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GLI APOSTOLI DEVONO FORMARE UNA FAMIGLIA

MI356 [9-06-1971]

9 giugno 1971

MI356,1 [9-06-1971]

1
Gli Apostolo devono formare una famigliaDevono prepararsi ad affrontare il mondo:con dolcezza e sagacia,con calma e costanza,con coscienza e scienza della missione.Prima cosa necessaria: amore e fusione. Gli apostoli devono sentirsi una famiglia sola.Una famiglia prospera quando è unita e concorde. Si impone se è unita, altrimenti è derisa e si sgretola.I nemici della famiglia in questo caso ne approfittano per accelerarne la rovina. Bisogna amarci per aiutarci. Bisogna amare per conquistare.Molti nostri cristiani oggi di cristiano non hanno che il nome. Spesso sono idolatri che hanno confuso fra le nebbie di piccole religioni umane la vera, santa, eterna legge di Dio.

APOSTOLO chi è

l’

apostolo

Il riferimento è ai sei allievi dell’ultimo anno del corso teologico che si erano recati a Villa San Carlo, il centro diocesano di spiritualità, per gli esercizi spirituali in preparazione all’ordinazione sacerdotale. Padre Amato Dagnino, saveriano, autore di vari libri di ascetica, era il predicatore invitato, ma all’ultimo momento dovette essere sostituito.

Don Luigi De Franceschi, scherzosamente chiamato monsignore nel testo registrato, doveva quel giorno trasmettere i sentimenti provati nell’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 6 giugno 1971 nella cattedrale di Vicenza.

Il pane biscottato sarebbe la meditazione proposta da don Ottorino, da lui bonariamente considerata come il pane comune di ogni giorno, magari un po’ duro da masticare.

Don Ottorino riprende la meditazione del 29 maggio 1971, ne riassume i punti principali e sviluppa poi il tema “uomini non solitari”.

Si riportano in corsivo le parole scritte da don Ottorino nelle sue schede, sia in quella della meditazione del 29 maggio sia in quella posta all’inizio della presente meditazione, e così per tutta la meditazione senza ulteriori richiami.

MI356,2 [9-06-1971]

2 Sia lodato Gesù Cristo!
Quando i nostri venerabili padri si sono recati a Villa San Carlo per fare i santi spirituali esercizi avrebbero dovuto ascoltare la parola di padre Dagnino, ma sono rimasti un po' spiacenti perché all'ultimo momento il padre non è potuto arrivare. Anche noi questa mattina avremmo dovuto ascoltare la meditazione di don Luigi, che doveva essere uno dei primi frutti dei nostri cari fratelli sacerdoti, ma dobbiamo rassegnarci: i doni di Dio non vengono tutti i giorni. E invece dovete accontentarvi del solito pane biscottato, sperando che la settimana ventura - mi pare abbia detto mercoledì prossimo - si presti lui a dettare un pensiero. Portatevi, allora, qualche oggetto pesante da mettere in tasca, in modo che non vi capiti qualche estasi un pochino straordinaria. Scherzi a parte, mercoledì venturo don Luigi ci regalerà un pensierino con semplicità nella lingua che preferisce, ricordando che noi comprendiamo anche l’arabo.Continuando la meditazione precedente, sempre trattando l'argomento di quel foglietto che abbiamo intenzione presto o tardi di stampare e che intanto stiamo progettando, troviamo un altro pensiero ed è questo: noi non siamo stati creati per essere dei solitari. Rifacendoci al pensiero iniziale, dobbiamo essere:1) «uomini», con tutte quelle doti che abbiamo indicato e ci sforzeremo di indicare in avvenire;2) «uomini familiari di Dio», cioè di casa con nostro Signore;3) «uomini convinti di aver ricevuto da Dio una missione», ossia uomini che non solo hanno ricevuto una missione da Dio, ma hanno anche la convinzione di averla ricevuta da Dio;4) «uomini che si mettono a disposizione di Dio».

CONSACRAZIONE religioso

Il signor Guido Trieste era un ebreo, che durante gli anni della 2ª guerra mondiale don Ottorino tenne nascosto all’Istituto San Gaetano come insegnante dei ragazzi e con nome diverso.

Don Ottorino si riferisce in tono scherzoso a don Ruggero Pinton, all’epoca nella Comunità di Crotone, e nomina la signora Eleonora Mistè ved. Spada, un’anziana benefattrice ospitata in quel periodo nella Casa dell’Immacolata.

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3 Mi pare che sia tanto bella questa traccia: sentire che dobbiamo essere uomini e che, perciò, dobbiamo sviluppare ciascuno le nostre doti naturali. Per esempio, se uno ha la dote della musica, strimpellerà tin-tan, tin-tan, finché finirà per suonare le fughe di Bach; se un altro è agile nel salto, comincerà col ribaltare i bussolotti, finché non salterà la Casa dell'Immacolata. Insomma bisogna sviluppare le proprie doti, essere uomini che si presentano bene come uomini.
Ricordo che il signor Trieste, quell'ebreo di Padova che viveva qui con noi durante la guerra, conquistava tutti con il suo comportamento: era proprio un signore, si presentava veramente bene, corretto e gentile, tanto che noi dicevamo: «Peccato che non sia cristiano, peccato!». Al momento giusto è arrivato anche per lui il cristianesimo. Un giorno egli si è presentato qui da noi dicendo: «Ho visto, ho visto voi... Non l'ho voluto fare durante la guerra per non dare l'impressione che lo facessi per interesse. Sono venuto da lei adesso che è terminata la guerra, perché voglio essere istruito e farmi cristiano». E allora veniva da Padova qui da noi a lezione di catechismo, finché un bel giorno l'ho battezzato. Aveva sessantatré anni. Ma era prima di tutto un uomo e si imponeva perché era uomo.Dunque occorre essere uomini che si presentano bene sotto tutti gli aspetti nella parte umana.Ma questi siano uomini che hanno una familiarità con Dio, che sono di casa con il Signore, proprio come Ruggero è di casa con la Madonna o con qualche altra che vive qui. «Mi permette che le dia un bacetto?», diceva Ruggero alla signora Spada, recatosi un giorno da lei. Non è stato forse così, Ruggero?«Mi permette che le dia un bacetto?».«Sì, caro!», gli ha risposto la signora.E si è commossa ed è risorta immediatamente a nuova vita.Familiare vuol dire essere di casa. Beh, dobbiamo essere proprio uomini di casa con il Signore. Se sono uno di casa, significa che ho comunanza di sentimenti con quelli di casa, che sono a casa mia. Quando vedo una immagine di Cristo vedo l'immagine di uno di casa. Quando vedo l'immagine di mia mamma esclamo: «Eh... mia mamma!”, se vedo un quadro, una fotografia di mia mamma: “È mia mamma!». Giusto? E con tutto quello che mi richiama, deve essere anche un richiamo del cuore.

DOTI UMANE

CONGREGAZIONE storia

APOSTOLO uomo

APOSTOLO uomo di Dio

ESEMPI Gesù

unione con...

Cfr. 2ª Tim 4,2.

MI356,4 [9-06-1971]

4 Questi uomini, familiari di Dio, scusate se insisto perché è un'idea che deve entrare assolutamente, «opportune» e «importune» , hanno coscienza di aver ricevuto una missione e perciò sono investiti e rivestiti di una missione. Mi par di vedere San Tarcisio che porta i misteri, che ha la sua missione da compiere: egli non va a destra e a sinistra, si lascia ammazzare perché deve condurre a termine la sua missione, portare l'Eucaristia ai fratelli che sono in carcere. L'uomo di Dio ha un missione, l'ha ricevuta dal cielo, e deve essere sempre conscio in tutti i momenti della giornata, qualsiasi azione stia compiendo, materiale o spirituale o l'una e l'altra insieme, di questa missione, cosciente che sta compiendola.
Quest'«uomo» poi, quest'«uomo di Dio», questo «familiare di Dio», «conscio di una missione» si mette «a disposizione della sua missione», perché una cosa è avere coscienza della propria missione e un'altra cosa agire in conformità di essa. Tarcisio non solo aveva coscienza della missione che doveva compiere, ma anche volle compierla trovando il martirio sulla strada.Così dev'essere anche per noi: avere coscienza della nostra missione e metterci a disposizione del Cristo per il compimento di essa.Si arriva adesso all'argomento di questa mattina.Questi uomini, che hanno tutte queste belle qualità, non sono chiamati a lavorare da soli, ma insieme: «non sono dei solitari», sono invece chiamati a vivere nella grande famiglia della Chiesa. Ma per arrivare a questo bisogna che incomincino a vivere nella piccola famiglia, nella Comunità. Essi sono chiamati a lavorare nella Chiesa, a formare con la Chiesa un grande esercito, ma il grande esercito si forma con le compagnie, occorrono prima le piccole compagnie, così come per formare l'organismo umano occorrono le cellule: prima ci vuole la cellula. È chiaro che se le cellule non sono vive, non si può avere un essere vivente: dobbiamo avere delle cellule vive. Per noi la cellula viva è la Comunità, il piccolo gruppo, la piccola famiglia.Perciò: «Gli apostoli devono formare una famiglia, devono prepararsi ad afforntare il mondo».Attenti: farò alcune premesse prima di entrare nell'argomento della famiglia comunitaria.

APOSTOLO uomo di Dio

APOSTOLO missione

CONSACRAZIONE disponibilità

CHIESA

COMUNITÀ

Cfr. Lc 16,8.

Il termine si applica a una persona tranquilla e un po’ tonta, che tace sempre e tollera tutto.

Don Ottorino nomina Franco Faggian, che all’epoca stava completando gli studi secondari.

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5 «Gli apostoli devono prepararsi ad affrontare il mondo con dolcezza e sagacia».
Vi chiederete: che c'entra questo? Lo vedrete in seguito come c'entra! Io devo affrontare il mondo e affrontarlo con dolcezza, ma nello stesso tempo con sagacia, come i santi che non erano stupidi.Vi ricordate quante volte si ripeteva a suo tempo - i più vecchi forse lo ricordano – la sigla «F.F.», fatti furbo. Bisogna essere furbi. L'industriale, il commerciante, nel loro genere, come figli del mondo, sono furbi, cercano il loro vantaggio. Bisogna star sempre attenti quando viene qualcuno di loro per offrire qualcosa; bisogna dire: «Aspetta che non mi inganni!». Noi siamo sempre prudenti, sempre nella paura di essere imbrogliati quando costoro capitano per un motivo o per l'altro, perché sappiamo che in genere loro hanno una certa furbizia, e se non stiamo attenti ci fanno vedere la luna nel pozzo. Noi non dobbiamo essere meno astuti; ce lo ha detto Gesù: «I figli delle tenebre sono più astuti dei figli della luce».C'è una parte di astuzia, di furbizia che noi dobbiamo avere. Perciò la nostra non deve essere una Famiglia di papataci ed è per questo che dico: dobbiamo avere dolcezza e sagacia nello stesso tempo. La Famiglia nostra sarà di uomini vivi; qualcosina potrà capitare, qualche piccolo dissenso. Sappiamo qual è l'ideale, ma se siamo uomini vivi è naturale qualche scontro. Capite chiaramente che se si trattasse, per esempio, di andare a prendere adesso una cosa che è in cortile e di portarla al piano superiore della casa, uno potrebbe dire: «È meglio saltar giù dalla finestra», un altro: «No, è meglio scendere per le scale», altri ancora: «No, passiamo per di qua... per di là...». Uomini vivi discutono e la discussione può anche accendersi e arrivare perfino, non dico alla zuffa, ma a questo limite, tanto che qualcuno che non capisce cosa sia pensa alla zuffa e invece no: è un parlare un po' a voce alta o, meglio, un pensare a voce alta.Franco mi guarda e mormora: «Qui ci siamo!». Non è vero, Franco? «Allora sono a posto!» egli pensa. E si è aperto al sorriso quando ho fatto quest'ultimo rilievo .

APOSTOLO chi è

l’

apostolo

ESEMPI apostolo

ESEMPI comunità

Nell’esempio don Ottorino nomina Giorgio De Antoni, allievo del corso teologico, e accenna al carattere particolare del nonno paterno.

Specie di giostra nella quale ciascuno guida liberamente la propria automobile elettrica dentro il circuito, divertendosi e scontrandosi con gli altri, senza farsi male perché le auto sono circondate alla base da un grosso anello di gomma.

MI356,6 [9-06-1971]

6 Amici miei, bisogna che ricordiamo che siamo in una famiglia di uomini. Prendete quattro uomini silenziosi - dov'è, per piacere, Giorgio De Antoni? Ah, eccolo là! - come il tuo nonno defunto, Giorgio, e metteteli in casa a vivere insieme. Era un sant'uomo tuo nonno, Giorgio, ma sempre silenzioso. Ricordi com'era? Taceva. E quando andava in casa della fidanzata si sedeva e rimaneva così un'oretta e poi: «Adesso me ne vado», diceva. Lo raccontava spesso la mamma di don Aldo: «Veniva a trovarmi, si sedeva vicino a me; io lavoravo e dopo un'ora, un'ora e mezzo mi diceva: “Ciao, adesso me ne vado”. Erano queste tutte le sue parole». Ecco, se noi prendiamo quattro uomini così, santi se volete, ma troppo tranquilli, non ci sarà mai nessun problema. Noi, invece, dobbiamo essere conquistatori, e perciò se mettiamo insieme quattro uomini vivaci come puledri, è chiaro che uno tira di qua, un altro di là, e qualche volta succede l'autoscontro , non per cattiveria, ma perché sono quattro uomini vivi. È chiaro?
Se questi uomini hanno la preoccupazione di essere dolci, cioè se si sforzano di non essere sempre loro a gridare, sempre loro a parlare, sempre loro a saltare, di mettere un po' di dolcezza nei loro atti, di tenere la destra, di avere la dolcezza di tenere la destra, non si scontrano. Nell'autoscontro perché le vetture si scontrano? Perché non tengono la destra. Se girando attorno ad una tavola tutti tengono la destra, non c'è il pericolo di uno scontro, anche se lo spazio in cui si muovono è stretto; se, invece, uno vuole tenere la destra e un altro la sinistra, gli scontri sono inevitabili.La dolcezza è tenere la destra nel nostro parlare e nel nostro agire, avere un po' di cortesia per gli altri e non sbottare, quasi come chi esce fuori da un cancello in auto senza preoccuparsi se arriva un'altra auto o un'altra persona, né un pretendere di avere sempre ragione. Se vogliamo creare la famiglia, ci vuole questa dote umana della dolcezza, dolcezza che non vuol dire essere stupidi, cedere sempre alla volontà altrui, accontentarsi. No, no! Occorre sagacia, furbizia, capacità di unire la dolcezza con la furbizia.

COMUNITÀ

ESEMPI comunità

COMUNITÀ

fraternità

Proprio nella meditazione successiva, quella del 16 giugno 1971, don Ottorino tratterà il tema della pazienza apostolica.

MI356,7 [9-06-1971]

7 «Con calma e costanza».
Occorre anche una certa calma, una certa calma. Vorrei dirvi quello che mi viene in mente in questo momento, ricordando gli affari di ieri. Mons. Rodolfi ripeteva sempre: «Con chi ha fretta, ricordatelo, don Ottorino, va’ piano. Io di solito faccio così: con chi ha fretta, vado piano. Se mi viene annunciato l'arrivo di una persona piena di premura nel risolvere un problema, le faccio rispondere che sappia attendere. Con chi ha fretta, don Ottorino, va’ piano: non te ne pentirai mai, non perderai mai l'affare. Ti ripeto: con chi ha fretta, va’ piano».Una certa calma per poter avere il tempo di ragionare, di riflettere, è necessaria, ma calma non significa fermarsi. Tratteremo di questo in una meditazione apposita sulla pazienza, quando abbandoneremo l'argomento odierno e riprenderemo i nostri temi precedenti. Uno di essi riguarda la pazienza, la quale, praticamente, significa calma, che non vuol dire non camminare, perché chi è paziente fa di più. Pazienza vuol dire continuare nelle proprie azioni, saper sopportare le difficoltà e non fermarsi: “Abbi pazienza! Va’ avanti!”. È chiaro? E la calma non vuol dire: «Calma! Non facciamo nulla», ma vuol dire fare, senza pretendere di fare tutto in un'ora. Se una macchina può andare a cento chilometri all'ora, tu non devi forzarla perché corra a centoventi o a centotrenta, ma neanche devi farla correre a sessanta. Calma vuol dire non oltrepassare i limiti della sicurezza, non pretendere più del possibile: diventerebbe impazienza e sarebbe frutto della superbia.Se vogliamo che nella nostra Famiglia regnino la carità e la pace, è inutile che andiamo ripetendo: «Bisogna volerci bene!», con la pretesa che ciò si realizzi subito. Siamo uomini - è chiaro? - ed è necessario avere una certa calma insieme con una certa costanza. Infatti tu puoi mancare di carità in famiglia perché vuoi tutto subito e t'impazientisci dicendo: «Devo fare tutto io... don Franco non fa nulla!». Contemporaneamente però occorre costanza nel fare, e manca colui che non si impegna in essa e al quale chiedi ad esempio: «Hai fatto?», «No!», «Perché?», «Perché si è fermato il motore per strada». Dobbiamo esigere e dare: calma nell'esigere e costanza nel dare, se vogliamo creare la vera famiglia.

VIRTÙ

dominio di sé

VIRTÙ

pazienza

ESEMPI vari

COMUNITÀ

fraternità

Don Ottorino a questo punto si pone gli occhiali per leggere la scheda con gli appunti preparati, gesto non abituale per lui e quindi motivo di meraviglia, e aggiunge: «Permettete che mi metta quello che la provvidenza mi ha donato».

MI356,8 [9-06-1971]

8 «Con coscienza e scienza della missione».
E qui, con queste parole, ripetiamo un poco quello che abbiamo detto in precedenza, cioè che bisogna avere non solo coscienza, ma anche scienza della missione che si deve compiere. Quattro ignoranti messi insieme che cosa riescono a fare? Non so che cosa si ottenga da quattro ignoranti messi insieme, ma se prendete quattro clienti di un'osteria, i quali comincino a discutere di bombe atomiche senza che ne sappiano completamente nulla - avrete assistito qualche volta a qualcuna di simili discussioni fatte da gente incompetente - ne escono vere e proprie bombe atomiche sul piano dell'ignoranza.Noi siamo chiamati a salvare le anime, a predicare il Vangelo, a insegnare la via del cielo, dobbiamo almeno conoscere questa via del cielo, conoscere il Vangelo, sapere che cosa ci ha detto Gesù, qual è la strada da lui tracciata; bisogna che conosciamo un po' la strada dell'ascesi cristiana, come si fa a vincere il male che è in noi e a far crescere quello che c'è di bene in noi. E questo lo si capisce con l'esperienza e la scienza: ci vogliono e l'una e l'altra.Se noi costruiamo un ospedale e vi mettiamo dentro quattro becchini invece di quattro medici, a un dato momento avremo un cimitero, non un ospedale. I quattro religiosi, supponiamo, che sono uniti insieme in famiglia, devono avere coscienza della propria missione per i loro rapporti con Dio e, di conseguenza, una preparazione adeguata per compierla a servizio dei fratelli. Ne consegue allora la necessità dello studio, la necessità di esaminare i problemi, di ragionarli insieme, di discutere e di aggiornarsi insieme. Allora, a un dato momento, si cresce un po ' in questa preparazione.Fatte queste premesse risulta chiaro che «gli apostoli devono sentirsi una famiglia sola».

APOSTOLO missione

ESEMPI apostolo

APOSTOLO salvezza delle anime

GESÙ

sequela

MI356,9 [9-06-1971]

9 Questa osservazione occupa un posto di preminenza perché è impossibile che formino famiglia un gatto, un cane e un uomo, perché una vera famiglia deve essere fatta da uomini, che abbiano certe doti e certe qualità, che desiderino e si sforzino almeno di averle e perciò si sentano famiglia.
«Una famiglia prospera quando è unita e concorde».Se in una famiglia un figlio tira a destra, un altro a sinistra e il padre tira in mezzo, a un dato momento va tutto a pezzi. La famiglia, anche umanamente parlando, prospera quando vi regna la concordia, una concordia che sia, insomma, un volere un po' la stessa cosa. Se, per esempio, un padre dà importanza ai campi e il figlio maggiore all'allevamento delle trote, e uno non fa che dir male della coltivazione dei campi e l'altro dell'allevamento delle trote, capite bene, non c'è famiglia neanche per sogno. A dividerla c'è da una parte il vivaio delle trote e dall'altra la coltivazione dei campi; il padre che ha una passione, il figlio che ne ha un'altra; questi che, magari, va sostenendo che suo padre consuma tutto il patrimonio con i campi fino agli indumenti che porta addosso e viceversa. A un dato momento non ci sono che litigi.Il concetto di famiglia implica anche unità di lavoro, unità di idee e il mettersi d'accordo. «Va bene, io non capisco niente di trote, - dovrebbe dire il padre - ma adesso appoggio il figlio, lo aiuto perché riesca ad arrivare fino in fondo; non mi adopero perché faccia fiasco, in modo che si veda che avevo ragione io quando sostenevo che era meglio lavorare i campi». Guardate che è una cosa tremenda, ma è così, è così! Quello che capita in una famiglia normale quando ci sono gusti diversi, che poi indicano tante volte egoismo o modi diversi di vita, può capitare nella Comunità religiosa, nella nostra famiglia. Perché in una famiglia tante volte non si va d'accordo? Perché uno vuole una cosa e l'altro un'altra, e né l'uno né l'altro vuole cedere e se cede, cede per forza, e dopo è sempre pronto a vedere la parte nera dell'altro e a sottolinearla, per dimostrare che sarebbe stato meglio se si fosse fatto come avrebbe voluto lui. Questa è una pagliacciata, capite chiaramente, questo manda in malora la famiglia, questo vuol dire scissione della famiglia.

COMUNITÀ

ESEMPI comunità

COMUNITÀ

L’espressione è scherzosa per dire che non importa che cosa produceva, ma l’importante era l’accordo negli intenti.

MI356,10 [9-06-1971]

10 E a questo punto dopo tanti anni di vita, gli esempi che ho davanti agli occhi sono innumerevoli: quante famiglie andate in rovina! Due soci di una fabbrica hanno avviato bene la loro attività, e a un dato momento è successo che uno voleva una cosa e l'altro un'altra, e !a fabbrica è andata in malora. Infatti uno ha voluto produrre stuzzicadenti e l'altro cartucce, e si è arrivati a non produrre né stuzzicadenti né cartucce. Prima, invece, essendo i due soci uniti e d'accordo, venivano prodotti con precisione ferri da cavallo e la fabbrica andava bene.
Vigilate perché alla base di tutto c'è la superbia, c'è il fatto che non vogliamo rinunciare al nostro io, non vogliamo dire: «Beh, rinuncio al vivaio delle trote e mi metto con mio padre a lavorare i campi», ma piuttosto: «Non voglio cedere neanche per sogno e resto sempre con l'idea che i campi sono la rovina della famiglia». In tal modo è successo talvolta che il vecchio padre, da solo, con sette o otto figli ancora piccoli sulle spalle, è riuscito a tirar su una famiglia e a farsi un capitaletto; i figli, divenuti grandi e con l'idea che i campi sono la loro rovina, hanno mandato in malora il capitaletto. Questa è la storia di tante famiglie!Se non ci convinciamo che dobbiamo essere famiglia, potrebbe succedere che, per esempio, un vecchio prete va in un luogo di missione da solo e, buttandovisi anima e corpo, riesce a piantarvi una comunità di fedeli; a un dato momento lo sostituiscono quattro giovani con titoli accademici e specializzazioni varie, ma poiché uno vuol piantare carote e un altro patate, quel poco di bene che è stato fatto da quel povero missionario, da solo e per anni, viene distrutto dai quattro. È la storia di tante missioni!Ringraziando il Signore a noi non è ancora capitato questo, perché abbiamo appena cominciato l'apostolato missionario, ma quante volte mi son sentito dire da qualche superiore di altre famiglie religiose che i giovani, perché si comportano così, distruggono quello che il vecchio missionario ha fatto in venti o trent'anni! E vanno là solo per criticare il modo, la forma, e il lavoro di quel povero disgraziato. Quello però ha piantato il cristianesimo, ha fondato una comunità: questa è la storia, questa la realtà! E dicono: «Sì, ma si sarebbe potuto... sarebbe stato meglio... Insomma, guarda qua...», e così finiscono per distruggere, e la gente si accorge che non vanno d'accordo, che non si vogliono bene. L'altro si levava di bocca il cibo per darlo ai poveri, si privava di tutto per aiutare la gente, e questi giovani fanno magari i turisti: si alzano presto al mattino per andare a scattare foto, fanno collezione di fotografie, spendono soldi a destra e a sinistra, e consumano il pane che viene per i «nostri cari missionari». E tutto ciò per la diversità delle loro idee e il modo di realizzarle.

SOCIETÀ

lavoro

VIZI superbia

FAMIGLIA

COMUNITÀ

Il termine disarmati indica la disponibilità a non imporre la propria idea o a difenderla a tutti i costi, e la prontezza ad accettare una decisione diversa o altri suggerimenti.

MI356,11 [9-06-1971]

11 Io penso che, se vogliamo fare famiglia nel vero senso della parola, una delle prime condizioni sia quella di lavorare insieme e nella concordia e nel trattare insieme le cose, partire già disarmati dicendo: «Siamo qui insieme; adesso vediamo un po', cerchiamo insieme la volontà di Dio, pronti a rinunciare alle proprie vedute, pronti così!». Anche se un domani dovessimo sbagliare tutti insieme e, invece di piantar cavoli seminassimo patate, ma fossimo d'accordo, il Signore benedirebbe il raccolto delle patate, in modo che in tutto il paese non ci sarà un campo più produttivo del nostro. Perché se ci troviamo d'accordo nel seminare patate, anziché piantar cavoli, e ci sforziamo solo, ma solo, di fare la volontà di Dio, se cerchiamo insieme di fare questa volontà e non di far valere il nostro io e basta, pur mettendocelo il nostro io, pur esprimendo il nostro modo di vedere, pur dicendo chiaro e netto il nostro parere, ma poi pronti tutti a rinunciarvi, anche se sbagliamo insieme senza però che lo vogliamo, state certi che il Signore farà produrre delle patate grosse come zucche.
Dunque «una famiglia si impone se è unita, altrimenti è derisa e si sgretola ».Che cosa succede in una famiglia normale? Se vi sono due fratelli, che si comportano in modo diverso e contrastante come il padre e il figlio di cui vi ho parlato poco fa, la cosa finisce nelle orecchie dell'amico, magari in osteria.«Oh, come va?».«Taci, taci! Ho appena litigato con mio fratello: sempre la solita testa! Non capisce nulla, non pensa che alle vacche, e non capisce che con le trote si guadagna di più».Ed esce dall'osteria. Vi entra, poi, il fratello.«Oh, ciao, Antonio! Come va?».«Taci, che vuoi: mio fratello non capisce nulla, non pensa che alle trote e non capisce che oggi con i vitelli si guadagnerebbe di più».Ecco, la gente sente prima una campana e poi un'altra e vi fa sopra una risatina. E quello che capita spesso nelle famiglie comuni, capita spesso anche tra i preti. Si può, anzi, dire che la Congregazione religiosa della Pia Società San Gaetano sia nata proprio da una di queste famiglie di preti.

COMUNITÀ

VOLONTÀ

di DIO

FAMIGLIA

Nel 1936 il chierico Ottorino fu mandato come animatore dei dieci seminaristi del seminarietto, i quali prestavano servizio in cattedrale. Naturalmente accompagnando questi ragazzi in cattedrale ebbe modo di incontrare molti preti, tra i quali alcuni criticavano e parlavano male gli uni degli altri, e questo creò nel giovane Ottorino la decisione per una vita sacerdotale più impegnata, cioè per essere “prete prete”.

Il riferimento è forse a don Giuseppe Biasio, che sarebbe stato consacrato sacerdote il giorno seguente a Montagnana (PD).

Don Ottorino sembra interpellare Gianni Sarzo, da poco entrato nella Casa dell’Immacolata come vocazione adulta.

Il riferimento è a Franco Faggian.

MI356,12 [9-06-1971]

12 Quand'ero ragazzo, nella mia parrocchia c'erano il parroco e il cappellano. E sentivo il parroco dire al sagrestano: «Callisto: ti pare... Quel cappellano... Ieri ha fatto... Non aveva altro da fare?». Uscito il parroco, entrava in sacrestia il cappellano: «Caro il mio Callisto! Ah, cosa vuoi... Il parroco...», e giù a criticarlo. E io, ancora ragazzino ho sentito tante volte il parroco dire al sagrestano una cosa e poi il cappellano dirne un'altra e, vi dico la verità, ne restavo tanto, tanto male.
Poi, entrato in seminarietto , sentii queste note ancor più alte: eravamo un pochino «in excelsis». Allora dissi tra me: «No! Non è possibile vivere da sacerdoti in questa maniera». E ci fu un momento in cui rimasi incerto se farmi o non farmi prete.Adesso stiamo attenti, amici miei, che non ripetiamo questi errori, altrimenti sarebbe stato inutile formare una Famiglia religiosa. Non è ammissibile, non è ammissibile che la gente si accorga che qualche volta discutiamo in casa nostra su qualche problema. Qualcuno potrebbe dire: «Non è sincerità mostrare che tutto va bene; devono sapere che anche fra noi ci sono diversità di vedute». Sincerità è un'altra cosa. Scusate, si può anche discutere in casa prima di mangiare, insieme, da buoni fratelli e dire: «Senti: mangiamo riso tutti i giorni, oggi prepariamo pasta». «Ma... eh... sì... no...». A un dato momento ci si mette d'accordo, cuciniamo pasta e... basta! Perché, poi, si dovrebbe dire alla gente in nome della sincerità: «Oggi, a pranzo, abbiamo litigato»? Questa ricerca, anche animata, di un accordo non è litigio, è discussione amichevole, fraterna, che si fa per arrivare al meglio. Se per lo stomaco di Giuseppe la pasta o il riso sono di difficile digestione, allora ci si accorda per quel dato cibo e basta: tutto finisce lì.Gianni, è sbagliato questo? Non voglio che diventiate delle marmotte e diciate sempre «Sì, signor! Sì, signor! Sì, signor», e magari il superiore è il più insulso di tutti quanti e allora: «Sì, signor! Sì, signor! Sì, signor!». Si tratta di discutere fraternamente e di cercare insieme la soluzione migliore, ma a un dato momento si deve concludere con un bel «Gloria», con un bell'«Amen», insieme, accettando la volontà del Signore con un bel sorriso, sturando, se necessario, una bottiglia, ma basta! La discussione deve terminare così: deve uscire la volontà di Dio, deve trionfare la volontà di Dio, non quella individuale. Allora, diamo una testimonianza di unità e la gente se ne accorgerà perché, quando c'è l'unità, riceve un'impressione, un qualcosa che non sa spiegarsi: «Che cos'hanno questi religiosi, che cos'hanno di particolare?». Se invece non diamo testimonianza di unità, la gente mormorerà: «Mm... sì... però...», e purtroppo si accorgerà, anche senza vedere con gli occhi, che non siamo uniti. Avverrà come con un pezzo di ferro messo in mano a Franco : se è freddo, è un pezzo di ferro, ma se scotta, prende una scottatura e si brucia la mano.

AUTOBIOGRAFIA famiglia

AUTOBIOGRAFIA seminario

CONGREGAZIONE spiritualità

VIRTÙ

trasparenza, sincerità

ESEMPI comunità

COMUNITÀ

dialogo

VOLONTÀ

di DIO

Cfr. Gv 13,35.

MI356,13 [9-06-1971]

13 Se un uomo di Dio, che si avvicina a una persona, è freddo come il ghiaccio, costei pensa: «Quest'uomo è un pezzo di ferro ghiacciato»; se è tiepido, neanche se ne accorge; se è caldo, si riscalda. Un apostolo può, un domani, o non fare nessun bene o produrre buon frutto o portare del male.
Se esce di casa e parla male della propria Comunità, dell'uno e dell'altro confratello, è uno che scandalizza e fa peccato, si comporta male; se è uno che non porta fuori niente, non dice niente, ma in casa non c'è la carità, non scandalizza, ma per conto mio fa un peccato di omissione, perché non porta agli altri Cristo perché, non essendo caldo, non riscalda, non illumina, non brucia.Allora, se noi abbiamo una Comunità di fratelli che collaborano insieme, che si amano, - e amarsi vuol dire dare, vuol dire saper sopportare il carattere del fratello, vuol dire sapere un pochino rinunciare a se stessi perché amare non significa sentimentalismo, ma volersi bene, anche se i caratteri sono un po' diversi - dunque se c'è la fusione, una carità che costa, una famiglia che qualche volta costa sangue per tutta la vita, se c'è questo, allora, quando l'apostolo esce di casa e avvicina i fratelli nel confessionale o negli incontri o parla animato da questo spirito di carità, state sicuri che passa Dio, che c'è un qualcosa che la gente avverte: non sa di dove venga e per quale ragione, ma sente la presenza di qualcosa.Guardate che è una responsabilità enorme quella che abbiamo: o viviamo la nostra vita religiosa così e il Signore Gesù l'ha detto chiaramente, ponendo quasi questa condizione all'efficacia del nostro apostolato: «Da questo conosceranno che siete miei discepoli», oppure il nostro apostolato non è efficace.«I nemici della famiglia in questo caso ne approfittano per accelerarne la rovina».

APOSTOLO uomo di Dio

COMUNITÀ

critica

PECCATO mormorazione

PECCATO omissioni

COMUNITÀ

unità

nella carità

CROCE sangue

APOSTOLO missione

DIO passaggio di...

DIO scoperta di...

Pippo era il nomignolo affibbiato dal popolo durante la guerra all’aereo che ogni sera sorvolava le città e i paesi, controllando se si osservava il coprifuoco. Quando lo si sentiva arrivare bisognava spegnere ogni luce, altrimenti poteva avere dei sospetti e allora bombardava. Pippo e i bombardieri diventano nell’esempio di don Ottorino immagine del diavolo.

I bombardamenti sulla povera casetta sono le prove scatenate dal diavolo contro la Comunità religiosa, come luogo strategico e primo obiettivo da bombardare.

Il riferimento è alla Comunità dell’Isolotto di Firenze, il cui superiore era all’epoca don Pietro De Marchi, chiamata appunto per sanare una grave rottura della comunione ecclesiale.

MI356,14 [9-06-1971]

14 Quando la gente si accorge che nelle nostre famiglie naturali non c'è unità, ride e ci scherza sopra, e qualche volta stuzzica apposta. Ricordate che il nostro nemico numero uno è il demonio il quale, quando si accorge che fra noi, in famiglia, c'è qualche cosina che non va, state sicuri che farà di tutto per far leva su quel disaccordo, per premere questo tasto e spingere alla disunione, perché lui sa che, quando il piccolo nucleo familiare degli apostoli è disgiunto, vanno a in rovina tutte le anime ad esso affidate.
Quando, durante l'ultima guerra mondiale, passava Pippo o i bombardieri, tentavano di bombardare i ponti, i nodi ferroviari, i punti vitali. Rotto, supponiamo, il ponte sul Tesina, a Lisiera, era interrotta tutta la strada che da Vicenza portava a Treviso; abbattuto il ponte di Fontaniva, era interrotto tutto il traffico sulla Postumia. Perché bombardarono spesso Vicenza e ne mandarono all'aria la stazione ferroviaria? Perché, reso inattivo il nodo ferroviario, era interrotta la comunicazione ferroviaria Mestre-Milano, il trasporto delle truppe e di tutto quanto occorreva al nemico in guerra.Voi capite che se in una parrocchia, supponiamo, di diecimila anime ci sono tre o quattro apostoli, i bombardamenti maggiori sono su quella povera casetta. Andiamo all'Isolotto: tredicimila anime. State sicuri che, se ci crediamo veramente, scendono tante grazie di Dio, ma l'assalto peggiore del demonio è proprio lì, sulla comunità apostolica. E se crediamo all'esistenza di Satana, attaccati ai pantaloni di don Pietro ci sono almeno settecento o ottocento diavoli; quando verrà qui don Pietro, tirategli su la veste e osservate se non li ha. Per forza! Il diavolo sarebbe poco intelligente se non facesse questo, sarebbe proprio uno stupido. Rotta l'unità della famiglia apostolica, lui sferra l'attacco. Bombardata la stazione di Vicenza, è chiaro che poi possono avanzare le truppe di terra, ma prima delle truppe passano i bombardieri a spianare il terreno. Solo allora viene mandata avanti la truppa. Per questo, prima di inviare i demoni d'assalto, Satana manda avanti i demoni bombardieri, i quali bombardano, distruggono, spezzano... poi verrà lui.

COMUNITÀ

CROCE Demonio

ESEMPI demonio

Don Ottorino vuol dire che quando il demonio ha rotto l’unità, con conseguente tristezza e avvilimento all’interno della Comunità, arriva per ciascuno dei religiosi la tentazione nel suo difetto predominante: il demonio colpisce ciascuno nel punto in cui è particolarmente fragile.

Don Guido Massignan, oltre che responsabile generale della Casa dell’Immacolata, all’epoca svolgeva anche il servizio di maestro dei novizi.

Antico bar di viale Astichello, dietro l’Istituto San Gaetano, luogo conosciuto nei dintorni, dove gli uomini si riunivano per bere e per giocare alle carte.

Le distrazioni per don Ottorino erano i pensieri che gli venivano confrontando il comportamento dei suoi religiosi con l’ideale che avrebbero dovuto realizzare, e di conseguenza avevano per oggetto le applicazioni pratiche dei principi enunciati. A volte erano riflessioni che nascevano dalla lettura di un libro, o dalla preghiera, o dall’incontro con una persona, o da un avvenimento. In ogni caso servivano per richiamare all’impegno nel vivere secondo la volontà di Dio e lo spirito della Congregazione.

MI356,15 [9-06-1971]

15 Nei trent'anni che confesso, qualche volta ho analizzato quello che capita in qualche comunità. Ci sono, per esempio, tre o quattro o due o tre sacerdoti che vivono insieme. Prima arriva il bombardiere che lancia bombe per rompere la loro unità; poi avanza un altro demonio, proprio il demonio individuale. E quel sacerdote, che ha un po' di debolezza nella purezza, se nella comunità non trova la carità, casca nella purezza, perché è necessario cercare una soddisfazione, e se nella comunità non c'è si cerca altrove. Il demonio gli dice: «Guarda che bella ragazza», e lui finisce per andare a trovarla e si giustifica con il pretesto: «Non è per me... ma...». Aveva sentito il bisogno di affetto e, non avendolo trovato tra i confratelli, l’ha trovato fuori casa. Il sacerdote, invece, che ha un debole per il vino, beve fino a prendere una sbornia.
Nelle famiglie normali non succede questo? Se marito e moglie non vanno d'accordo, lui, dopo un litigio in casa, torna glorioso e trionfante alle due o tre di notte ubriaco, e se la cava così, bevendo quattro bicchieri. Eh, cosa volete, sempre così!Ed è così anche nella vita comunitaria. Prima passa il diavolo bombardiere per romperne l'unità, poi passano i diavoli personali per colpire l'individuo nel suo punto più debole; ma prima c'è sempre l'altro, che crea un senso di tristezza, di avvilimento, di abbattimento, e dopo viene il demonio particolare che taglia l’orecchio a uno e le gambe ad un altro.Don Guido, maestro dei novizi, non è così? La sostanza è questa! Ricordate che un peccato è sempre preceduto da una serie di allarmi.Pertanto, quando vedete che in Comunità manca un po' di unità e che i confratelli sono un po' tesi, fate una sosta, ricomponete l'unità. Supponiamo che questa mattina dobbiamo discutere certi problemi e si veda che tra noi non c'è affiatamento, che, insomma, la discussione non serve. È preferibile dire: «Ragazzi, andiamo fuori, andiamo a bere quattro bicchieri da Cuccarolo , piuttosto facciamo una sbornia, ma non rompiamo l'unità». Qualche volta, quando ci si riunisce e si vede che l’armonia non va, vale la pena di sospendere l'incontro e dire: «È preferibile che ce ne andiamo fuori. Oggi sospendiamo anche la discussione, andiamo a Bosco, ceniamo insieme, andiamo a dormire alcune orette e riprenderemo domani più distesi».«Così perderemo una giornata!».«Sì, meglio perdere una giornata che perdere un mese!». Giusto? Meglio così!Vorrei proprio insistere su questo: i nemici della famiglia approfittano di queste circostanze.«Bisogna amarci per aiutarci, bisogna amare per conquistare».Capite che qui ci sarebbero da fare tante e tante distrazioni , ma mi limito soltanto a leggere lo schema, perché il tempo è passato di molto.

COMUNITÀ

CROCE Demonio

FAMIGLIA

PECCATO COMUNITÀ

confratelli

Nel testo registrato una voce suggerisce: “Adorano il vitello d’oro”.

Il racconto del vitello d’oro e della reazione di Mosè è narrato in Es 32,1-20, mentre del volto luminoso di Mosè parla Es 34,29-35.

MI356,16 [9-06-1971]

16 «Molti nostri fratelli, oggi, di cristiano non hanno che il nome. Spesso sono idolatri che hanno confuso fra nebbie di piccole religioni umane la vera, santa, eterna legge di Dio».
Se osserviamo il mondo di oggi vediamo, purtroppo, tante volte che ci sono dei nostri fratelli - parliamo dei cristiani - che in fondo in fondo sono degli idolatri e questi idolatri... adorano il vitello d'oro. Purtroppo oggi ci sono tanti che di cristiano non hanno niente, hanno solo qualche paroletta cristiana e basta. A questi cristiani, che hanno poco di cristiano, noi dobbiamo mostrare il Mosè che scende dal monte con il volto illuminato e che ha la forza anche di spezzare le tavole e buttar per aria il vitello d'oro. Noi dobbiamo essere questo Mosè che scende dal monte con il volto illuminato, che si accorge immediatamente del vitello d'oro e che lancia subito il grido in nome di Dio. Ma per scendere dal monte con il volto illuminato bisogna che il monte della famiglia, il santuario della famiglia sia una forgia, sia veramente un posto dove ci si riscalda; vorrei dire che dev'essere la nostra chiesa, il nostro tabernacolo, dove insieme ci si trova con Cristo.Non so in che modo sia riuscito a spiegarvi quello che pensavo. Ad ogni modo la sostanza è questa: se non ci vogliamo bene, cambiamo mestiere!Sia lodato Gesù Cristo!

CHIESA cristianesimo

COMUNITÀ

unità

nella carità

EUCARISTIA tabernacolo