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L’APOSTOLO È COSTANTE NEL LAVORO APOSTOLICO

MI343 [24-01-1971]

24 gennaio 1971

Anche per questa meditazione don Ottorino prende lo spunto dalla 2ª delibera sulla “Formazione umana dell’apostolo” del 1° Capitolo generale del 1968. In realtà non legge il testo della delibera, ma solamente qualche parola che viene riportata in corsivo.

Durante la 2ª guerra tra cartaginesi e romani (218-202 a. C.) Annibale, dopo una discesa vittoriosa attraverso l’Italia, si fermò a Capua, in Campania, aspettando ad attaccare Roma e lasciando ai suoi soldati un periodo di riposo, in cui essi si diedero all’ozio e al divertimento. Ciò fu fatale all’esercito cartaginese, che non fu più capace di reagire prontamente al momento della battaglia decisiva.

Don Ottorino cita in latino, modificandolo leggermente, il testo del Salmo 89,10, dicendo: «Si validi sumus, octuaginta».

MI343,1 [24-01-1971]

1 Sia lodato Gesù Cristo!
Continuando il breve commento sulle nostre delibere e soffermandoci ancora una volta sulla delibera n. 2 che ha come titolo «Virtù umane», vediamo se essa ci può offrire anche questa mattina un pensiero di meditazione. Nelle due ultime meditazioni abbiamo parlato, se non sbaglio, sulla sincerità e sul senso di responsabilità; non ricordo se abbiamo parlato anche sulla fermezza; forse abbiamo solo cominciato a parlarne. Allora passiamo adesso ad un altro punto, alla «ponderatezza nel giudicare».Prima, però, vorrei soltanto sottolineare, per quanto riguarda la fermezza, quello che ho detto l'ultima volta, soltanto sottolineare, perché non dirò niente di nuovo.Abbiamo visto, anche nel campo umano, che riescono coloro che, ad un dato momento, hanno una certa costanza e non si perdono di coraggio. Alle scoperte umane certi scienziati arrivano alla fine della loro vita, consumando l'intera esistenza, puntando i piedi e dicendo: «Devo arrivare a quel punto!». Nel campo, poi, del lavoro o dell'industria, ci vuole costanza, occorre un po’ di ottimismo, fiducia in se stessi, confidenza anche in coloro che ci sono vicini: «Dio, i miei fratelli ed io insieme ci riusciremo. Siamo in tanti. Da solo no, ma con l'aiuto di Dio e dei confratelli... vediamo un po'. Mi sforzerò prima di arrendermi!». Prima di mettersi in uno stato di passività, in quella specie di ozi di Capua che portarono alla rovina l'esercito di Annibale e potrebbero portarla anche al piccolo esercito degli apostoli, pensiamoci molto.Girando un po' per il mondo troviamo tanti uomini sfiduciati, uomini che, arrivati a cinquant'anni, mostrano d'averne più di ottanta. La Sacra Scrittura dice: «Ottanta per i più robusti» , per cui possiamo resistere almeno fino ai settanta. Invece ci sono uomini che a cinquant’anni o a quaranta, qualche volta anche a trenta, sono sfiniti.Qualche sacerdote si lamenta dicendo: «Ho già provato come cappellano da una parte e dall’altra. Oh, per me ormai è impossibile continuare a lavorare!», e allora si incolpano le strutture, si incolpano i confratelli, i vescovi, i Papi... insomma si cerca di scaricare a destra e a sinistra la propria miseria, la propria incapacità di fare qualche cosa.

CONGREGAZIONE Capitolo

VIRTÙ

fortezza

DOTI UMANE costanza

DOTI UMANE ottimismo

COMUNITÀ

confratelli

SACERDOZIO prete

San Giuseppe Cafasso (1811-1860), santo sacerdote torinese, era famoso come guida e consigliere spirituale, ma anche come confessore dei condannati a morte. Don Ottorino gioca con al parola fare bottoni per indicare la trasformazione di persone di poco conto in cristiani degni del Paradiso.

Il termine è usato da don Ottorino nel senso contrario al suo vero significato.

Nell’esempio don Ottorino nomina Tarcisio Magrin, che all’epoca stava facendo un periodo di discernimento vocazionale, e don Giuseppe Biasio, che stava completando il corso teologico.

MI343,2 [24-01-1971]

2 Osservate quanto avviene nel campo umano. Se uno ha un po' di spirito di iniziativa riesce ad avviare una industria anche con le unghie degli asini. Vi dico questo perché in fondo alla stradella Mora, all'imboccatura, nell'ultima casetta, prima che voi veniste, c'era un uomo che andava al macello comunale a prelevare le unghie degli animali uccisi e le ripuliva, e un altro poi le ritirava da costui per farvi bottoni: faceva bottoni con le unghie delle vacche, degli asini e delle capre. Chi ha un po' di spirito d'iniziativa prende il sangue delle bestie e lo usa, prende i rifiuti e li adopera, insomma sa organizzare, sa fare qualcosa anche con i rifiuti.
Un santo non si perde di coraggio. Il Cafasso, lo sapete, faceva «bottoni» persino con i condannati a morte perché era il santo dei condannati a morte. E San Vincenzo de' Paoli, il santo delle galere, faceva «bottoni» persino con i galeotti, ma bottoni belli, d'oro, qualche volta migliori di quelli che facevano gli altri. Gesù Cristo alla fine della sua vita aveva due «bottoni» da preparare, uno a destra e uno a sinistra della sua croce, ma ne ha ricavato un bel bottone doro: il buon ladrone.Perciò io credo che prima di piegarci e cedere, prima di dire: «Mah! Qui è inutile lavorare; a Crotone, in Argentina... non si riesce a ricavare niente. I nostri confratelli sono lì da dieci anni, ma non si riesce a... nulla. Sì, sì, qualche cosa si fa, ma è molto poco», dobbiamo pensarci molto. Inoltre, una delle cose che bisognerà fare sarà anche considerare quello che, forse, tante volte noi non consideriamo.Supponiamo che voi dobbiate andare in cerca di pietre preziose e lavoriate un anno intero in Amazzonia, in mezzo alla foresta: lavorate, lavorate. Dopo un anno trovate una pietra, una robetta... da niente, una robetta che vale magari centocinquanta milioni. Poi lavorate per altri cinque o sei mesi. A un dato momento Tarcisio esce a dire: «Qui lavoriamo per niente; è un anno e mezzo che scaviamo!». Allora interviene don Giuseppe: «Non ricordi che abbiamo trovato una grossa pietra preziosa?». E l'altro: «Beh, insomma, cos'è mai?». Insomma, è preferibile incontrare una pietra che vale centocinquanta milioni che trovarne una al giorno del valore di cento lire!Con questo non intendo condannare nessuno: è una cosa umana che può capitare a tutti.

DOTI UMANE

GESÙ

VIZI scoraggiamento

La Congregazione aveva iniziato la prima Comunità a Crotone nel mese di luglio 1963, guidata da don Marcello Rossetto.

MI343,3[24-01-1971]

3 Ricordo che ai primi tempi della nostra presenza a Crotone, un giorno in cui mi trovavo lì, i nostri confratelli mi hanno accompagnato all'aeroporto e tutti, proprio tutti, commentavano: «Beh, vedremo come andranno le cose!». Erano scoraggiati. Era un anno e mezzo che lavoravano a Crotone e dicevano: «Che cosa vuole? Qui non si raccoglie niente. Mah, vedremo come andrà...». Erano veramente scoraggiati e abbattuti. E allora mi son permesso di dire: «Ehi, amici, amici... Come fate a dire che lavorate per niente?». Proprio quella mattina era venuto a confessarsi un uomo, marito di quella donna che, capitata il giorno prima in sacrestia mentre don Marcello stava indossando i paramenti per la Messa ed io deponendo i miei, aveva detto: «Padre Marcello, mi può, per favore, confessare? Sono quarantasette anni che non mi confesso». E lui l'aveva confessata. Nel pomeriggio dello stesso giorno era ritornata per dire:
«Padre, sono stata veramente contenta della mia confessione; ne ho parlato a mio marito e domattina vorrebbe venire anche lui... Potrebbe?». E alle sette della mattina seguente era venuto suo marito, che è professore, e si è confessato anche lui. E proprio quella sera mi dicevano: « Ah, qui lavoriamo per niente! ».Amici miei, anche se avessero lavorato per un anno e mezzo solo per un'anima, e un altro anno e mezzo per pagare quello che si era ottenuto, mi pare che la loro presenza a Crotone è veramente preziosa.Se qualche volta lavoriamo, per esempio, anche per tre anni senza raccogliere niente, noi abbiamo fatto il sacrificio, abbiamo tolto via l'ammasso di terra che stava sopra la perla e, dopo, verrà un altro a togliere gli ultimi dieci centimetri e ad estrarre la perla preziosa. Per fare questo ci vuole tanta fede, tanta fiducia che la missione che stiamo compiendo non è nostra, ma di Dio. Noi dobbiamo prestare le nostre braccia, le nostre gambe, il nostro cuore, la nostra intelligenza, tutto noi stessi e la nostra personalità a servizio di Dio.E allora torniamo a quello che ho detto l'altra volta: occorre cercare la volontà di Dio, assicurarsi che siamo sulla sua strada e non sulla nostra. Se sorge un dubbio, sia illuminato dalla preghiera e dal consiglio, si chieda suggerimenti a persone esperte, a uomini di Dio, evitando di cercare l'amico che dica: «È preferibile mollare tutto, prendere la Caterinella e sposarsi». È necessario rivolgersi a un uomo illuminato, un uomo che dinanzi a Dio possa dire: «Va’ avanti tranquillo e non avere paura!».

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

CONGREGAZIONE storia

GRAZIA Confessione

ESEMPI apostolo

CONSACRAZIONE offerta totale

VOLONTÀ

di DIO

PREGHIERA

FORMAZIONE direzione spirituale

Don Ottorino parla di un cieco noto in tutta la città, che chiedeva l’elemosina presso il santuario di Monte Berico suonando la fisarmonica. Si era nel periodo del fascismo. Il cieco era accompagnato da una donna con cui conviveva, la quale avvisava chi stava avvicinandosi, e lui subito intonava le canzoni che piacevano alla gente che passava. Quella donna ebbe un figlio che fu uno dei primi ragazzi accolti nella casetta. Nel testo registrato don Ottorino precisa per i giovani della Casa dell’Immacolata che non si tratta del cieco che conoscevano perché abitava in via Mora fino al 1960, ma di un cieco vissuto molti anni prima.

Nella prima casetta alcuni ragazzi vivevano giorno e notte ed erano chiamati “interni”, mentre altri frequentavano i corsi scolastici e professionali e poi ritornavano in famiglia ed erano chiamati “esterni”.

MI343,4[24-01-1971]

4 Mi sembra che il Signore voglia dai suoi uomini il senso della fermezza e della costanza, perciò si provi e si riprovi, e con l'aiuto di Dio si otterrà quanto proposto. Mettiamo in preventivo, poi, che se anche tutto andasse a vuoto, va bene lo stesso in quanto imitiamo Gesù che ha offerto la sua vita e con il suo sangue ha redento il mondo. Perché il sacrificio non va mai perduto; ogni goccia di sudore che noi versiamo viene messa nel calice di Dio.
Ma anche sotto l'aspetto apostolico umano, anche se per noi non dovrebbe esserci niente di umano, ma tutto deve essere soprannaturale, quando impegniamo tutta la nostra parte umana, non crediate che qualcosa vada perduto.Ricordo che durante i primi tempi dell'Istituto ho espresso questa mia preoccupazione a don Giovanni Calabria, perché era umano un sentimento di sfiducia vedendo che dopo tanto lavoro non ottenevo gli effetti sperati: «Don Giovanni, mi pare che talvolta si lavora con qualche ragazzo e non si ottiene niente». E gli ho raccontato il caso di uno che proprio ne combinava d'ogni sorta.Portate pazienza se vi ho raccontato l’episodio altre volte. Si trattava del figlio della povera disgraziata che conviveva con il cieco di Monte Berico, il famoso cieco che suonava «Faccetta nera» o «Giovinezza» quando passavano i fascisti, e «Noi vogliam Dio» o l'«Ave Maria» di Lourdes quando passavano i preti. La donna gli diceva: «Arrivano i seminaristi! Arrivano i fascisti!», e lui subito, quando li sentiva salire per i portici, intonava la canzone «ad hoc». Questa donna si prostituiva, e potete immaginare che cosa succedeva in casa con i figli. Il ragazzo che io avevo raccolto è stato uno dei primi, il primo interno, quello famoso al quale, quando gli ho tagliato i capelli, mia mamma toglieva i pidocchi dalla testa con una cartolina. Potete immaginare quindi che cosa ci poteva essere di buono in lui.Pensate che era arrabbiato con sua madre perché, quando egli era piccolino, per fargli da mangiare andava a scovare fra i rifiuti dei ricchi gli ossi buttati via, li lavava un po', li faceva bollire e ne ricavava il brodo per la minestra. E lui ricordava tutte queste cose e non gliele perdonava. Ecco perché c'era l'immoralità con tutte le sue conseguenze: le conseguenze interne proprie dello spirito di un ragazzo, che le aveva ricevute dall'educazione oltre che dal sangue. Perciò in lui c'era l'odio, accompagnato da tanti altri sentimenti perversi.

DOTI UMANE costanza

GESÙ

imitazione

GESÙ

sequela

VIRTÙ

fortezza

CONGREGAZIONE storia

CONGREGAZIONE Casetta

AUTOBIOGRAFIA

Si tratta di una celebre preghiera che i sacerdoti e i fedeli recitavano dopo la comunione, guardando l’immagine del crocefisso, per lucrare l’indulgenza plenaria.

Don Ottorino allude alla cerimonia con la quale si dà inizio all’anno del noviziato, durante la quale si consegna ad ogni novizio un crocifisso.

L’episodio risale al primo periodo dell’Istituto, quando esisteva solamente la casetta costruita nel 1941 dal papà di don Ottorino.

MI343,5[24-01-1971]

5 Il ragazzo bestemmiava moltissimo, per cui gli avevo consegnato un foglietto, sul quale erano segnate sette crocette, come quella stampata in fronte alla preghiera: «Eccomi, o mio amato e buon Gesù» , e ogni sera gli dicevo: «Devi fare sul foglietto tanti segni in rosso quante sono le bestemmie che hai detto durante la giornata». E lui veniva alla sera a mostrarmi il foglietto. Una sera venne da me piangendo: «No, no: ne ho fatte troppe, non ho avuto il coraggio di scarabocchiare il Signore!». E io volevo anche il segno esterno perché gli servisse come aiuto per vincersi. «Ma no! - diceva - Perché farmi fare anche dei segni?». E io insistevo: «Tu con la bestemmia hai fatto un segno contro Cristo, e adesso segnalo in modo che si veda. Quante volte l'hai fatto?». E veniva, poi, con dieci, quindici, venti segni e me li mostrava. Ah, c'era tutta una reazione! Ora ricordo che, insomma, si sarebbe dovuto mandarlo via centomila volte.
Un giorno avevo consegnato a tutti un crocifisso - erano tutti come novizi allora, nei primi tempi, e consegnavo a tutti un piccolo crocifisso - e lui si era arrabbiato con un suo compagno. Mi pare ancora di vederlo sul posto. Nella casetta c'erano le scale che avevano un pianerottolo. Appena uscito di chiesa, la nostra cappellina, sul pianerottolo delle scale ha preso il crocifisso, l'ha buttato per terra, gli ha sputato sopra, l'ha pestato, ha cominciato a bestemmiare. Immaginate davanti alla scena questo povero prete giovane, che vede un ragazzo che si comporta in questa maniera e che bestemmia come un turco... avrei voluto prenderlo, metterlo dentro a un tritacarne e farne salsicce.Ricordo che sono andato da don Giovanni Calabria e gli ho detto: «Don Giovanni, mi capitano ragazzi difficili e incorreggibili». Allora i miei ragazzi non erano angeli come voi, erano solo... arcangeli! «Che cosa devo fare? Mi sembra che sto lavorando per niente!». E don Giovanni mi ha risposto: «Don Ottorino, non scoraggiarti. Quando si lavora per il Signore, non si lavora mai per niente. Per conto mio, tu sforzati: se proprio non ci sarà nulla da fare, li dimetterai, ma tu sforzati: non si lavora mai per niente. Presto o tardi il seme, gettato in un'anima, spunterà, spunterà. E anche se non raccogli tu, non importa niente: raccoglierà nostro Signore, penserà il Signore. Quella persona farà un atto di amore di Dio in fin di vita, si convertirà in un momento di disperazione, ma quell'anima tornerà».La verità è che quel ragazzo non l'abbiamo più potuto tenere. Ad un dato momento ho dovuto mandarlo via perché era una disperazione.

CONGREGAZIONE storia

CONGREGAZIONE Casetta

AUTOBIOGRAFIA

APOSTOLO salvezza delle anime

DIO amore di...

DIO cuore di...

DIO bontà

di...

CONVERSIONE

Nell’Istituto c’era l’abitudine nei primi anni di terminare le preghiere con una invocazione in latino: «Sante Caietane, ora pro nobis!».

Il riferimento è a don Girolamo Venco, che nel 1971 faceva parte dei responsabili della Casa dell’Immacolata.

MI343,6 [24-01-1971]

6 Un bel giorno, dopo otto o dieci anni, lo vidi arrivare qui nella Casa dell'Immacolata. Mi disse: «Devo parlarle». «Boh... boh...», feci io, e lo invitai a passare in una stanza. «Senta, don Ottorino: penso al lazzarone che ero e sono ancora, ma io non posso dimenticare quello che ho imparato qui. Ho fatto il servizio militare in marina e qualche volta la nave ballava sulle onde e me la vedevo brutta, e allora dicevo: "Sancte Caietane! Sancte Caietane!" ». E continuando il discorso: «Ricordo quello che mi ripeteva sempre, che quando si commette una mancanza grave bisogna rivolgersi al Signore e dirgli: “Signore, sono stato un lazzarone, perdonami”. Allora io dicevo questa giaculatoria». Ai ragazzi di quei tempi io avevo insegnato questa giaculatoria. E riprese: «L'ho ripetuta tante volte questa giaculatoria... Sono andato in Germania... e alla fine sono venuto qui da lei perché mi confessi». Allora m'è venuto in mente tutto quello che aveva combinato anni addietro, tutte le volte che l'avrei infilato nel tritacarne per farne salami, le parole di don Giovanni Calabria: «Porta pazienza perché presto o tardi...». Quando ho alzato la mano e ho detto: «Ego te absolvo», sapevo già che tre ore dopo quel tale sarebbe stato in peccato un'altra volta: un peccato, direi, più materiale che formale, perché, cosa volete, una natura di tal genere non poteva resistere. Se fossi stato io nelle sue condizioni!
Passato un po' di tempo, venne un giorno a visitarmi una coppia di sposi: una ragazza vestita di bianco e lui che mi disse: «Ci siamo sposati ed ho voluto venire a presentarle la mia signora». Ricordi, don Girolamo? Sarebbe stato il caso di dire a lei: «In buone mani ti trovi!», ma l'ho detto tra me, nel mio cuore. Però, intanto, qualcosa è rimasto anche in quell'anima.

AUTOBIOGRAFIA

CONGREGAZIONE storia

CONGREGAZIONE Casetta

Don Ottorino nomina due località dove già erano presenti religiosi della Congregazione: il Chaco, regione del nord Argentina, dal 1967 e Laghetto, rione periferico di Vicenza, dal 1970 e quindi da pochi mesi, ove il parroco era appunto don Giuseppe Rodighiero.

Espressione famosa del grande autore latino Tertulliano.

MI343,7 [4-01-1971]

7 La nostra costanza, la nostra fermezza, deve avere come base questo principio: noi lavoriamo per il Signore e, anche se non raccogliamo oggi o non raccoglieremo noi, raccoglieranno gli altri. Supponiamo perciò che un confratello sia inviato nel Chaco o in un altro posto, a Laghetto per esempio, magari don Giuseppe a Laghetto, e che lavori, lavori e ad un certo momento dica: «Insomma, questa è la peggiore parrocchia della città: non si raccoglie niente». Va bene, non avrà la soddisfazione umana, ma non deve scoraggiarsi perché, di solito, le piante che si sviluppano in fretta, finiscono anche in fretta, mentre i noci o cert'altre piante, che son legno buono, impiegano del tempo per crescere; il sambuco, invece, e altre piante fanno presto a svilupparsi, ma poi non è possibile costruire mobili con il sambuco, a meno che non vengono costruiti con legno con il buco. Le piante buone, che danno legno buono, sono lente a crescere.
Il Signore tante volte vuole che si mettano profonde le radici dell'umiltà e della fede. «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani» , insegnavano una volta, e può essere un martire anche un sacerdote, un diacono, che è messo in un posto dove il suo lavoro riesce difficilmente a dare frutto.E poi non basta avere la fermezza nel lavoro da svolgere dove si è mandati, - per esempio se uno è mandato a Laghetto non deve perdersi dì coraggio - ma anche nelle iniziative. Adesso, per esempio, è iniziata l’esperienza con i cursillisti. Si inizia con entusiasmo, ma dopo cinque o sei mesi si constata che di tutti quelli che parteciparono al corso nessuno più collabora: bisogna trascinarli, insomma. E allora si conclude: «Eh, sì! Il Cursillo non è adatto per Vicenza, niente da fare, a Vicenza non va». Amici miei, può darsi che la colpa sia nostra, perché non ci siamo impegnati con entusiasmo, non abbiamo lavorato con costanza. Pensavamo che, acceso il fuoco, bastasse lasciarlo ardere senza più curarcene.

VIRTÙ

fortezza

DOTI UMANE coerenza

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

ESEMPI pastorale

PASTORALE

CROCE martirio

CHIESA Movimenti ecclesiali

APOSTOLO F.A.

Il riferimento è forse a Giorgio De Antoni, all’epoca allievo del corso teologico.

Don Ottorino ricorda i tempi quando i motori di certe auto, ma specialmente quelli dei camion, partivano sotto la spinta di una manovella che si doveva far girare con forza a mano, ponendo molta attenzione perché ritornava con violenza su se stessa causando problemi al braccio del povero malcapitato.

MI343,8 [24-01-1971]

8 Le nostre brave donne si servivano del soffietto. Voi non siete dei tempi del soffietto. Sapete cos'è il soffietto ? Tu, Giorgio , lo sai? Era un cannello di ferro con due sporgenze ad un'estremità, che servivano a tenerlo sospeso sulla cenere e impedire che si riempisse di essa. E allora lo si appoggiava al focolare senza affondarlo nella cenere, e le donne con esso soffiavano sul fuoco. Ogni tanto gridavano: «Figliolo, dà una soffiata con il soffietto», perché il fuoco si ravvivasse un poco. Dario, tu lo conosci? Il fuoco deve essere preparato e alimentato, e soltanto dopo, a un dato momento, continua da solo. Noi invece vorremmo gettare un fiammifero acceso e credere che il fuoco si sviluppi, come capita adesso quando si gira un interruttore e si accende una lampadina, o si accende un fiammifero e parte il fornello del gas. Amici miei, la tecnica moderna va avanti così, ma il lavoro apostolico resta ancora al tempo del soffietto. Caro don Giuseppe, bisogna che soffiamo ancora; non c'è niente da fare! Secondo la nostra mentalità moderna noi vorremmo premere un bottone e convertire un paese, premerne un altro e avere nuovi convertiti, un altro ancora e far piovere dal cielo cinquantamila vocazioni. È vero che adesso si preme un bottone e sale l'ascensore, se ne preme un altro e parte una macchina. Noi, invece, siamo del tempo in cui bisognava adoperare la manovella per avviare un motore d'auto, e si riceveva anche il contraccolpo, e più di un autista, per il contraccolpo, si è rotto il braccio. Nella vita spirituale siamo ancora a quel tempo: non si può cambiare. Vorrei anzi dire che oggi ci sono difficoltà maggiori perché le anime sono sempre più lontane dagli interessi e dalle cose di Dio e sono preoccupate delle cose del mondo, sono immerse in tante attività materiali, e noi dobbiamo portare queste anime alla vita dello spirito, a Dio.

ESEMPI F.A.

APOSTOLO missione

Don Ottorino interpella il diac. Vinicio Picco, il più maturo per l’età fra i presenti e quindi con maggiori ricordi del tempo passato.

Don Ottorino porta l’esempio di una strada da costruire, immaginando che deva coprire la distanza fra lui e Antonio, seduto in fondo alla sala, passando attraverso i posti dove si trovavano Gabriele e Franco. L’esempio va riportato su distanze maggiori, ma don Ottorino vuole renderle pratiche, coinvolgendo in qualche modo quelli che ascoltano. Di fatto nomina successivamente Antonio Conte che era novizio, Gabriele Stella e Franco Faggian, che frequentavano le scuole superiori, don Giorgio Girolimetto e don Girolamo Venco già sacerdoti, Ugo Gandelli che frequentava il corso per geometri, Fernando Murari scherzando sulla vita e sulla sua intelligenza pratica, e don Matteo Pinton insegnante di filosofia.

MI343,9 [24-01-1971]

9 I camionisti di una volta, quando non c'era il motorino di avviamento, d'inverno dovevano riscaldare con il fuoco il motore del camion, dovevano girare la manovella, far trainare il loro camion da un altro, tribolare insomma per metterlo in moto, e non si perdevano di coraggio. Qualche volta dovevano iniziare alle sei del mattino e alle dieci erano ancora per le strade del paese per avviare il camion, ma non si perdevano di coraggio, e alla fine il camion partiva. Vinicio, è o non è la verità? Quante volte è successo questo! Forse qualche volta anche qui.
Amici, come quei camionisti non si perdevano di coraggio e dicevano: «Deve partire: non ha guasti al motore, carburante e corrente vi arrivano, deve partire», così anche noi dobbiamo essere uomini che non si perdono di coraggio nelle iniziative apostoliche: non solo nel posto dove il Signore ci invierà, - evidentemente se incontriamo delle serie difficoltà bisogna che ne parliamo, ne facciamo avviso, le indichiamo - ma anche nelle iniziative che noi prenderemo con l'aiuto di Dio o che il Signore ci ha ispirato di intraprendere. Non dobbiamo perderci di coraggio.Di fronte a una difficoltà, come devo comportarmi? Supponiamo che io stia facendo una strada provinciale da qui ad Antonio. A un dato momento, quando la mia opera è arrivata dove si trova Gabriele, costui mi dice: «Io credo che non valga la pena costruire questa strada», e mi pone tante difficoltà. Io cerco di dimostrargli che, secondo me, è giusto farla. Procedo un altro poco e trovo Franco che mi dice: «Ah! Io la strada provinciale non la farei». Io cercherò di illustrare il mio pensiero anche con lui, ma poi mi rivolgerò ai tecnici esperti nella costruzione di strade. Dirò a don Giorgio: «Ho già iniziato la costruzione di quella strada; prima di farlo mi sono consigliato con don Girolamo, con Ugo e con altre persone; mi pare che sia bene farla. Tu, che non vi hai interessi, che cosa ne pensi?». «Eh sì! - mi risponde - Mi sembra giusto farla». Vado, poi, da un altro, per esempio da Fernando: «Tu, che sei corto di vista... Se ci vedi tu nella cosa, vuol dire che... sono al sicuro. Dimmi un po', che ne pensi?». «Eh, mi scusi, eh! Se non si fa quella strada bisogna compiere dei lunghi giri». Mi rivolgo, infine, ad un altro che, secondo me, non dovrebbe essermi favorevole perché di solito, quando può contraddirmi, lo fa volentieri. Supponiamo che sia don Matteo. «E allora, don Matteo, che ne pensi?». «Don Ottorino, lei sa che di solito io non sono proprio favorevole ai suoi piani, però in questo caso dico sì anch'io». Allora torno sui miei passi, lascio pure che Franco dica: «Io non la farei», lo mando in osteria a bere un bicchiere di vino, e vado avanti per la mia strada. Non si tratta di disprezzare le osservazioni che vengono fatte durante il lavoro, ma di accettarle da buoni fratelli, di cercare di chiarire il nostro punto di vista. Le osservazioni devono farci riflettere, farci pensare, spingerci a domandar consiglio, e non farci litigare con i confratelli per mostrar loro che abbiamo ragione. Ma neppure, ed è qui che vorrei che piantassimo fisso il chiodo, devono farci perdere l'entusiasmo del nostro lavoro: entusiasmo che non è quello esteriore, non è ricerca di una soddisfazione sensibile, perché di esteriore non ci interessa niente, ma è l'entusiasmo di fare la volontà di Dio. Distinguiamo bene queste due cose quando dico entusiasmo del nostro lavoro.

ESEMPI F.A.

VIRTÙ

fortezza

DOTI UMANE costanza

ESEMPI fermezza

COMUNITÀ

confratelli

VOLONTÀ

di DIO

APOSTOLO entusiasmo

Il riferimento è a Tarcisio Magrin, che all’epoca stava facendo un periodo di discernimento vocazionale.

Durante il ritiro di Natale 1970 a Bosco di Tretto (VI), don Ottorino aveva portato un esempio parlando di un generale e di un capitano, ma in questa circostanza non ripete lo stesso esempio pur richiamandosi agli stessi personaggi.

Nell’esempio don Ottorino nomina Raffaele Testolin, Giogio De Antoni e Adriano Vigolo, tutti allievi del corso teologico.

MI343,10 [24-01-1971]

10 Supponiamo che ad uno piaccia una certa musica. A te, Tarcisio , piace la musica, e ringrazia il Signore. Un certo giorno tu devi preparare una Messa cantata, ma a te non piace quella data Messa, quel tipo di musica; tuttavia, se in precedenza hai concordato con i confratelli nella sua scelta, tu devi metterci l'entusiasmo nell'insegnarla, in modo che i cantori non devono nemmeno accorgersi se essa ti piace o non ti piace. Questo entusiasmo è necessario in ogni iniziativa, a prescindere che essa piaccia o non piaccia.
Se, per esempio, ho deciso di costruire la strada perché mi sembra che vada bene costruirla, se l'ho illustrata agli amici e si è stabilito di farla, io devo provare entusiasmo per questa strada, perché non sono più io che la voglio, ma è una cosa che mi è comandata dal Signore.Ricordate la storiella del capitano e del sergente? Non ve l'ho mai raccontata? Ah, solo a quelli che si trovavano a Bosco! Beh, allora ve la racconterò.Supponiamo di trovarci in caserma a fare il servizio militare e che Raffaele sia sergente. Un gruppetto di soldati - tutta la squadra: Giorgio, Adriano e compagni - sono ai suoi ordini. In caserma - immaginate che la caserma sia la Casa dell'Immacolata- ci sono ventiquattro cannoni, tutti disposti davanti alla legatoria, vicino al magazzino. Un bel giorno il sergente Raffaele, guardandoli, dice: «Questi cannoni, messi qui, mi sembra che siano in una posizione d'ingombro perché impediscono le manovre dei camion che entrano in cortile. Quanto sarebbe preferibile disporli in fila, sotto le piante, dove non sarebbero d'ingombro per nessuno e figurerebbero bene lo stesso!». Allora va dal capitano, che è il nostro caro don Girolamo, e gli dice:«Signor capitano...».«Dica, sergente».«Ho pensato che i cannoni, come lei vede, sono un impedimento per entrare in legatoria. Non sarebbe, forse, il caso di spostarli sotto le piante?».«Sì, sergente, ha proprio ragione. Molto bene, bella idea. Non pensavo che lei fosse così intelligente!».«Allora, signor capitano, se lei non ha niente in contrario, oggi il mio gruppo potrebbe disporli tutti in quel luogo».

ESEMPI entusiasmo

Nel testo registrato don Ottorino usa sempre il termine “cinema”.

L’Astichello è un piccolo corso d’acqua che limita la proprietà della Casa dell’Immacolata.

MI343,11 [24-01-1971]

11 «Senz'altro, oggi senz'altro può farli spostare sotto le piante».
Il nostro caro sergente inizia subito il lavoro e, verso mezzogiorno, arriva il colonnello, che è don Guido.«Sergente, che cosa stai facendo?».«Sposto i cannoni, signor colonnello».«Chi l'ha ordinato?».«Il capitano, signor colonnello».Il sergente dice che ha ricevuto l'ordine dal capitano, perché anche se è vero che la proposta è stata sua, il capitano però ha acconsentito dicendo: «Sì, va bene». L'ordine quindi è del capitano e che si arrangi lui con il colonnello. E se, arrivata la sera, il sergente non ha ancora traslocato i cannoni, viene il capitano e dice: «Sergente, doveva traslocare i cannoni». «Ma...», può obiettare. «Perché? Non le avevo detto di farlo?». E allora lo rimprovera giustamente perché il lavoro non è stato fatto. «Ma - potrebbe dire il sergente - sono stato io a farle la proposta!». Non importa niente: tu hai proposto, lui ha accettato, hai ricevuto un ordine e devi eseguirlo come se l'idea non fosse partita da te.Amici miei, quando, per esempio, mi chiedo se sia il caso di fare una determinata cosa, come l’attività degli audiovisivi : io la medito con attenzione, perché l'iniziativa parte da noi, la ripenso, la propongo al «capitano» che l'accetta: da allora l'iniziativa non è più mia e io devo sforzarmi di condurla a compimento, finché il colonnello non dà un contrordine al capitano e il capitano non mi dice: «Alt!». Allora distruggo tutto e... lo butto dentro l'Astichello. Tutte le varie iniziative che prendete, anche quelle apostoliche, quantunque partano da voi, dovete necessariamente sottoporle al vostro padre spirituale o ad altre persone, in modo da essere sicuri che non siano soltanto vostre, ma diventino di Dio. Quando, poi, cominciate a realizzarle, dovete metterci tutto il vostro entusiasmo, anche se personalmente non vi sentite entusiasti, come se si trattasse di un ordine partito da Dio.Qui infatti sta il pericolo: se l'ordine è stato dato direttamente dal capitano e l'iniziativa non è partita da noi, si va fino in fondo e si superano le difficoltà, mentre, invece, se l'iniziativa è nostra, all'insorgere delle prime difficoltà che non avevamo interamente previsto, ci si scoraggia dicendo: « Beh, va là...», e si manda tutto alla malora. E invece no, invece no!

VOLONTÀ

di DIO

FORMAZIONE direzione spirituale

Don Ottorino riprende scherzosamente il termine che aveva usato in un esempio precedente.

La registrazione è interrotta a questo punto per invito di don Ottorino, che prosegue probabilmente con qualche accenno che evidentemente non voleva venisse registrato.

MI343,12 [24-01-1971]

12 Immaginiamo un sacerdote in cura d'anime con trecento, cinquecento o un migliaio di anime a lui affidate: si mette davanti al Signore, fa propositi e dice: «Signore, farò così: andrò a visitare gli ammalati una volta la settimana». Riflette e fa i suoi bei propositi: «Signore, seguirò questo programma apostolico», ma dopo esservi andato per una o due settimane capisce che si sta meglio in osteria a bere un bicchiere di vino o a fare una partita a carte, e quindi non va dagli ammalati. Per conto mio quel sacerdote ha disubbidito a Dio. È chiaro? Sbaglio, don Giuseppe? Ha disubbidito a Dio. Il programma lo aveva fatto dinanzi al Signore, aveva capito che sarebbe stato bene portare ogni settimana la parola di Dio agli ammalati, specialmente ai più bisognosi, aveva chiesto consiglio al padre spirituale, a qualche sacerdote delle parrocchie vicine, e preso la decisione: da quel momento la decisione non è più sua ed egli doveva mostrarsi risoluto, andare fino in fondo.
Altrimenti sarebbe come chi dà inizio ad una fabbrica di stuzzicadenti, ma quando arriva a produrre i primi stuzzicadenti e da varie parti gli fanno capire che gli stuzzicadenti prodotti si spezzano, cambia produzione e fa carriole; ma quando lo informano da una parte e dall'altra che le ruote delle carriole sono un po' oscillanti, allora sospende e si mette a fabbricare soffietti. Alla fine in quella fabbrica ci sarà un'infinità di stampi d'ogni genere senza concludere mai niente. Dicono che gli stuzzicadenti si rompono? Ebbene, si usa legno più grosso. Non vanno ancora? Si usano pezzi di ferro, ma devono uscire stuzzicadenti.Non so se sono riuscito a trasmettere il mio pensiero; volevo soltanto dire una parola prima di partire con il nuovo tema, ma sono cascato ancora sullo stesso tema della meditazione precedente. Cercate, vi supplico, cercate di essere uomini, uomini che quando si sono assunti un dovere da compiere, lo portano fino in fondo, uomini che quando avviano una iniziativa la realizzano compiutamente. Chiudi un istante il registratore.

ESEMPI incostanza

PECCATO omissioni

VIRTÙ

fortezza

DOTI UMANE costanza

Nel testo registrato don Ottorino cita l’espressione di Lc 5,5 in latino: «In verbo autem tuo laxabo rete», come poi la ripete a conclusione della frase.

Allusione ad un episodio della vita del Santo Curato d’Ars che, preso dall’eccessiva preoccupazione per la sua missione, ebbe un momento di sconforto e abbandonò la sua parrocchia.

Il gesto della donna è significativo pensando che un tempo si uccidevano i pidocchi schiacciandoli con le unghie dei due pollici.

Don Ottorino conclude invitando ad essere tenaci e costanti anche nei momenti delle avversità e delle prove.

MI343,13 [24-01-1971]

13 La Chiesa di Dio ha bisogno di questi uomini. Essi sono necessari anche nel mondo, nella politica, nel campo dell'industria, del commercio, ma in modo particolare nel campo dell'apostolato. Ci vogliono uomini donati interamente alla propria causa, che non si scoraggiano e vanno avanti fiduciosi di avere il Signore con loro, che sanno fare come Pietro dicendo in ogni azione: «Sulla tua parola getterò le reti», uomini che ripetono: «Signore, ho pescato tutta stanotte e non ho preso niente, ma se tu mi fai capire che è tua volontà che io riprenda la mia fatica e cominci di nuovo, come il Santo Curato d'Ars che scappò dalla sua parrocchia e dopo vi ritornò subito , Signore, sulla tua parola getterò le reti».
Questi uomini sono quelli che, messi uno per ogni città, dopo un breve periodo fanno venir fuori una moltitudine di santi. Ricordatelo, Franco: ne basterebbe uno per città. Dopo dieci o quindici anni questi uomini non possono lasciare indifferente la gente: qualcosa capita senz'altro. Ma devono essere uomini tenaci come quella famosa moglie di cui ricorderete senz’altro la storiella. Era una donna che insultava il marito chiamandolo pidocchioso. Il marito la invitava a tacere e alla fine l'ha calata nel pozzo dicendo: «Adesso tacerai!», ma lei continuava: «Pidocchioso!». Lui allora la lasciò andare più in giù, sotto acqua, e lei, sommersa nell'acqua, con le braccia alzate, batteva le unghie dei pollici per indicare in tal forma al marito che era un pidocchioso. Nel campo spirituale vi raccomando questo: anche se dovessero mettervi con la testa sotto l'acqua continuate a fare così anche voi.

CHIESA

CONSACRAZIONE offerta totale

VOLONTÀ

di DIO

CONSACRAZIONE santità