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L’OBBEDIENZA UMILE, PRONTA E FEDELE

MI320 [28-08-1970]

28 agosto 1970

MI320,1 [28-08-1970]

1. «Dio non guarda tanto le opere altisonanti che l'uomo fa di sua iniziativa, quanto l'umile obbedienza, pronta, fedele, alle opere che Egli propone».
Ci fermiamo un po' a meditare questo punto. “Dio non guarda tanto le opere altisonanti che l'uomo fa di sua iniziativa”, non vuol dire che il Signore non si possa servire dell'uomo e delle sue qualità per compiere opere grandi, altisonanti. È chiaro che il Signore può servirsi di uno, può servirsi un domani del nostro caro don Alberto per compiere cose umili e cose grandi, può compiere delle cose strepitose, come può compiere delle cose umilissime. Può con una predica convertire cinquemila persone, come può sentirsi tirare i sassi addosso, come è capitato a San Paolo ad Atene. Il nostro testo dice che quando noi compiamo delle azioni altisonanti che non hanno il sigillo di Dio, quelle azioni non valgono niente. Se io, ad esempio, pregassi adesso uno di voi di andare in giardino a prendere un grappolo d'uva per offrirlo a don Zeno perché so che a lui piace l'uva anche se fa un po' male... Ero andato a prenderne prima un grappolo, ma non ho trovato don Zeno e allora l'ho data a qualche altro. Beh, se io pregassi uno di andare a prendere un grappolo d'uva per offrirla a don Zeno e questo tale, credendo di farmi un piacere, invece di portarmi un grappolo d'uva vuole portarmi un ettolitro di vino, io gli dico: “Mi dispiace tanto, ma io non so che cosa farne di quel vino, perché io volevo offrire un grappolo d'uva a un amico”. Il pericolo enorme è che siamo noi a giudicare: andiamo in cantina e invece di portare il grappolo d'uva portiamo l'ettolitro di vino pensando che questo sia più importante perché forse a noi piace di più un bicchiere di vino che un grappolo d'uva. È proprio il momento in cui dobbiamo fermarci: dobbiamo mettere a disposizione di Dio tutte le nostre qualità, ma non scegliere le azioni secondo i nostri gusti. È una cosa diversa. Una macchina veloce, secondo i propri gusti, che cosa fa? Si metterebbe in autostrada e correrebbe. Ma può darsi che questa macchina veloce sia chiamata a seguire un funerale, e allora non può correre a 150 chilometri orari. Noi siamo a servizio del nostro padrone, che è nostro padre, che è nostro signore, e tutte le nostre energie devono essere a servizio, sia che noi siamo un trattore sia che siamo una macchina da corsa. Qui c'è il pericolo di morte, e alla stesso tempo il segreto della riuscita apostolica. E c'è un punto, proprio qui, dove tutti possiamo cascarci, e possiamo cascarci con la più buona intenzione del mondo, credendo di fare la volontà di Dio. Quante volte, forse, nella vita crediamo di essere sulla strada di Dio e siamo sulla nostra strada, crediamo di poter correre a piacimento perché abbiamo una macchina che corre a 150 chilometri. in autostrada e diciamo: “Scusa, se uno l'ha costruita, l'ha costruita perché corra; dunque sta correndo; penso che quello che l'ha costruita sarà contento perché sta correndo”! Non è vero, non è vero! Se il Signore quella mattina, invece che mandarci a Milano, ci ha mandato al funerale di Carlo a Montecchio, dobbiamo andare al funerale di Carlo e non possiamo andare per le strade di Montecchio a 150 chilometri all'ora seguendo un funerale.

MI320,2 [28-08-1970]

2.Dobbiamo trovarci in ogni istante dove Dio ci vuole. Quando scegliamo le azioni non mettiamo in esposizione le nostre qualità. Lasciate tutte le vostre qualità personali fuori dalla porta come l'Innominato ha lasciato la carabina fuori dalla porta quando è andato a visitare il cardinal Federigo Borromeo; soltanto in seguito riprenderete quella carabina per il servizio di Dio, come lui ha ripreso la carabina a servizio della verità, della bontà, nonostante la paura di don Abbondio. Quando ci presentiamo dinanzi a Dio bisogna aver la forza di lasciare fuori tutto e dire: “Signore, se quando io ritornerò, invece della mia Fiat 1100 mi darai una bicicletta simile a quella di Battista il ciclista, per me va bene. “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!” . Vuol dire che va bene così”. “Ma... per strada tutti continueranno a schernirmi!”. A me non importa niente. Ride bene chi ride in fondo. Non è vero, Battista? Bisogna che ci mettiamo in testa che se anche per tutta la vita il Signore volesse farci andare con una bicicletta come quella del nostro caro Battista, e tutta la vita fossimo oggetto di scherno da parte di quelli che corrono in autostrada, facciamo contento il Signore. Immaginate Battista, vestito come l'abbiamo vestito a Bosco, cioè in alta tenuta sportiva, con la sua bicicletta, con un pacco da una parte, e supponiamo che sia autorizzato a correre in autostrada... perché se va per le altre strade verrebbe inseguito da tutti i monelli della strada... io penso che più di una macchina rallenterebbe per vedere questo uomo calato dalle nevi. Bene! Se anche il Signore dovesse chiederci questo per tutta la vita, noi ciclisti, noi automobilisti... ricordatevi che lì noi realizzeremo al massimo la nostra personalità. Infatti Battista quella sera ha realizzato la sua personalità di comico proprio in quella forma; è diventato celebre a Bosco appunto per questo, perché si è presentato così. Se si fosse presentato con una veste da prete, con il camice e la stola, tutti avrebbero detto: “Beh, insomma, uno dei tanti preti...”. Invece si è presentato vestito come ciclista e per la strada tutti dicono: “Oh, Battista, oh, Battista!”. È diventato una persona celebre.

MI320,3 [28-08-1970]

3 «Dio non guarda tanto le opere altisonanti che l'uomo fa di sua iniziativa...».
Ecco dove c’è il legame con il peccato: “... che fa di sua iniziativa”. Bisogna proprio avere il coraggio di fermarsi spesso e chiedersi: “Questa opera la faccio volentieri? Sento gusto nel farla?”. E allora fermatevi un momento, affinché non sia frutto della vostra iniziativa. Porto un esempio immaginario, che non è successo nella realtà, per spiegare questa affermazione. Supponiamo che una mattina io stia aspettando il mio venerabile signor segretario perché devo sentire il suo parere su una determinata questione, per esempio se devo o non devo dare una caramella a Pietro. E aspetto, e cerco da una parte e dall’altra, e lui magari è andato a comperarmi una barca: sa che a me piace la barca, e arriva a casa a mezzogiorno con una barca. Bellissima cosa, bel regalo! Ma io quella mattina aspettavo un’altra cosa da lui. Con Dio può capitare la stessa cosa: noi possiamo presentargli delle cose meravigliose, grandiose, a mezzogiorno o a sera, ma se lui la mattina si aspetta da noi un caffè, per portare un esempio banale, si aspetta da noi una piccola cosa. Noi possiamo dire: “Signore, ti ho portato a casa questa bella cosa”, ma lui ci risponderà: “Mi hai portato a casa quello che hai voluto tu. Questa mattina io avevo da fare una cosa con te, io volevo una piccola cosa, ma lo volevo da te”. Fratelli miei, il pericolo in cui anche noi religiosi incorriamo è questo: più del 50% delle azioni che noi facciamo potrebbero essere nostre più che di Dio. Don Zeno mi guarda con occhio severo per quanto sto dicendo. Io ho paura di me stesso, perché sono convinto che se non raggiungo il 50%, è facile che mi avvicini. Senza volerlo noi compiamo azioni sante, buone, ma senza fermarci ad esaminare se stiamo facendo quello che vuole Dio o quello che secondo noi, insomma, in via ordinaria è da fare. È come se una cameriera o una cuoca preparasse da mangiare alla padrona senza domandarle quello che desidera, dicendo: “Eh, io so pressappoco che cosa mangia, io so che cosa le piace”. Può darsi che quel giorno la padrona voglia qualcos'altro di differente. È sbagliato? Il nostro pericolo è questo: siamo cuochi e prepariamo ogni giorno quello che secondo noi piace a Dio. E se Dio ha male di stomaco quel giorno e vuole mangiare qualcosa di differente? “Eh, ma gli fa bene!”. “Ma stai attento... Se...”. “Questa sera - dice il Signore - voglio il caffèlatte, vero...”. “Ma un risottino gli farebbe meglio”. “Farà bene a te perché sei il mio cameriere e vuoi mangiarlo anche tu, non è vero?”. Tante volte prepariamo a Dio quello che piace a noi, perché così mangiamo anche noi. State attenti, fratelli, perché è cosa pericolosa. «... quanto invece l’umile obbedienza».

MI320,4 [28-08-1970]

4. L’obbedienza deve essere fatta con umiltà, con umiltà. Dobbiamo amare l'obbedienza umile per amore di Dio, e questo non è facile.
«... Pronta». Oggi, è condannato questo stile di obbedienza, e voi sapete meglio di me quello che si dice a questo riguardo: “L'obbedienza non è virtù, l'obbedienza reprime la personalità”. Non possiamo distruggere certe verità. Quando Adamo ed Eva sono stati creati e posti nel paradiso terrestre dovevano alimentarsi. Che cosa mangiavano? Non lo so, ma mangiavano; certamente non mangiavano legni e neppure sassi; forse mangiavano carne, forse radicchi cotti, ma mangiavano qualche cosa che era dentro una cerchia di alimenti. Anche Nerone mangiava e faceva uso degli alimenti che erano in uso al suo tempo; certamente non si sarà messo a mangiare pezzi di ferro o pezzi d'argento o pezzi d'oro. Noi, se vogliamo vivere, dobbiamo prendere gli alimenti che vengono offerti oggi, anche se qualcosa può variare: infatti una volta si mangiavano i polli da cortile, e adesso mangiamo quelli di allevamento. Ad ogni modo se esaminiamo la storia degli uomini notiamo che sempre ci sono stati alimenti che bisognava mangiare per vivere, come noi oggi mangiamo se vogliamo vivere. È sbagliato? Spiritualmente è la stessa cosa. Ci sono delle cose che erano valide per Adamo, per Gesù Cristo, per noi, e saranno valide anche fra cento milioni di anni, se il mondo sarà ancora in piedi. Se gli uomini esisteranno ancora fra cento milioni di anni, non credo che si alimenteranno con il carbone o con la benzina come l'automobile. L'uomo, finché è uomo con la sua natura, mangerà pane, mangerà carne, magari in pillola, ma non mangerà paglia. Anche nel campo spirituale ci sono delle realtà che non possono cambiare, ci sono delle leggi che non possono cambiare, come quella dell'obbedienza, con quella della ricerca della volontà di Dio come il figlio con il padre, come un po' di ordine e un po' di organizzazione nella vita comune, come lo sforzo per mettersi d'accordo con spirito di fraternità... La carità, insomma, è carità. Ci sono dei doveri da parte dei superiori, ma anche dall'altra parte, per cui si deve ricercare sempre un certo accordo. Bisogna che qualcuno sappia cedere con umiltà per il trionfo della carità. Quante volte abbiamo detto per il passato che non si può andare avanti sul cadavere della carità! Quando un domani sarete in quattro o cinque in una Comunità sarà difficile vivere sempre in unità, forse anche perché il superiore non capisce niente. Ad ogni modo sempre la carità deve essere salvata, l'ordine deve essere salvato. Io penso che è impossibile essere graditi al Signore se non c'è l’obbedienza semplice, pronta, fedele, e direi anche operosa, cioè quella obbedienza che collabora con il superiore. Ma sempre, anche in questo, dobbiamo stare attenti alle opere che lui propone.

MI320,5 [28-08-1970]

5. «Vi ricordo due episodi della storia d'Israele. Due dimostrazioni che Dio non è dove l'uomo vuole fare da sé, calpestando l'ordine ricevuto.
Vediamo i Maccabei. È detto in essi che mentre Giuda Maccabeo con Gionata andava a combattere in Galaad mentre Simone andava a liberare gli altri di Galilea, era stato ordinato a Giuseppe di Zaccaria e ad Azaria, capi del popolo, di rimanere in Giuda per difenderla. E Giuda disse loro: “Abbiate cura di questo popolo e non attaccate battaglia con le nazioni fino al nostro ritorno”. Ma Giuseppe e Azaria, sentendo le grandi vittorie dei Maccabei, vollero fare anche loro, dicendo: “Facciamoci anche noi un nome e andiamo a combattere contro le nazioni che ci stanno intorno”». Avete mai pensato che qualche volta è facile agire per farsi un nome? Non è che Zeno dica: “Adesso io mi voglio fare un nome e perciò faccio questo”, ma possiamo agire, senza accorgerci, per farci un nome. Che ne dici, Antonio? Sbaglio? A volte sotto sotto, sotto sotto, c'è l'io che vuole farsi un nome. «E furono vinti e percossi e “grande fu la fuga del popolo perché essi non avevano dato retta a Giuda e ai suoi fratelli credendo di agire da eroi”. La superbia e la disobbedienza. E che si legge nel libro dei Re? Si legge che Saul fu rimproverato per una e una volta, e la seconda fu tanto riprovato per avere disobbedito da eleggere in suo luogo Davide. Per aver disobbedito! Ricordate! “Vuol forse il Signore degli olocausti o delle vittime o non piuttosto che si obbedisca alla voce del Signore?”». Vuole olocausti e vittime, o che si obbedisca alla voce del Signore? È difficile capire, è difficile capire che l’obbedienza vale di più che non fare quello che si crede sia un atto di carità. Il Signore a volte comanda di prendere una cosa e noi preferiamo di prenderne un’altra perché ci sembra che vada bene così. Eh, state attenti perché a questo proposito potrei scendere a una casistica, ma allora dovrei indicare nomi e cognomi e io non voglio farlo. Guardate che è tanto facile a un dato momento partire con le migliori intenzioni e poi fare la nostra volontà, che tante volte è il nostro capriccio.

MI320,6 [28-08-1970]

6 «L’obbedienza vale più dei sacrifici, il dar retta più che l’offrire il grasso dei montoni; perché la ribellione è come un reato di magia, il non volere assoggettarsi è come un delitto di idolatria. Ora, siccome tu hai rigettato la parola del Signore, il Signore ti ha rigettato per non farti essere più re».
Che brutta cosa sarebbe se venissimo squalificati dal Signore durante il nostro servizio apostolico perché abbiamo cercato troppo noi stessi! A un dato momento tu non riconosci più il vescovo o il superiore come rappresentante di Dio, vuoi fare quello che ti sembra bene, e allora arrangiati! Che pena se fossimo abbandonati dalla grazia di Dio! Che brutto mestiere diventerebbe il nostro! Cascheremmo veramente in basso, trasformandolo nel peggiore dei mestieri. «Ricordate! Ricordate! Quando Samuele, ubbidiente, riempì il suo corno d'olio e andò da Isai Betlemita, perché là il Signore si era provveduto un altro re, entrato Isai con i figli al convito, dopo il sacrificio, vennero presentati a Samuele questi figli. Per primo Eliab, bello di volto, età e statura. Ma il Signore disse a Samuele: “Non badare al suo volto né all'altezza della sua statura perché io l'ho scartato” ». Caro don Girolamo che sei il più alto, la Bibbia dice: “L'ho scartato”. Superiore generale? No... È il più grande! No, l'ho scartato. «“Io non giudico secondo le vedute umane”». Qui parla un po' della statura, ma parla anche di qualità che il Signore tante volte richiede... Quando Papa Giovanni è stato eletto Papa, quanti non hanno crollato la testa? Ricordo che quella sera siamo rimasti un po’ perplessi. Don Aldo è venuto e ha detto che lo Spirito Santo è andato forse in ferie con l’elezione di Papa Giovanni. Invece se c'è stato uno che ha rotto le dighe è stato proprio lui. «“Io non giudico secondo le vedute umane. Perché l'uomo mira le cose che vedono i suoi occhi, ma il Signore vede il cuore”. E Samuele non volle prendere per re Eliab. Gli fu presentato Abinadab. Ma Samuele disse: “Il Signore non ha eletto neppur questo”. E Isai gli presentò Samma. Ma Samuele disse: “Neppur questo è l'eletto del Signore”. E così per tutti i sette figli di Isai, presenti al convito. Ma Samuele disse: “Son qui tutti i tuoi figli?”. “No”, rispose Isai. “Resta uno, fanciullo ancora, che pasce le pecore”. “Fallo venire perché non ci metteremo a tavola altro che quando quello è arrivato”. E venne Davide, biondo e bello, un fanciullo. E il Signore disse: “Ungilo. È lui il re”. Perché, sappiatelo sempre, Dio sceglie chi vuole, e leva a chi demerita avendo corrotta la sua volontà con superbia e disobbedienza».

MI320,7 [28-08-1970]

7. Questa è la conclusione della nostra meditazione: Dio sceglie chi vuole. Quando uno non è preoccupato di fare la volontà del Signore si tuffa nel suo lavoro con una certa gioia quasi dicendo: “Adesso ho raggiunto una sistemazione!”. Quante volte si sente dire: “Quando si arriva a una certa età occorre una certa sistemazione!”. Quando invece uno ha raggiunto la sua sistemazione e lascia posto un po' alla sua superbia, al suo modo di vedere e di fare, allora Dio toglie ogni merito. E allora capita che, senza accorgersene, è come uno che ha i pantaloni rotti nella parte posteriore: tutti ridono, e lui non se ne accorge.
Ed è la situazione di chi crede di essere l'uomo di Dio e si sente soddisfatto del suo stato: è uno stato che fa compassione, nel quale possiamo cadere tutti, tutti, tutti, anche i vescovi, e i cardinali se un domani sarete vescovi o cardinali Mariano , mi guardi meravigliato? Possiamo cadere tutti. Possiamo credere di essere gli uomini di Dio, servirci di Dio per arrivare, e quando siamo arrivati ci dimentichiamo di chi ci ha mandato e dire: “Adesso sono qua io, sono qua io! Adesso ho io in mano il pastorale, sono io il presidente della repubblica... Adesso sono qua io!”. Questo male non viene all’improvviso, ma è come un polipo che degenera in tumore. Che cos'è un polipo in principio? Un foruncoletto, una stupidaggine, una cosetta. Ma finché è un polipo si può togliere, levare; quando invece è un tumore non c'è più niente da fare. E guardate che questo polipo lo abbiamo tutti, cominciando da me. Non illudetevi! Non illudiamoci! Questo polipo, che può degenerare in tumore, lo abbiamo tutti. Se si trattasse di parlare dell'impurità direi: “Beh, insomma, non possiamo dare questo giudizio”, ma qui si tratta di superbia e, senza far torto a nessuno, cominciando dai più vecchi, dovremmo scappare come quella volta i vecchioni che avevano condannato la adultera, perché tutti abbiamo questo polipo. State attenti perché quando ci accorgiamo che è degenerato è troppo tardi... e tutti sappiamo che cosa vuol dire questo perché tutti un po' edotti in materia per quello che sta accadendo in questi ultimi tempi al nostro caro Lorenzo. Quando ci accorgiamo che incomincia ad uscire sangue, è segno di un tumore maligno che non lascia più speranza di guarigione. Se vogliamo veramente essere gli uomini di Dio, se vogliamo veramente camminare sulla strada di Dio, fratelli miei, cerchiamo di fermarci di tanto in tanto e di non sottovalutare questo polipo che tutti portiamo. Esaminiamo le nostre azioni, alla sera, specialmente quando ci mettiamo dinanzi all'altare; esaminiamo le nostre azioni, ma esaminiamole, vorrei dire, con sincerità alla luce dello Spirito Santo, e vi accorgerete che tante azioni della nostra giornata dovremo metterle da una parte e dire: “Queste non valgono per la vita eterna perché le ho fatte perché mi piacevano, le ho scelte perché mi piacevano”. Vi accorgerete che noi stessi dovremo sinceramente prendere alcune delle nostre azioni e dire: “Queste no! Queste non valgono per la vita eterna, queste sono state fatte per soddisfare la mia superbia, per soddisfare il mio capriccio”.

MI320,8 [28-08-1970]

8. Fratelli, io ho finito. Termino soltanto rileggendo questa ultima riga.
«Dio sceglie chi vuole, e leva a chi demerita avendo corrotta la sua volontà con superbia e disobbedienza». Prendiamo un caso pratico. Dio ha scelto per l'Isolotto chi ha voluto lui, ma se un giorno i nostri fratelli che sono all'Isolotto cominciassero a credere di essere loro gli artefici del cambiamento, Dio li toglierebbe e affiderebbe la missione ad altri. Questo è lo stile di Dio, e ricordatevi che Dio lo avremo sempre sul nostro cammino, per cui lo stesso può capitare anche a noi. Sia lodato Gesù Cristo.