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L’APOSTOLO È CHIAMATO A SALVARE CON L’AMORE

MI319 [27-08-1970]

27 agosto 1970

MI319,1 [27-08-1970]

1. Prima di incominciare la meditazione devo dirvi una cosa. Se io chiedo al nostro Antonio se ha il cuore più grande un canarino o un bue, lui mi direbbe: “Il canarino l'ha più piccolo di un bue”. Che cosa ne dite? Non ha mai guardato il cuore di un canarino, ma forse qualche volta avrà visto il cuore di un bue: il canarino ha il cuore più piccolo del bue.
L'apostolo dovrebbe avere il cuore ancora più grande del bue. Don Umberto penserà che qui siamo matti. L'apostolo dovrebbe avere un cuore grande, grande, grande... non nel senso fisico e materiale, perché se Giuseppe avesse il cuore di un bue scoppierebbe, come è accaduto a San Filippo Neri al quale ha rotto un paio di costole. Il cuore grande è una delle condizioni fondamentali per noi apostoli. Se uno fosse muto, non potrebbe andare sacerdote perché non può predicare. Se uno fosse sordo, non sarebbe ammesso al sacerdozio perché non può confessare. Ma se uno non ha un cuore grande, non può essere ammesso né al sacerdozio né al diaconato. Forse tante volte ci accorgiamo subito di questi difetti esteriori e fisici. Infatti se si presentasse qui Giuseppe capace di emettere solo questo suono: “Mmm, mmm, mmm”, direi a don Venanzio: “Chi hai portato qui, benedetto dal Signore? In che buco l'hai trovato?”. Come è possibile far uscire un prete, un santo prete, da una persona muta? Potrà essere un santo anacoreta, ma non certo un santo prete che possa predicare. Lo stesso problema ci sarebbe se entrasse un giovane sordo, se portassimo qui in casa Tarcisio che è sordo, incapace di udire una parola. Come si fa, come è possibile intavolare una conversazione con lui? L'apostolo deve necessariamente avere queste qualità: è evidente. Ora, come avete fatto a portarmi in casa uno senza cuore, uno senza cuore? Venanzio, come hai fatto a scovare uno senza cuore? Il cuore si manifesta in tante piccole cose. Per esempio, ieri sera mi hai bevuto tutta l'acqua e stamattina, all’ora della Messa, non c'era neanche l'acqua nell'ampollina. Scusate se l'ho presa un pochino allegramente...

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2. Il responsabile di una Congregazione dovrebbe fare un esame severissimo per verificare se i candidati hanno o non hanno il cuore, se veramente sono capaci di amare, che significa essere capaci di dare, non capaci di avere. Infatti uno potrebbe amare Battista perché sa che a casa ha una pianta di fico che produce frutti saporiti: ama Battista, ma in realtà ama i fichi, cioè ama Battista per i fichi. Monsignor Snichelotto era solito dire che un uomo può sposare la dote con la relativa donna. È chiaro! Si può amare il dono con la relativa persona che porta il dono. E può anche darsi che si ami una persona perché dà soddisfazione con il suo modo di fare, con la sua presenza: finché offre la si ama o finché ha qualche cosa da dare la si ama. È quello che è accaduto con gli amici del figliol prodigo: il figliol prodigo è stato amato dagli amici finché aveva soldi nella borsa, ma quando i soldi cessarono anche gli amici scomparvero.
L'apostolo deve essere capace di amare. Dopo continueremo con la nostra meditazione perché il testo è proprio un cantico sull'amore, ma io sottolineo che l’apostolo deve essere capace di amare, cioè deve essere capace di sacrificarsi, di dare, di dare. È semplice fare l'esame della vista, della lingua o dell'udito: se c’è un difetto si coglie subito. Ma chi ha un po' di esperienza di vita sa cogliere subito anche se c’è o non c’è la capacità di amare. Io volevo bene a mia mamma e a mio papà. Credo che mai mi avete sentito dire male di mio papà e di mia mamma. Perché? Perché io amavo mio papà e mia mamma. Ma sono convinto che volendo esaminare bene, ma non lo voglio fare, troverei difetti in mio papà e anche in mia mamma. Ricordatevi che l'amore dà la capacità per passare sopra a tutto.

MI319,3 [27-08-1970]

3. Immaginiamo che un giovane abbaia trascorso cinque anni nella Casa dell'Immacolata e a un dato momento, perché don Ottorino o un altro gli ha fatto un piccolo dispiacere, ha cioè mancato di carità nei suoi confronti, cominci a parlar male di don Ottorino alle sue spalle: quel giovane non avrebbe carità, non avrebbe amore. Sarebbe come uno che è muto e non potrebbe andare a predicare. Infatti l'amore perdona, l'amore sopporta, l'amore comprende, l'amore sa passare sopra, l’amore sa vedere solo i benefici ricevuti e sa passar sopra anche a eventuali dispiaceri e affronti che ha ricevuto. Se un apostolo non ha questo amore, non può predicare il Vangelo: è come un muto che non può predicare il Vangelo. Perché deve avere, come dicevo prima, un cuore grande simile al cuore di Dio che è infinito, che ha sempre parole di perdono, ha sempre parole di comprensione per il peccatore, che dalla croce si rivolge ai crocifissori e poi guarda in alto dicendo: “Padre, perdonali” , che stende le braccia a un Giuda che va con un bacio per tradirlo. Se non abbiamo questo cuore, non possiamo sconvolgere il mondo.
Ieri sera, parlando con il sacerdote che era con noi, presenti anche don Gaetano e qualche altro, mi sono soffermato un pochino a dire una cosa che mi pare sia importantissima: oggi nel mondo c'è una crisi di santi. Se qualcuno mi domandasse: “Di che cosa ha bisogno il mondo sottosviluppato?”. Infatti c’è una parte del mondo che soffre e patisce la fame, e allora potreste dirmi: “Ha bisogno di trattori, ha bisogno di soldi, ha bisogno di aiuti materiali”, ma io vi risponderei: “Ha bisogno di santi”. Caro Beppino, ti spaventi? Il mondo oggi ha bisogno di santi. Perché? Chi è il santo? È uno che è in contatto con Dio e manifesta agli uomini l'amore di Dio. È giusto? È in contatto con Dio, vive solo per il Signore, ma cammina in mezzo agli uomini, manifestando tra gli uomini l'amore, la potenza, i doni di Dio, facendo vedere agli uomini la strada che conduce a Dio. Questa è la missione che è riservata a noi.

MI319,4 [27-08-1970]

4. Per arrivare a questo, fratelli miei, bisogna avere il cuore di Dio. Perciò qui ci vuole un chirurgo capace di cambiare il cuore, e mi sembra che il chirurgo del Sud Africa abbia fallito nel suo tentativo. Mi pare che tu, Giuseppe, disprezzi un pochino le operazioni: come operatore o come operato? Operatore potrebbe essere Antonio, il quale a Grumolo ha fatto qualche operazione chirurgica. Fratelli miei, è assolutamente necessario che tutti ci mettiamo sul tavolo operatorio e ci facciamo operare, che cediamo il nostro cuore e che lasciamo che venga messo al suo posto il cuore di Dio. Poi possiamo partire per l’apostolato.
Vi racconto una storiella che raccontavano a noi quando eravamo ragazzi, anche perché oggi è un po' festa e vogliamo che la conversazione sia un po' leggera. Raccontavano che avevano cambiato il cuore a due ragazzi: a uno avevano messo il cuore di un maialino e all’altro il cuore di un gatto. Il giovane, al quale avevano messo il cuore di maialino, a un dato momento mentre andava camminando vide un secchio di avanzi di polenta e si mise a grugnire verso gli avanzi di polenta. “Ma che cos'hai? Che cosa ha questo ragazzo?”, dicevano i familiari perché aveva tutti i desideri del maiale, per parlarci in termini molto semplici. Invece il ragazzo che aveva il cuore del gatto vide dei topolini, vide del lardo e manifestò di desiderare tutto quello che desiderava un gatto. Quando eravamo bambini ci raccontavano queste storielle e ci dicevano: “Se tu metti il cuore di un maialino hai tutti i desideri del maialino, se tu metti il cuore di un gatto hai tutti i desideri del gatto, cioè quello di rubare e di grattare, se tu metti il cuore di Dio hai tutti i desideri di Dio”. Lasciamo perdere l’esempio perché oggi in qualche modo è possibile cambiare anche il cuore, e andiamo nella realtà: se io mi sforzo di mettere in me l'amore di Dio, io praticamente ho il cuore di Dio. Qualche sacerdote della diocesi di Padova potrebbe dire: “Insomma, questo è un modo semplicistico di parlare!”. Quando il Sacro Cuore di Gesù, che forse se ne intende più di noi di queste cose, è apparso a Santa Margherita Maria, ha mostrato il suo cuore fiammeggiante di amore e in esso una piccola macchia nera e ha detto: “Questo è il cuore che ha tanto amato gli uomini, e la piccola macchia nera che vedi è il tuo cuore”. I santi parlavano con tanta semplicità. Qualche volta hanno azzardato anche di dire al Signore: “Signore, facciamo il cambio: io ti do il mio e tu mi dai il tuo”. Questo è necessario se noi dobbiamo essere il Gesù che continua.

MI319,5 [27-08-1970]

5. Ieri sera ero in chiesa ed ho cominciato a prendere paura pensando: “Io devo essere Gesù che continua. Io devo essere Gesù. Quando io mi presento alle persone devo essere Gesù”. Cari miei, come è differente il modo di pensare di Gesù e il mio modo di pensare, il modo di agire di Gesù e il mio verso me stesso, verso Dio, verso i fratelli! Quante cosette, caro Giuseppe, bisogna tirar via o bisogna aggiungere qualche volta! Insisto nel dire che questa deve essere la nostra preoccupazione.
Quando io prenderò Battista e lo manderemo nel Mato Grosso, perché penso che posti migliori per lui non ce ne siano, dovrei scrivere a monsignor Faresin o a qualche altro: “Carissimo collega... - non collega perché io sia vescovo, ma perché eravamo compagni di scuola - Carissimo Camillo, ti mando Gesù, ti mando Gesù”. Quando, per esempio, chiederanno da Marte una spedizione... Don Gaetano, per forza, sarà lui che conoscerà quella lingua perché ne sa tante - scriverò ai marziani: “Noi della Pia Società vi mandiamo Gesù, il quale ha anche un soprannome che è Gaetano”. Quando poi si tratterà di mandare qualcuno nel Kenya allora manderemo don Umberto scrivendo a mons. Moletta: “Carissimo, le mandiamo Gesù, che una volta si chiamava don Umberto o si chiama anche adesso don Umberto”. Bisogna che arriviamo a questo: anche se non lo scriviamo su un pezzo di carta, devono sentire l'arrivo del Cristo. Ai primi tempi della Chiesa sentivano l'arrivo del Cristo quando arrivavano i cristiani o quando arrivavano gli Apostoli. È sbagliato? E lo devono sentire anche oggi. Ed è in proporzione di quello che sentiranno della presenza del Cristo che si incendierà il bosco. Se io vado in un bosco con l'elicottero e butto giù un ettolitro di acqua calda, è solamente acqua calda. Ma se butto giù del kerosene e del cotone acceso, a un dato momento la gente comincerà a gridare: “Oh, c'è un incendio!”. E forse ho buttato giù solamente due o tre chili di kerosene. Con un DC8 si potrebbe buttar giù anche settecento litri di acqua calda o settecento quintali di acqua calda, però, amici miei, il bosco non prenderà fuoco. Ed è appunto questo fuoco che il Signore domanda a noi.

MI319,6 [27-08-1970]

6. Premesso questo, leggiamo.
«Non sarà per come parlerete ma per come amerete che convertirete i cuori. Troverete peccatori? Amateli. Soffrirete per discepoli che si traviano? Cercate di salvarli...». Ieri mi è stato detto da una persona: “Ma, sa... Guardando da una parte e dall’altra non si vedono santi, perciò...”. Per niente! Avessimo anche il Papa che bestemmia, il vescovo che bestemmia, tutti i vescovi che bestemmiano, tutti i preti assassini, ladri e briganti... questo non mi scuserebbe: io devo farmi santo, senza cercare alcuna scusante. La Madonna non dice bestemmie, e neppure l'Eterno Padre contro lo Spirito Santo; le tre persone della Santissima Trinità almeno vanno d'accordo... se tutti litigano, almeno loro tre vanno d'accordo perché formano unità. Sarebbe come se io dicessi: “Stiamo andando in bicicletta, siamo in quaranta che corriamo in bicicletta; trentanove cadono e vanno nel torrente... Allora anch’io mi getto nel torrente”. “Scusa, sei così stupido? Rimani in piedi e offri una mano per sollevare gli altri. Non puoi gettarti nel torrente perché vi sono caduti gli altri”. È mezzogiorno e siamo pieni di fame. Uno dice: “Io non ho fame... Io non ho fame...”, e allora anche Battista dice: “Non mangio neanch'io”. Vi pare giusto questo comportamento? A me sembra che sia un atteggiamento da manicomio. Non ha senso addurre scuse perché gli altri non amano il Signore, perché gli altri mormorano: “Mormorano tutti... criticano tutti; critico anch'io! Bestemmiano tutti... bestemmio anch'io!”. “Anima di Dio! Tu domani dovrai rendere conto al Signore del tuo amore, della tua azione. Se gli altri vanno nel torrente, vuoi andarci anche tu?”. Tutto il gregge, le anime sono finite nel torrente, e queste anime possono essere i cristiani. “Ma sono proprio quelli dell'Azione Cattolica! Sono proprio tutti i preti...”. “E che cosa importa? Tu cerca di fare il tuo dovere bene, comincia a rivoluzionare il mondo rivoluzionando te stesso”. Se tu hai visto tutte le stanze del piano superiore sporche e disordinate, non dire: “Oh, mamma mia! Tutte le stanze sono sporche!”, ma comincia a ordinare la tua per prima, e quando avrai ordinato la tua, se hai un po' di tempo, comincia piano piano a mettere a posto anche la stanza vicina in modo che i topi di quella camera non entrino nella tua; dopo continuerai con le altre stanze. Vedrai che qualche altro, vedendo che tu metti a posto, vedendo che alla mattina tu sei pulito e lui è sporco, dirà: “Bene, aspetta, lo faccio anch'io!”, sentendo che tu sai profumo e lui sa cattivo odore piano piano si laverà. È una infezione che porta al cambiamento. Tante volte noi siamo schiavi un pochino del mondo che abbiamo attorno. E invece di andare a convertirlo ci lasciamo convertire noi, e invece di elevarlo ci lasciamo trascinare giù. Tante volte questo può capitare.

MI319,7 [27-08-1970]

7. Scusate se questa mattina procediamo per immagini. Immaginiamo che Battista sia seduto sopra il fico e stia mangiando fichi. Arriva un gruppo di amici e dicono: “E noi come facciamo?”. Allora Battista, mostrandosi veramente intelligente, scende dal fico. Ma no, figliolo! Tira su gli altri se vogliono mangiare fichi, altrimenti non mangi fichi né tu né loro. O almeno, finché tu sei sopra la pianta, qualcuno ne puoi buttare giù, ma se scendi anche tu che aiuto puoi dare agli altri? Cerca di tirarli su; e se proprio non sei capace di farli salire, prendi qualche fico e buttaglielo, e dà loro una mano.
Se il Signore ti manda in un posto dove trovi che tutti tirano giù, anche quelli che non dovrebbero farlo, cerca di restare sulla pianta di fico e di mangiarne i frutti perché poi devi dar loro una mano: quando tu hai mangiato hai più fiato. E se puoi, gettane giù qualcuno perché sentano quanto sono dolci. Quando avranno sentito che sono dolci, dì loro: “Adesso scendo e vi do una mano”; non scendo per restare, ma scendo per dar loro una mano per salire. Non dobbiamo scendere dal posto dove il Signore ci ha messo con la scusa di dire: “Andiamo in mezzo a loro e così saliremo in compagnia”. Dobbiamo scendere con il cuore, parlare in mezzo a loro, ma non scendere dalla virtù, non scendere dall'unione con Dio, non scendere dalla preghiera, con la scusa di andare in mezzo a loro e poi elevarli, perché vorrebbe dire scendere, e dopo che si è scesi non avere più la forza per salire... perché intanto il fico si rompe. «Cercate di salvarli con l'amore. Ricordate la parabola della pecorella smarrita».

MI319,8 [27-08-1970]

8. Permettete un'altra distrazione perché questa mattina procediamo a base di distrazioni. Immaginiamo di avere una pecorella rossa, come Virginio, che si è smarrita, se ne è andata perché ha litigato con l'assistente e ha sbattuto le porte dicendo: “Basta, vado via, vado via, vado via!”. Che cosa succede? Michele si mette alla ricerca della pecorella smarrita dicendo: “Adesso vado in cerca”. Ah, il buon pastore in cerca della pecorella smarrita! Va in cerca di qua, va in cerca di là... Dice a don Venanzio: “Vado in cerca... Non mi darò pace finché non l'ho trovata. Quando l'avrò trovata, le darò un bacetto, la caricherò sulle spalle e la porterò a casa. Non le darò schiaffoni, ma un bacetto e la porterò a casa”. Sennonché, cammina e cammina, arriva vicino a Giovanni e lo saluta: “Oh, Giovanni...”. “Entri un momentino”, gli dice l’altro. E Michele entra, beve un bicchierino, e dopo un altro bicchierino... e prende una sbornia eccezionale. Nel frattempo la pecorella smarrita è ritornata a casa e dopo, verso l'una o le due di notte, accompagnano a casa anche il pastore che era andato alla sua ricerca.
Sono fatti che capitano, fratelli miei, sono fatti che capitano. Potrei tradurli in altra lingua... E don Umberto, e don Giuseppe, e don Gaetano, e Antonio, e tutti i più vecchi potrebbero darmi ragione. Quante volte l'apostolo, con la scusa che va in cerca della pecorella smarrita, si perde, e a un dato momento la pecorella ritorna a casa mentre lui invece non torna più a casa: si perde, e con la scusa di andare a vedere se per caso si trova presso Giovanni entra e resta dentro lui. Don Umberto, dico brutte cose? Guardate che oggi c'è questo grave pericolo: andare in cerca della pecorella smarrita, e poiché c'è una bella strada asfaltata e c'è una bella osteria è più facile sedersi là e bere un bicchiere che non salire per i boschi, da una parte e dall’altra, alla ricerca dello zingaro che è fuggito. Può accadere anche che la pecorella sia là dentro e la si incontri con un grido di gioia, e a un dato momento la pecorella capisce che non è al suo posto e ritorna a casa, mentre il pastore resta là. Potrei parlare con esempi che hanno nome e cognome. State attenti perché c'è questo pericolo.

MI319,9 [27-08-1970]

9. «Oh! Per secoli e secoli essa sarà il richiamo dolcissimo lanciato ai peccatori. Ma sarà anche l'ordine sicuro dato ai sacerdoti miei. Con ogni arte, con ogni sacrificio, anche a costo di perdere la vita nel tentativo di salvare un'anima, con ogni pazienza, voi dovrete andare cercando gli smarriti per riportarli all'ovile».
Un altro pericolo di oggi è contenuto in queste parole: “... con ogni sacrificio, anche a costo di perdere la vita nel tentativo di salvare un'anima, con ogni pazienza, voi dovrete andare cercando gli smarriti per riportali all'ovile”. Il pericolo di oggi è questo: con la scusa di andare a cercare le anime smarrite si va, invece, alla ricerca delle amicizie e della propria soddisfazione, in un certo qual senso, attraverso le amicizie... ma buone! Non parliamo di amicizie cattive, eh, intendiamoci bene; ci fermiamo ancora nel campo buono. Vado in una famiglia, mi fermo là... naturalmente qualche discorso buono ne esce. Amici miei, quando Gesù andava in casa di Lazzaro vi restava soltanto il tempo necessario per fare del bene; non si fermava una notte di più, una sera di più, un'ora di più. Una delle tentazioni più grandi che c’è oggi per i sacerdoti buoni è quella di perdere tempo da una parte e dall’altra, senza accorgersi che vanno alla ricerca di una soddisfazione umana. E vanno dicendo: “Vado a cercare questo o quest’altro, mi fermo, parlo una mezz'ora, un'ora”. Amici miei, noi siamo degli specializzati. Un medico, quando entra in una casa, entra come medico: non si ferma un'ora a chiacchierare di verze, di cavoli, di una cosa e dell'altra, perché ha tutti gli altri ammalati da visitare e bisogna che li curi, altrimenti in una giornata riesce a visitare tre ammalati, ma non i venti o i trenta che il Signore voleva che fossero curati.

MI319,10 [27-08-1970]

10. In noi ci deve essere un vero amore per le anime.
Ricordate la storiella del lupo e dell'agnello? Il lupo è andato a confessarsi e si è accusato di aver rubato una cosa e l’altra. A un dato momento ha visto un agnello e ha detto: “Padre, mi dia presto la penitenza perché non ne posso più...”. Il confessore credeva che avesse dolore dei peccati, ma il lupo tornò ad insistere: “Faccia presto perché c'è un agnellino, altrimenti scappa e dopo non lo prendo più”. Mi pare che l'apostolo dovrebbe continuamente vedere anime, e sentire la fretta per correre vicino a un'altra anima. Quando lui è con un'anima e ne vede passare un'altra dovrebbe dire: “Ho fretta di finire per andare a prendere quell'altra anima e portarla in alto”. Ci deve essere questa sete di anime. E perciò se io vado insieme con delle persone o se entro in una casa, devo subito attaccare il discorso, devo sentire dentro di me qualcosa che mi spinge ad elevare quell'anima. Quasi come il Bambino Gesù che dal seno purissimo della Vergine ha cominciato a lanciare i suoi raggi di amore verso il piccolo Battista che doveva ancora nascere. Noi siamo i portatori di Cristo, figlioli! Queste cose si capiscono solo ai piedi del tabernacolo, queste cose si capiscono solo quando facciamo continuamente dinanzi a Dio l'esame di coscienza sul nostro lavoro apostolico, sulle nostre azioni apostoliche. E questo spirito o lo acquistate fin che siete ancora giovani in questa casa, finché vi chiamate Giuseppe o Carlo, ma quando incomincerete a chiamarvi Ottorino con cinquantacinque anni, o Vinicio con quarantadue, sarà troppo tardi: ormai noi siamo quello che siamo. Sottolineo inoltre queste parole: “... con ogni arte, con ogni sacrificio”. Per salvare anime ci vuole arte e ci vuole sacrificio: bisogna essere capaci di inventare qualcosa per le anime. E i santi erano, si può dire, degli artisti a questo proposito. «L'amore vi darà gaudio. Vi dirà: “Non temere”. Vi darà un potere di espansione nel mondo quale Io stesso non ebbi». Quando voi avrete un cuore grande, come dicevamo prima, della grandezza di Dio, voi avrete un potere di espansione, troverete sempre idee nuove. Osservate i santi: trovavano sempre qualcosa di nuovo, erano degli inventori, mentre gli altri sono semplici ripetitori. Si nota quando qualcuno sa inventare qualcosa di nuovo. Il santo inventa sempre qualcosa di nuovo perché è pieno di amore, e l'amore dà un potere di espansione. Il santo è un rivoluzionario perché è spinto dall’amore di Dio.

MI319,11 [27-08-1970]

11. «“Non deve più l'amore dei giusti futuri essere messo come un segno esteriore sul cuore e sul braccio, come dice il Cantico dei Cantici. Ma deve essere messo nel cuore. Deve essere la leva che spinge l'anima ad ogni azione. E ogni azione deve essere sovrabbondanza della carità che non si appaga più di amare Dio o il prossimo soltanto mentalmente, ma scende nell'agone, in lotta con i nemici di Dio, per amare Dio e prossimo anche contingentalmente, in azioni anche materiali, vie ad azioni più vaste e perfette che terminano alla redenzione e santificazione dei fratelli”».
Si vede allora i santi che amano Dio andare nel deserto per predicare Dio; però non si accontentano soltanto di predicare Dio, ma impiantano un tubo sottoterra e ne esce l'acqua, e trasformano il deserto in un'oasi. Noi, per esempio, abbiamo mandato i nostri cari confratelli in America Latina, e sono andati pieni di amore di Dio, con l'intenzione di predicare il Vangelo, ma naturalmente e quasi allo stesso tempo è sorto un laboratorio, è nata qualche attività di promozione sociale: in ogni posto dove sono andati i nostri fratelli è nato qualche cosa. Anche a Crotone e a Monterotondo sta nascendo qualche cosa. Chi ama veramente vede subito le necessità della gente. Allora il Santo Curato d'Ars iniziò nella sua parrocchia alcune opere caritative, senza accennare poi al Cottolengo e ad altri santi. Non si può vedere un fratello che soffre la fame e non prendere un pezzo del tuo pane e portarlo al fratello. Non si può visitare una povera ammalata e vedere che patisce la fame, e non prendere degli alimenti per portarglieli. Questi gesti di carità sono le esperienze più belle per un apostolo. Dopo aver dato il pane spirituale si deve pensare anche al cibo materiale, non viceversa. Ricordo le prime volte che visitavo, quando ero giovane sacerdote, qualche persona ammalata o cronica: con quale gioia passavo prima in macelleria per comperare un pezzettino di carne, lo mettevo in tasca, e poi andavo dalla povera donna e le lasciavo il piccolo dono! Abitualmente protestava: “No, padre..”, e allora le dicevo: “Lasci stare; è stata la provvidenza, è stata una persona che me l’ha dato per lei. Lasci stare, è stato Dio, e ringrazi il Signore. Il Signore ci vuole tanto bene”. Che bellezza fare la carità in questo modo!

MI319,12 [27-08-1970]

12. Giorni fa ho avuto l’occasione di incontrami con una persona che aveva bisogno di aiuto, aveva veramente tanto bisogno. E, naturalmente, non mi ha domandato la carità; è una persona distinta ed è venuta solamente per chiedermi una preghiera. È venuta appositamente e mi ha detto: “Ho sentito parlare dell'Istituto, e so che la provvidenza vi segue. Avrei bisogno anch’io che il Signore mi aprisse una certa via”. Allora mi ha spiegato un po’ la sua situazione ed ha aggiunto: “Vorrei solo che lei pregasse la Madonna per me, che si unisse a me per pregare la Madonna. Io voglio solamente fare la volontà di Dio, ma mi aiuti a pregare”. È commovente sentire un uomo che viene solo chiedendo preghiere. E poi ha cominciato a parlare un pochino; io ho preso diecimila lire e gliele ho date, ma non volle accettarle. Alla fine si è messo a piangere come un bambino dicendo: “Mi faccia la carità. Non voglio niente”. Insomma gliele ho date e me le ha restituite dicendo: “Allora le tenga e dica una Messa per me”. Ed io: “La Messa gliela dico lo stesso. Faccia un atto di obbedienza”. “Ma, don Ottorino, mi scusi...”. Insomma gliele ho messe in tasca: “Faccia un atto di obbedienza a Dio e porti via questi soldi per i suoi figlioli”. Era un professore e si trovava in situazione difficile, in una situazione familiare tragica, per cui alla fine gli ho detto: “Faccia un piacere, faccia l’atto di umiltà di ricevere questa piccola somma”. “Ma io non ho mai domandato la carità a nessuno; per me è un'umiliazione prenderla”. “No! Faccia questo atto di carità! Siamo fratelli, siamo figli dello stesso Dio, fratelli di Gesù, siamo membri della stessa famiglia. Li accolga da un fratello della stessa famiglia”.
Mi pare che questa è la carità che dobbiamo fare, senza tante arie. Ve l'ho ricordato in questo momento perché sappiate che tante volte si fanno gesti che nessuno vede e conosce. Quante volte mi è capitato nella vita pastorale, senza toccare i soldi dell'Istituto, prendere il pane da una parte e dire: “So che c'è una persona che soffre”, e andare a chiedere 100.000 lire per portarglieli! Questo io l'ho fatto più di una volta. Si va da una persona e le si dice: “C'è una persona che soffre, nell'umiltà, e ha bisogno di questo. Mi faccia una carità”, e attraverso di lei le si fa arrivare l’aiuto. Quante centinaia di biglietti da mille ho fatto arrivare in città, in questo modo, in questa forma, senza che nessuno conoscesse il donante! L'apostolo deve far questo, figlioli, senza sbandierare niente, ma lo deve fare perché altrimenti non è apostolo. Non può dire: “È sufficiente predicare”. Non potrei dirvi le cose che vi confido stamattina se io non le avessi fatte. E ve lo dico con semplicità, perché è il mio dovere. Vorrei dire anzi che è un dovere professionale, come uno stradino ha il dovere di pulire le strade. Io apostolo devo predicare la verità, devo predicare l'amore, ma poi devo anche aiutare per quanto mi è possibile.

MI319,13 [27-08-1970]

13. Se viene da me Battista per confidarsi e vedo che ha bisogno estremo di aiuto, io non gli dirò mai: “Adesso ti do qualche cosa...”. Non si deve mai unire il sacro al profano, ma non devo dimenticarmi che lui ha bisogno. E se so che ha dei rapporti con Venanzio, dirò a don Venanzio: “Ho sentito, so che quella persona attraversa queste difficoltà. Non dica nulla, mi faccia un piacere, perché non voglio unire il sacro al profano, ma lei le faccia avere questo aiuto”. Dopo un po' di tempo lui dirà: “Battista, c'è stata una persona che mi dato questo per te”. Lui non saprà mai che sono io lo strumento, e quando verrà ad aprirsi con me e tornerà la volta seguente mi dirà: “Ha avuto ragione lei. Mi ha detto di pregare e di confidare nella provvidenza. C'è stata una persona che mi ha aiutato. Le dico che abbiamo pianto in casa, abbiamo sofferto, abbiamo pianto in famiglia, ma veramente la provvidenza ci ha aiutato. Pensi che è venuto il parroco alcune sere fa mi ha consegnato 50.000 lire; ho potuto pagare l'affitto, ho potuto mettere a posto i miei debiti”. Io gli dirò: “Beh, non stia a spaventarsi, guardi, confidi...”. Magari incontro don Giuseppe e faccio in modo che don Giuseppe gli trovi un lavoro.
Il Signore si serve degli uomini, e noi dobbiamo fare qualche cosa. È troppo facile dire solo quattro parole: “Confida nel Signore”. Dico male, don Gaetano caro? È sbagliato? L'amore, l'amore è questo. Ma questi gesti devono uscire dall'amore di Dio e dall'umiltà; non devo far vedere tutto quello che faccio, ma devo far di tutto per nasconderlo.

MI319,14 [27-08-1970]

14. Mi ha fatto tanta impressione l’esperienza che ho vissuto nel Chaco, che per me è stata un esempio meraviglioso. La prima volta che sono andato con don Aldo c'era l'alluvione, e monsignor Di Stefano, che è un uomo straordinario, ci ha condotto a visitare gli alluvionati. I grandi magazzini del cotone, che in quel periodo non servivano per il cotone, erano pieni di gente, e la povera gente era sdraiata per terra o su qualche sacco con un po' di paglia: sembrava veramente un lazzaretto! In una sala grande sette o otto volte questa la gente adulta era sdraiata accanto alle pareti e nel centro giocavano i bambini. In mezzo c'era la cucina comune, con tavolini e piccole pentole. Ricordo che siamo arrivati in uno di questi stanzoni, lungo circa quaranta metri, e si cercava di salutare un po' tutti, sia quelli che erano sdraiati a terra come quelli che erano in piedi. Erano più di duemila persone in questi agglomerati.
Durante la visita una donna ammalata chiese aiuto, e il vescovo le domandò se fosse passato il medico. Alla sua risposta negativa le disse: “Beh, confidiamo, e intanto le do la benedizione”. Non volle far vedere che era lui ad intervenire, ma invece di continuare ci disse: “Andiamo a casa e facciamo venire subito il medico”. E ha interessato gli incaricati della Charitas, ha messo a disposizione la sua macchina perché non l’avevano libera in quel momento per andare subito a prendere quella donna, è passato per parlare con il direttore di una clinica pregando in nome di Cristo e in nome di Dio che accogliessero quella creatura, e alla fine ha mandato a prenderla per ricoverarla. Lui ha fatto tutto, ma non ha voluto far vedere che era lui. E allora mi ha detto: “Quando io passo non devo mai far vedere che sono il ministro diretto della carità. Mi interesso per arrivare a tutto, ma devono vedermi nella mia veste di sacerdote”. A un dato momento, vedendo un nugolo di bambini, don Aldo aveva esclamato: “Mamma mia, se avessimo comperato delle caramelle per questi piccoli!”. “No! - ha detto il vescovo mons. Di Stefano - Mai. Non devono vederci come quelli che portano i regali. Mandiamole attraverso gli altri le caramelle. Devono vederci per quello che siamo: i portatori dell'amore e della carità”. È stato veramente grande e fine nel dirci: “Le caramelle mandiamogliele, mandiamogliene tante, ma mandiamole per mezzo degli altri. Noi dobbiamo essere i portatori dell'amore e della carità”. Per agire così è necessario uno spirito grande perché bisogna sapersi staccare da tutto, anche da ogni soddisfazione personale, dalla gioia e della bella figura. D’altronde noi siamo i salvatori di anime. Sia lodato Gesù Cristo!