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IL VIAGGIO VERSO L’ALTARE

MI372 [26-5-1972]

26 maggio 1972

Don Ottorino, molto sensibile alla riconoscenza e all’affetto, comincia con un tono scherzoso dicendo di non sapere se i fiori posti sul suo banco dalle donne che facevano servizio in casa, che egli chiama familiarmente “pie donne”, fossero per lui o per un morto, ricordando don Lorenzo Centomo morto appunto il mese precedente.

Molti religiosi, in occasione dell’anniversario dell’ordinazione di don Ottorino, gli avevano scritto facendogli trovare la sera prima le lettere sul letto o nella cassetta applicata alla porta della sua stanza.

Il 26 maggio ricordava anche l’ordinazione sacerdotale di don Matteo Pinton presente a Vicenza, di don Lino Dal Moro che si trovava a Resende in Brasile, e di don Venanzio Gasparoni che si trova nella Comunità di Quargnenta (VI): la loro ordinazione era avvenuta il 26 maggio 1965, in coincidenza del 25° di sacerdozio di don Ottorino.

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1 Anzitutto bisogna rivolgere i ringraziamenti per i fiori arrivati da parte delle nostre pie donne. Li hanno messi sopra il banco; forse speravano che fossi morto, dal momento che ho visto che sul banco di Lorenzo, in chiesa, di sopra, mettono sempre qualche fiore. Arrivato in chiesa mi hanno domandato «Chi è morto, qui?», vedendo i fiori sul luogo del decesso. Comunque stavolta è ancora vivo, ed è qui a ringraziarvi.
Ringraziamo pure i carissimi fratelli che ieri sera mi hanno fatto leggere fino ad ora tarda, ed era già tardi quando sono andato a letto: hanno voluto veramente esprimere anche per iscritto la loro fraternità. Ho passato le lettere alla Madonna e l'ho incaricata di rispondere; se non riceverete la risposta, cercate di dire alla Madonna l'indirizzo esatto.Approfitto per porgere gli auguri anche al nostro caro don Matteo, al nostro caro don Lino che si trova oltre oceano, e a don Venanzio che non è tanto lontano, ma che speriamo oggi di vedere.È questa un'occasione per rivivere un po' tutti la nostra consacrazione, prima di tutto come religiosi, poi come diaconi o come sacerdoti. E per quelli più giovani, che sono sulla strada per arrivare alla consacrazione diaconale o sacerdotale, penso che questa celebrazione sia un motivo per potere guardare con l'occhio della fede quello che il Signore opererà, molto e molto presto, in loro.

MARIA

Don Ottorino scherza probabilmente con Francesco Ambrosi, entrato da poco nella Casa dell’Immacolata, il quale non appariva certo come un ragazzino per la sua corporatura robusta, e con Daniele Galvan, diacono dall’anno precedente.

Il monte Summano (m. 1299) è a un’ora e mezzo di cammino dal Villaggio San Gaetano di Bosco di Tretto, mentre Anconetta è un sobborgo di Vicenza a nord est della città.

Padova si trova a circa 25 chilometri da Vicenza, mentre cavazzale è un centro abitato a circa 6 chilometri dalla città.

Non conosciamo con certezza la data del primo viaggio di don Ottorino a Lourdes, realizzato forse quando era ancora chierico in seminario.

Il primo viaggio di don Ottorino in America, con tappe a New York, Guatemala, Buenos Aires e Chaco in Argentina, e San Paolo in Brasile, avvenne nel 1966.

Le ordinazioni sacerdotali nel 1940 vennero anticipate a motivo della guerra da poco iniziata.

Don Ottorino avrebbe compiuto quest’ultimo viaggio soltanto tre mesi e mezzo dopo.

Porta Santa Lucia e ponte degli Angeli si trovano lungo il percorso dal seminario alla cattedrale.

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2 Un tempo si diceva che i vecchi vivono di ricordi, e allora vorrei dire un pensiero ricordando il passato.
Non so se voi avete mai ascoltato i ragazzini, quando si mettono a discutere tra loro. Pensate, per esempio, al ragazzino Francesco che è là in fondo, e magari a quell'altro ragazzino, Daniele, i quali stanno discutendo tra loro. Uno comincia a dire: «Io, una volta, ho fatto un viaggio e sono salito - dice Daniele - fin sul monte Summano». E l'altro: «E io ne ho fatto uno più lungo: sono andato fino ad Anconetta». I bambini discutono così, mentre adesso si può dire: «Sono andato anche a Padova», ma una volta si diceva al massimo: «Sono andato sul palo della bicicletta di mio papà fino a Cavazzale!» , cioè una volta i viaggi non erano come adesso; adesso sono cambiate le dimensioni.Se arrivato a trentadue anni di sacerdozio e quasi cinquantasette di vita, io mi guardassi indietro e mi chiedessi: «Qual è stato il viaggio più bello, più importante, più impressionante della mia vita?», dovrei rispondere che ce ne sono stati tanti. Per esempio, il viaggio che ho fatto a Lourdes, la prima volta che sono andato alla grotta di Lourdes per ringraziare la Madonna che mi aveva guarita la mamma; il primo viaggio in America il famoso 11 febbraio, giorno dell'apparizione della Madonna a Lourdes e la prima volta che attraversai l'oceano... Ho fatto tanti viaggi importanti, ma credo che fra tutti c'è un viaggio che non dimenticherò mai: il viaggio che ho fatto dal seminario al palazzo vescovile per essere ordinato sacerdote.Quante volte avevo fatto quella strada! Allora si andava più spesso di adesso in cattedrale, e si andava inquadrati per due: si partiva dal seminario e si arrivava fino alla cattedrale in fila per due. Queste lunghe file, una dietro all'altra, fermavano il traffico, anche se il traffico di allora non era come quello di adesso. Si passava attraverso la piazza dei Signori e si arrivava in cattedrale.Quante volte, andando in cattedrale da giovane, pensavo: «Verrà un giorno in cui uscirò dal seminario, attraverserò porta Santa Lucia e arriverò in cattedrale, - invece quell'anno arrivammo nel palazzo vescovile, perché è stata un'ordinazione fatta un po' in fretta - e ritornerò che non sarò più io: andrò, ma ritornerò sacerdote. Apparentemente le persone mi vedranno, mi saluteranno come prima, però non si accorgeranno di quello che in quel momento sarà avvenuto dentro di me»!Questo viaggio l'ho tanto sognato, tanto desiderato, e vi posso assicurare che quella ero felice mattina, in cui sono uscito dal seminario dove ero vissuto con tanta gioia, per tanti anni, sognando il mio sacerdozio... - vi dico questo proprio da amico e da fratello, e da padre anche, se volete - sognando il sacerdozio e non badando a tutto il resto, perché quella era la meta che si doveva raggiungere. Perciò tutte le difficoltà, e ce n'erano molte di più di adesso in seminario a quel tempo, erano cose molto secondarie, ma molto secondarie, perché quello che si doveva raggiungere era il sacerdozio, e il viaggio doveva portarmi all'altare, e perciò tutto doveva servirmi per arrivare là.Ebbene, quando uscii dalla porta del seminario salutando il seminario, si può dire, per l'ultima volta da diacono, e ritornai poi da prete a quella porta dentro alla quale avevo passato tante giornate in attesa, vi assicuro che il viaggio più importante della mia vita è stato quello verso l'altare.Ci sarà, poi, l'ultimo viaggio, quello verso il Paradiso, che sarà più importante di questo, quando ci incontreremo con Cristo; ma finora effettivamente questo viaggio è stato quello che ha inciso di più sulla mia vita. E quante volte, anche adesso, passando davanti al seminario, passando sotto l'arco di porta Santa Lucia e passando per ponte degli Angeli, ricordo quella giornata, quei passi che ho compiuto da diacono e quei passi, poi, che ho compiuto da sacerdote!

AUTOBIOGRAFIA

MARIA Lourdes

AUTOBIOGRAFIA seminario

Mons. Egidio Negrin, nato a Santa Maria di Camisano (VI) nel 1907, fu insegnante di lettere e di teologia morale nel seminario diocesano dal 1930 al 1947 e vicerettore dal 1930 al 1934, poi arcivescovo di Ravenna nel 1952, e in seguito a Treviso, dove morì nel 1958.

All’epoca il tirocinio di scuola e formazione in seminario per giungere al sacerdozio era di dodici anni dopo le elementari.

Sono le parole latine della consacrazione del pane nella celebrazione della Messa.

Don Ottorino fu ordinato suddiacono il 25 marzo 1939: all’epoca il suddiacono segnava il passo decisivo verso il presbiterato e comportava l’impegno del celibato. Per l’occasione mamma Clorinda gli scrisse la lettera citata ora da don Ottorino e pubblicata in Lettere/1, pag.14.

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3 Poi c'è un altro momento che non potrò mai dimenticare nella mia vita: il primo Sacrificio, la prima Messa che ho celebrato da solo. Il giorno dell'ordinazione si celebra insieme, si concelebra; il giorno dopo, di solito, si andava a Monte Berico. Io ho preferito celebrare la mia prima Messa nella chiesa della Casa della Provvidenza e rimandare ad altro giorno l'andata a Monte Berico: me l'ha assistita mons. Negrin che era allora vicerettore del seminario, e c'erano tutte le ragazze della Casa della Provvidenza.
Per dodici anni avevo guardato il pane pensando al giorno in cui avrei potuto dire su quel pane le parole della consacrazione; per dodici anni, bevendo il vino, molto spesso guardavo quel vino e pensavo: “Verrà il giorno in cui potrò dire una parola sopra questo vino e non sarà più vino”; per dodici anni guardavo le mie dita e pensavo: “Queste dita terranno un pezzo di pane che, dopo le parole che avrò pronunciato, non sarà più pane”.E non vi nascondo che ripetutamente, da seminarista, da giovane ginnasiale e liceale, baciavo queste mani che avrebbero avuto la grazia di poter toccare quel pane trasformato.Quando poi è arrivata la realtà di quel momento e di quell'istante, quando si avvicinava l'istante della consacrazione, quando non era più il rettore del seminario o qualche sacerdote che sentivo pronunciare: «Hoc est enim corpus meum» , ma io dovevo dire quelle parole, vi assicuro che in me c'era una trepidazione molto più grande di quella che avrà avuto quel professore che ha operato al cuore, o quell'altro che, per la prima volta, avrà operato al cervello, perché sentivo che in quel momento io dovevo agire in nome di Dio: io dovevo essere Cristo in quel momento.Quando mia mamma mi ha scritto una lettera prima del suddiaconato e mi ha detto: «Vorrei tessere un tappeto di gigli dove tu potessi distenderti al momento in cui vi stendete per terra, affinché tu possa essere un giglio per tutta la vita», io vi assicuro che in quel momento, prima di pronunciare le parole della consacrazione, avevo in mente la predica della mamma, avevo in mente quello che avrei dovuto essere ripieno, in quell'istante, di fede, di amore, di purezza, per poter essere il meno indegno possibile di pronunciare quelle parole della consacrazione.

AUTOBIOGRAFIA seminario

Don Ottorino sottolinea che il non aver potuto fare tante feste esteriori né stampare biglietti di annuncio o immagini ricordo non tolse nulla alla grandezza dell’avvenimento: in confronto al sacerdozio tutto il resto era secondario.

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4 C'è un terzo momento che non potrò dimenticare, avvenuto nella chiesa del mio paese. Ero giunto a casa in fretta perché, ordinati sacerdoti, qualche giorno dopo ci avevano mandati a casa, senza biglietti di annuncio, senza santini che ho stampati dopo, senza tante storie: eravamo andati a casa preti! Ebbene, ricordo che mi hanno dato la facoltà per le confessioni degli uomini e che sono entrato in confessionale al mio paese. C'era il camerino, ed entrò a confessarsi un uomo del quale non vi dico il nome per non tradire i segreti confessionali: entrò quest'uomo e s'inginocchiò. Una volta la distanza tra i giovani e i vecchi era un po' più marcata di adesso; adesso c'è più familiarità, ed è una bellissima cosa, ma per i vecchi c'è sempre una certa venerazione. Pensate allora la mia trepidazione al vedere in ginocchio un uomo che mi ha visto giocare a bandiera, fare capitomboli, combinare qualche marachella! Era un buon paesano, un amico del paese, al quale naturalmente io davo del lei e lui mi aveva sempre dato del tu, e continuava a darmi del tu anche allora che ero prete, perché c'era una grande distanza di età fra me e lui. Si inginocchiò e cominciò: «Padre...». Al sentire quella parola «padre», improvvisamente, nella bocca di uno che era come mio nonno, di uno che avevo sempre visto ad una certa distanza perché era fra quei tali che dominavano un po' in paese, che erano un po' i maggiordomi, i senatori del paese, sentire che mi chiamava padre, e io dover dire: «Io ti assolvo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», fu per me una emozione indicibile.
Sono esperienze che si provano poi tante volte, quando ci si trova dinanzi a uno che non si confessa da trenta o quarant’anni, quando ci si trova dinanzi a un moribondo e si deve dargli l'assoluzione e poi lo si vede dare l'ultimo respiro e si considera l'anima già tra le braccia del Signore, slegata dal peccato.

AUTOBIOGRAFIA

Il 4 giugno 1972 sarebbero stati ordinati sacerdoti don Piergiorgio Paoletto e don Michele Sartore, e una settimana dopo don Giampietro Fabris; i tre erano compagni di studi di don Lorenzo Centomo, morto qualche settimana prima.

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5 Queste prime impressioni, questa prima coscienza del sacerdozio ricevuto: nel viaggio verso la cattedrale, nella prima Messa celebrata, nelle prime parole che tu hai pronunciato, le quali poi diventano una catena di tante altre che pronuncerai in trentadue anni, la prima volta che hai alzato la mano dimenticando d'essere un ragazzo, dimenticando d'avere un papà dinanzi a te e ricordando, invece, che in quel momento tu sei sacerdote e devi dire la parola da sacerdote a quell'anima che è inginocchiata vicino a te... sono tali che io vi assicuro di aver pregato il Signore di non dimenticarle mai.
In questi trentadue anni c'è stato uno sforzo dentro di me, ed è stato quello di non dimenticare mai quel primo viaggio e di cercare che ogni andata all'altare portasse l'impronta di quel primo viaggio. Ogni mattina si parte dal piano di sopra per andare a celebrare la Messa; qualche volta si può partire e andare a celebrare in qualche altro luogo. Ebbene, io penso una cosa e la dico ai fratelli sacerdoti e a voi per un domani, quando lo sarete: cerchiamo che, ogni volta che si va all'altare, ci sia in noi quello spirito di fede, anche se c'è l'aridità non importa niente, che ci ha accompagnati quando siamo andati all'ordinazione. Fra qualche giorno i nostri fratelli andranno all'ordinazione: allora ci sarà quella gioia, ma sforzatevi perché questa gioia, questo spirito di fede ci deve accompagnare ogni volta che andiamo all'altare.E riguardo, poi, alla consacrazione, ogni volta che prendiamo in mano quel pezzo di pane per pronunciare le parole della consacrazione, io direi: sforziamoci di fermarci un istante, di guardare in volto Gesù che è vicino, la mamma nostra, la Madonna, che è vicina, e di rinnovare quella trepidazione, quell'amore e quella fede che ci accompagnavano la prima volta che abbiamo celebrato i sacri misteri.E ogni volta che andiamo nel confessionale e si avvicina un'anima per ricevere l'assoluzione, per ricevere una parola, sforziamoci di rinnovare la commozione, non tanto sentimentale quanto spirituale, intima, che accompagna il sacerdote la prima volta che alza la mano per assolvere il peccato del fratello.È facile che dopo tanti anni subentri l'abitudine. E va bene: vada pure la parte sentimentale, ma non deve andarsene la fede. Noi sacerdoti dobbiamo ricordare chi siamo, non per esaltarci, non per sentirci, un domani, più grandi degli altri, anzi per sentirci servi degli altri, confusi dinanzi ai fratelli. Però dobbiamo sentire il nostro sacerdozio, dobbiamo sentire l'immensità, la grandezza della nostra missione, dobbiamo sentire quello che sentivano quei santi sacerdoti che passavano le ore in preghiera prima di andare a celebrare la Messa e lunghi tempi di preghiera dopo averla celebrata.Dobbiamo sentire dentro di noi la grandezza del sacerdozio, come la sentiva il Santo Curato d'Ars, che in un momento di intenso amore diceva: «O sacerdote, se tu comprendessi la tua grandezza, tu moriresti di amore; non moriresti di terrore, ma di amore!».

AUTOBIOGRAFIA

SACERDOZIO prete

GESÙ

MARIA la nostra buona mamma

VIRTÙ

fede

SACERDOZIO prete

Il riferimento è alla lettera di don Lorenzo Centomo a Valerio Geremia, letta in pubblico da don Ottorino nella meditazione del 1 maggio 1972.

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6 Come è possibile comprendere il nostro sacerdozio, capire, comprendere la nostra missione? Fratelli, io penso che è possibile in questo modo: pregando tanto e mettendoci veramente nelle mani della Madonna. Chissà quante volte qualche buon ebreo sarà andato dalla Madonna e le avrà detto: «Per piacere, vedi se puoi farmi incontrare con tuo figlio Gesù... Quando viene a casa, vedi un pochino: avrei piacere d'incontrarmi con Gesù»!
Io penso che noi dobbiamo rivolgerci con tanta confidenza alla Madonna e pregarla che ci faccia conoscere il suo Gesù, che ce lo faccia sentire presente sull'altare, che ce lo faccia sentire presente quando amministriamo i sacramenti, quando parliamo in nome suo, insomma in tutta la nostra giornata, perché la nostra giornata dev'essere per ventiquattro ore una giornata sacerdotale, consacrata a Cristo; per ventiquattro ore dobbiamo manifestare, come diceva il nostro caro Lorenzo, il Cristo ai nostri fratelli. Perciò questa mattina io celebro la Messa di ringraziamento per me, e anche chiedendo perdono al Signore per i peccati che ho commesso, per le trasgressioni commesse in questi trentadue anni di sacerdozio, ma la celebro anche per voi, perché possiate anche voi sforzarvi di vivere da consacrati, e perché quello che non sono riuscito a realizzare io, lo possiate almeno realizzare voi.

SACERDOZIO prete

MARIA devozione a ...

MARIA maestra, guida