche, sono un mercante di zucche». Ve lo ricordate?Comunque, avvicinatisi a quell'uomo, gli chiesero: «A casa vostra, prima di mangiare, fanno tutti quel gesto che avete fatto voi?».«No!», rispose il contadino.«Ah! E come mai voi lo fate?».«Eh, no! Quelli che io ho a casa non lo fanno. Quando porto loro un secchione da mangiare, i maiali che ho a casa si buttano subito dentro con il muso ».Si sono presi una svergognata sentendo quella risposta.Stiamo attenti a non fare anche noi così: che non ci capiti di prendere i doni di Dio e di buttarci sopra come quelli del «collegio maschile» che abbiamo là in fondo. A volte è facile godere i doni di Dio senza ringraziarlo. Non interessa se fate o no il segno della croce; basta che dal cuore parta un pensiero, almeno di tanto in tanto. In questo modo, senza azioni sublimi, raggiungerete la tonalità di santità, del tipo di Papa Giovanni per parlarci chiaro, che è quella che oggi è capace di sollevare il mondo. Archimede diceva: «Datemi un punto d'appoggio e una leva, ed io solleverò il mondo». Datemi uomini semplici, pieni di amore di Dio, umili, impegnati a vivere così, e con questi solleveremo il mondo. Se ci sarà bisogno di uno che sia curato di campagna, allora quello studierà soltanto teologia in seminario; se ci sarà uno, per esempio, come Tarcisio, che domani dovrà andare alla Sorbona ad insegnare, allora lo manderemo a studiare alla Sorbona; se invece ci sarà Aldo, che dovrà andare a insegnare ai ciechi oppure ai cani, lo manderemo a studiare a Firenze.
La prima specializzazione, mi dicevano quelli del primo anno del corso teologico, è vivere in contatto con l'Assoluto; la seconda è specializzarsi in carretti, corriere e qualsiasi mezzo utile per portare agli altri l’Assoluto.