406 Lettera del 13 aprile 1961 a Venanzio Gasparoni.

VENANZIO GASPARONI, nato il 28.6.1941 a Rampazzo di Camisano (VI), entrò nella Casa dell’Immacolata il 4.7.1955 dal seminario vescovile, preso dallo spirito e dall’entusiasmo di don Ottorino, suo confessore. Fece tutto il curricolo degli studi presso il seminario vescovile, perfezionandoli poi negli anni 80 con la licenza in teologia pastorale presso la Pontificia Università Salesiana di Roma. Emise la professione religiosa l’8.12.1957 e quella perpetua il 30.12.1962 dopo l’erezione della Congregazione. Venne consacrato sacerdote il 26.5.1965, nella Casa dell’Immacolata, in occasione dei festeggiamenti per il XXV anniversario dell’ordinazione di don Ottorino. Dal 1965 al 1972 lavorò nella Casa dell’Immacolata nel campo della formazione e dell’animazione vocazionale, e nel 1972 fu inviato da don Ottorino stesso a Quargnenta (VI) per avviare la Comunità San Gaetano per l’animazione vocazionale di giovani adulti. Dal 1975 al 1978 svolse servizio pastorale presso la parrocchia dell’Isolotto a Firenze, e dal 1978 al 1985 a Monterotondo (Roma). Ritornò quindi all’Isolotto come parroco, e nel 1991 venne eletto nel Consiglio generale dove svolse il servizio di economo e vicario generale, continuando pure nel Consiglio eletto nel 1997 con il servizio di economo e segretario generale.

L406[13/04/1961]

Don Ottorino, forse rispondendo a qualche precedente richiesta di Venanzio stesso, allievo all’epoca del corso propedeutico alla teologia, manifesta sentimenti di vera paternità nei suoi riguardi. Si conserva la fotocopia della lettera originale: è un foglio piccolo di carta bianca, scritto a mano su ambedue le facciate. La firma autografa è con il solo nome.

13.IV.1961

L406,1[13/04/1961]

1 Carissimo figlio Venanzio Un Superiore Generale dimette un religioso di voti temporanei per un motivo grave ed uno di voti perpetui per tre delitti. Un padre non dimette mai un figlio, poiché questi è sempre figlio suo. Se il figlio cade, gli dà una mano e lo sostiene; se si rompe una gamba, gliela rimette in efficienza.Tu sei mio figlio ed io tuo padre, e non Superiore Generale. Sta tranquillo che neppure i tre delitti ti chiuderanno le braccia paterne.Tu mi conosci e sai che non parlo perché devo parlare così. Scrivo questo perché ti conosco e so quello che il Signore vuole da te. Tu fai bene a dubitare di te stesso per conservare l'umiltà, ma attenzione a non agitarti e scoraggiarti poiché questo non piace a Gesù.

La nostra buona Mamma ci conceda la grazia di camminare sempre nella carità di Cristo e nella fraternità che regna tra noi.Ti benedico. Ciao.Tuo padre

Don Ottorino.

CONGREGAZIONE superiore generale

VIRTÙ

umiltà