MI339,1a [25/27-12-1970]
1. Ave Maria Ieri all'ospedale in una cella. Signum (sigillo sulla cassa e sulla carta = documento di autorizzazione - trasporto cadavere padre assistente Schiavo). Signum - sigillo necessario per ogni ordine. Ai pastori: andate, troverete un fanciullo, eccetera. A Maria: tua cugina Elisabetta è già al sesto mese. Dio prende un uomo: gli impartisce un ordine - dà il segno dell'autenticità e la linea che deve seguire assicurando la sua presenza. Dio prende chi vuole, spesso un balbo come Mosè, che deve essere completato dalla voce sicura di Aronne, e comanda e vuole. Dio ha preso anche questo povero balbo, zoppo e cieco, e attraverso vari segni che hanno avuto il loro culmine con il fatto di Giuliari e la firma del vescovo, ha impartito un ordine, ha dato una linea da seguire, promettendo la sua presenza. A conferma: pochi giorni prima della morte mons. Rodolfi mi fa aprire il cassetto del comodino, mi fa prendere le tre mila lire che c'erano e mi dice: “Prendi quel denaro; ormai non ho più niente. Va’ avanti sicuro, cerca solo la volontà di Dio, non ti mancherà mai niente”. Premessa: siamo stati chiamati da Dio e siamo ai suoi ordini per una missione non ordinaria e non conforme alla logica del mondo, ma conforme solo alla tremenda logica del Vangelo e delle beatitudini in modo particolare. 30 anni di cammino cosparso di segni. Collettivi a) MaterialiAUTOBIOGRAFIA
CONSACRAZIONE
PAROLA DI DIO Vangelo
MI339,2a [25/27-12-1970]
2. Ave Maria I. I segni di Dio Doni collettivi: a) Materiali: Le prime cento lire (bilanciere) - (avv. Giuliari). Le 500 lire della prima Boston tipografica (mons. Dalla Libera - S. Messa - supplica al Signore). Le 30.000 lire per la tipografia. Le 100.000 per la casa e terra (“Quanti soldi ha di debito?”. “300 lire”. “Pago io”.). Le lenzuola: alla sera dopo pochi minuti dall'arrivo del giovane. Le 1.000 lire di mons. Snichelotto per i fagiuoli. Le 65.000 per le macchine. Il pane al momento della colazione. Le 100 lire della donna che non aveva mangiato. Fior da fiore: La rete del ladro. La campagna di Grumolo. “Signore, manda ferro”. La bicicletta rubata dalla brigata nera e la provvidenziale pioggia di materiale. Il denaro per l'esternato. Il denaro per la terra della Casa dell'Immacolata (la famosa grazia). I cinque milioni al pino (per pagare le tratte scadute). I 13 milioni dell'esternato. La chiesa richiesta in ottobre ed arrivata nel mese stesso. I dieci milioni dell'officina (sogno di mons. Rodolfi). La chiesa dell’Istituto San Gaetano. Il terreno di Vidale. Il dono dei Vangeli da parte della Mimep. La vecchietta di San Pietro. I dodici milioni dell'Isolotto. La Villa San Giovanni. La Genoveffa (offerta della vedova). La Trestin. Nelle missioni: Maltauro per il Guatemala. Marzotto per il Brasile. Il vescovo e il governo per l'Argentina. Il pane per tutte le comunità. Il diaconato - le missioni. b) Spirituali: 1) Membri - consideriamone solo 3 + 3 (adulti) Don Aldo - Don Piero - Don Rodighiero - Don Zeno. (giovani) Don Martinello - Orfano Giovanni - Creazza - Don Paolino. La quasi totalità è così. N.B. Una nota stonata si sente tra cento e fa più impressione. Però la realtà è realtà. 2) Lo spirito che anima la Congregazione, conforme allo spirito evangelico, alle direttive della Chiesa e ai bisogni dei fratelli.PROVVIDENZA benefattori
CONGREGAZIONE spiritualità
MI339,3a [25/27-12-1970]
3. 3) Le prime esperienze apostoliche, sebbene regnino le inevitabili carenze umane, sono certamente positive. N.B. Anche le più attrezzate industrie, dopo aver studiato un prototipo di macchina, sanno che con l'esperienza dovranno apportare delle modifiche. Ciò non squalifica né la fabbrica, né i tecnici. Così nelle prime esperienze apostoliche era naturale la defezione di qualcuno dinanzi al rodaggio della dura realtà. Da notare l'assistenza particolare di Dio che ha dato la possibilità ai nostri religiosi giovani ed inesperti di vedere frutti veramente insospettati: Crotone - Roma - Istituto (ex allievi) - Casa Immacolata (ex allievi) - Guatemala - Brasile - Argentina - Isolotto - Laghetto. 4) La presenza di Dio nella direzione della Congregazione. Doni personali: a) La vocazione a questa Famiglia (Don Calabria: “Qui c'è Dio”). b) La grazia speciale avuta da Dio per dire di sì. c) La tintarella acquistata alla luce del Sole. d) Il posto speciale nel cuore della Madonna. e) La stima anche umana che ne deriva ai singoli per l'appartenenza a questa Famiglia. f) La gioia immensa di poter avere dei fratelli dello stesso spirito.CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE spiritualità
MI339,4a [25/27-12-1970]
4. Perché? Il filo della tela del ragno, che scende dall'alto: taglialo, cade la tela. 1) Dio è il fondatore, il superiore, l'organizzatore ed il giudice nella Congregazione. 2) I singoli membri sono chiamati a continuare la costruzione e non a distruggerla per farne una di nuova. Perciò ognuno, in ginocchio ed in ascolto deve riferire ciò che Dio gli suggerisce, e mettere a disposizione tutti i doni ricevuti da Dio, non per criticare, ma per collaborare nel continuare il lavoro ed eventualmente per correggere con il proprio sacrificio errori commessi da confratelli o superiori. 3) Il figlio di un grande industriale, fondatore di una azienda, si rovina quando vive alle spalle dell’azienda, con la testa nelle nuvole, senza considerare le enormi difficoltà sostenute dal padre, spendendo il denaro paterno per gite e divertimenti con la scusa di vedere mostre estere inerenti l'azienda. Al ritorno, invece di passare le notti insonni a studiare progetti e a costruire prototipi, si limita nei salotti, con gli amici, a criticare l'azienda paterna dicendola sorpassata ed intanto mangia e beve alle spalle della sorpassata azienda. L'esperienza dimostra che questi figli alla morte del padre fecero fallimento. 4) Quando uno perde quota ? - Quando prega poco. - Quando non si mette completamente a disposizione di Dio come Gesù. - Quando cerca nell'apostolato la sua integrazione e il suo sostegno. - Quando non può vivere senza i suoi amici, il suo lavoro, le sue iniziative. - Quando piano piano dimentica la Congregazione, gli inizi di essa, i doni, lo spirito, i confratelli, la missione della Congregazione, ed è contento e soddisfatto solo nel proprio lavoro.CONGREGAZIONE missione
VOLONTÀ
di DIO
ESEMPI responsabilità
CONSACRAZIONE mediocrità
APOSTOLO chi è
MI339,5a [25/27-12-1970]
5. Ci sono poche vocazioni? 1) Si sente poco la vocazione della Congregazione: si sente di più la propria realizzazione personale, egoistica, anche se apparentemente spirituale. 2) Si prega poco e ci si sacrifica poco per chiedere vocazioni. 3) Si lavora troppo poco per le vocazioni. N.B. Se io non mi fossi curato di cercare voi avrei creduto niente alla mia vocazione. E voi? Come si muore: a) Ci si tuffa nel lavoro apostolico, dando per scontato che si sta lavorando per la Congregazione e che si sta realizzandone il programma. b) Si resta accecati dalle lodi e si accettano senza forti reazioni i confronti (Lei... no lui). c) Si stabilisce una vita libera ed autonoma, e si passa alla critica dei confratelli (che non sanno fare... che potrebbero... vedano me...). d) La Congregazione ha fatto il suo tempo. Non è più all'altezza. Solo una certa categoria media di persone la può seguire. C'è incompatibilità di carattere. Manca la carità. È uscita di strada. Mi ha sempre sacrificato. La mia voce non è mai stata ascoltata. Sento il dovere di coscienza di andare per la mia strada. N.B. Un ladro comincia col rubare un ago. Un religioso o è un consacrato totalitario o è uno che ha già cominciata la discesa. Obbedienza. Povertà. Castità. (Giornata libera - denaro - compagnie - cene). Ite Missa est.CONGREGAZIONE
APOSTOLO animazione vocazionale
APOSTOLO
CONSACRAZIONE religioso
Il riferimento è all’assistente Girolamo Schiavo, della Comunità dell’Istituto San Gaetano di Vicenza, dove era addetto all’economia e agli acquisti.
L’immagine del sigillo che contrassegna i documenti ufficiali anticipa il tema di tutto il ritiro: don Ottorino vuole richiamare alcuni segni che sono come il sigillo, il timbro, la firma di Dio nel cammino della Congregazione.
Don Ottorino usa un linguaggio scherzoso con don Luigi De Franceschi, che all’epoca stava frequentando l’ultimo anno del corso teologico e che nel testo registrato nomina con il familiare soprannome di Ciché.
Cfr. Mt 21,1-3 e 26,17-19; Mc 11,2-3 e 14,13-16; Lc 19,28-34 e 22,8-13.
MI339,1 [25/27-12-1970]
1. Ieri ho assistito alla pietosa cerimonia della sepoltura del papà del nostro carissimo confratello, l'assistente Schiavo . Prima che il feretro venisse trasportato al cimitero, anzi prima del funerale, vi è stata la chiusura del cadavere nella cassa. Io mi ero recato nella cella mortuaria dell'ospedale per assistere alla mesta cerimonia. Più di una volta ho assistito a questa cerimonia, ma è sempre impressionante veder chiudere per bene un cadavere nella cassa e assicurarsi, poi, con la fiamma della candela, che non vi trapassi aria. Una certa impressione l'ho provata anch'io ieri, quando hanno chiuso la cassa e hanno posto il sigillo con la ceralacca, e poiché il cadavere veniva portato fuori del comune ed occorreva l'autorizzazione, hanno versato un po' di ceralacca su un foglio, che costituisce il documento ufficiale, l’hanno sigillato e firmato: finalmente poteva essere rimosso. L'incaricato del trasporto ha fatto una firma di ricevuta e ha potuto, quindi, prelevare il cadavere; aveva un foglio di carta, un sigillo, un segno e poteva partire. Mi pare importante sottolineare il particolare che ogni ordine dato da un'autorità deve portare un sigillo, un segno ufficiale, un marchio di riconoscimento, che garantisca la sua autenticità. Una bolla pontificia, per esempio, che un domani nominasse il nostro carissimo Luigi De Franceschi canonico di San Pietro, non può essere notificata a viva voce, ma con un documento scritto contrassegnato dal sigillo. Se noi apriamo la Sacra Scrittura e osserviamo un po' attentamente come il Signore chiama una persona per una missione particolare, vediamo che il Signore dà sempre un segno per assicurare che è lui, proprio lui che lo vuole. Quando mandò gli Apostoli a prendere l'asina o li incaricò di preparare il Cenacolo disse loro: «Andate... troverete... dite che è il Maestro che vi manda».PAROLA DI DIO Vangelo
PAROLA DI DIO Sacra Scrittura
Il riferimento è al brano evangelico di Lc 2,12, proprio del giorno di Natale.
Cfr. Lc 1,36.
Le parole in corsivo, a questo punto e poi anche in seguito, si riferiscono alla traccia scritta che don Ottorino aveva preparato davanti al tabernacolo e che è pubblicata nelle pagine precedenti accanto al testo originale autografo.
La vocazione di Abramo è narrata in Gen 12,1-3.
La vocazione di Mosè e la funzione di Aronne accanto a lui sono narrate in Es 3,7-12 e 4,10-17.
MI339,2 [25/27-12-1970]
2. Se osserviamo, per esempio, i pastori, di cui abbiamo parlato prima in chiesa, notiamo che essi sono stati avvisati dall'angelo: «Andate... troverete... ecco il segno: un bambino sulla paglia». Quando l'arcangelo Gabriele apparve alla Madonna, le diede un segno: «Anche Elisabetta, sterile, è già al sesto mese». Il Signore attraverso l'arcangelo manifesta alla Madonna una cosa misteriosa e grandiosa com'è la concezione da parte di una vergine senza l'intervento di un uomo; però le dice: «Ecco un segno anche esterno: va’, troverai tua cugina in quelle condizioni». Mi pare importante sottolineare come il Signore, anche in certe opere particolari, chiami una persona manifestandole sempre il suo segno. Vi leggo le parole che ho scritto qui in chiesa: «Dio prende un uomo, gli impartisce un ordine, dà il segno dell'autenticità e la linea che deve seguire, assicurando la sua presenza». Il Signore di solito agisce in questa maniera. Ad esempio, il Signore prende il padre Abramo e gli dice: «Vieni!». Non gli dà spiegazione di tutto, non gli rivela tutto, ma lo chiama, gli dà un segno della sua presenza e poi gli dice: «Avanti! Io sarò con te». «Dio sceglie chi vuole». Qui sta il punto importante! Quando il Signore vuol fare una cosa, sceglie e dà un segno, ma sceglie chi vuole. «Spesso, e qui entriamo in casa nostra, prende un balbuziente come Mosè, che dev'essere completato dalla voce sicura di Aronne, poi comanda e vuole». Guardate che è un rilievo importante! Il Signore non prende Mosè perché sa parlare meglio degli altri, perché è più santo, infatti anche Mosè ha le sue magagne, ma perché è lui che vuole prenderlo e vuole inoltre che sia completato da Aronne: «Tu comunicherai a lui il messaggio e lui parlerà per te».MARIA
DIO stile di...
PAROLA DI DIO Sacra Scrittura
Don Ottorino nomina Francesco Giuliari, il giovane aspirante dell’Azione Cattolica della parrocchia di Araceli che preparò alla morte, avvenuta il 9 gennaio 1941, e al quale aveva affidato la richiesta di un segno, la conversione di una donna di vita disordinata che avvenne il 13 gennaio, per dedicarsi completamente ai giovani orfani e bisognosi. Il 23 febbraio dello stesso anno il vescovo mons. Ferdinando Rodolfi gli dava la sua benedizione e l’approvazione per l’inizio dell’Opera.
Nell’esempio don Ottorino nomina don Pietro De Marchi entrato in Congregazione già sacerdote e all’epoca parroco all’Isolotto di Firenze, don Giuseppe Rodighiero proveniente dal clero diocesano di Padova e all’epoca parroco di Laghetto a Vicenza, e don Zeno Daniele entrato dopo una esperienza di lavoro e all’epoca addetto all’amministrazione generale.
MI339,3 [25/27-12-1970]
3. Sottolineo questo fatto perché mi pare faccia un po' al nostro caso. «Dio ha preso anche questo povero balbuziente, zoppo e cieco, e attraverso vari segni che hanno avuto il loro culmine con il fatto di Francesco Giuliari e la firma del vescovo, ha impartito un ordine ed ha dato una linea da seguire, promettendo la sua presenza». Ho scritto queste poche parole in chiesa, e poi le discuteremo da buoni fratelli, ma volevo premettere questo cappello introduttivo prima di partire con l'argomento. Quando il Signore scelse Mosè sapeva già che era balbuziente, e quando ha scelto questo povero uomo sapeva che non solo era balbuziente, ma anche zoppo e via dicendo. Quando chiamò Mosè, Dio scelse anche Aronne ed altri, perché Mosè doveva iniziare l’opera e gli altri completarla. Dovete riflettere e rendervi conto che Dio, chiamando me, ha chiamato contemporaneamente anche voi; tracciando il disegno dell'Opera, che ha affidato alle nostre mani, il Signore faceva conto anche della vostra presenza, faceva pienamente conto, per esempio, della presenza di don Pietro de Marchi che ha portato la sua nota, di don Giuseppe Rodighiero che ha portato la sua, di don Zeno che pure ha portato la sua, di ciascuno di voi. E perché non avrebbe potuto chiamarci tutti insieme? Per lo stesso motivo per cui ha chiamato Mosè e gli ha detto: «Va’ tu che sei balbuziente, e chiama gli altri e lavorate insieme». Questo rilievo è importantissimo, perché non si può pretendere che Mosè sia e parlatore e operatore di tutto: egli, come uomo, è uguale a tutti gli altri, è limitato. Gesù stesso, come uomo, era limitato nel tempo e nella sua nazione. Immaginiamoci se gli altri uomini, che non sono perfetti come Gesù, non portano i segni dei loro limiti, compresi quelli impressi dai peccati, dalle miserie e dalle incorrispondenze, che invece non troviamo in Gesù e nella Madonna. È importantissimo sottolineare che l'Opera è di Dio, e Dio sceglie una persona per iniziarla e continuarla, ma già dall’eternità pensava ad un'Opera fatta non di uno solo, ma di più persone, le quali avrebbero dovuto portare la loro parte di contributo, spesso determinante, tale da far cambiare completamente anche il colore esterno, non l'anima, ma il colore esterno.AUTOBIOGRAFIA
DIO
CONGREGAZIONE missione
APOSTOLO chiamata
GESÙ
uomo
CONGREGAZIONE storia
Don Ottorino si riferisce spesso a don Giovanni Calabria (1873-1954), canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1999, fondatore dei Poveri Servi della Divina Provvidenza a Verona, perché si sentiva particolarmente a lui legato da sentimenti di stima e di riconoscenza per l’appoggio ricevuto agli inizi dell’Opera.
Don Ottorino aveva avviato da qualche mese l’attività dei “Sussidi pastorali audiovisivi”, alla quale collaborava anche don Matteo Pinton, all’epoca insegnante di filosofia nella Casa dell’Immacolata e nel seminario diocesano.
Il riferimento è a don Giorgio Girolimetto, che all’epoca frequentava l’ultimo anno del corso teologico.
Nel testo registrato interviene a questo punto Michele Sartore, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico, dicendo: “Beh, io non ho proprio colto il succo delle sue parole, cioè non so se dobbiamo tenere più in conto lo spirito della Congregazione che i suoi uomini”. Poi interviene anche don Giorgio Girolimetto, e quindi don Ottorino riprende la sua esposizione con un nuovo accenno a don Giovanni Calabria e al libro “Apostolica vivendi forma”, pubblicato nel 1945 e ispirato dal santo sacerdote veronese, ma messo per iscritto da don Venanzio Bini, sacerdote e giornalista, amico di don Calabria, ma non religioso della sua congregazione, come erroneamente afferma don Ottorino.
MI339,4 [25/27-12-1970]
4. Supponiamo, per esempio, che una congregazione religiosa come quella di don Calabria indirizzi domani la sua attività al campo televisivo, cinematografico e via dicendo, perché un confratello, entrato nella congregazione a trentacinque o a quarant'anni, le ha dato questa tonalità esterna, e che tale congregazione venga conosciuta per quest'opera esterna... ma resta sempre il fatto che è lo spirito che anima questa attività, anche se essa, forse, fa impressione nel mondo. Supponiamo, per esempio, che domani, morti tutti noi, resti soltanto don Matteo a dirigere il nostro centro cinematografico e lanci chissà quale novità: potrebbe sembrare che la Congregazione sia solo don Matteo perché è conosciuto solo lui. Ma la Congregazione non è don Matteo, e neppure io e neppure ognuno di voi: essa è quello spirito che Dio ha dato a tutti i suoi membri. Prima di procedere con il discorso vorrei che ci fermassimo un momentino per vedere se siete d'accordo con me, se vi pare bene quello che ho detto. Che cosa ne dici tu, Giorgio , di questa linea? Sarebbe bene che ci fermassimo un pochino a discutere per mettere in chiaro questo punto. Non so se avete da domandare qualcosa in proposito. Il Signore chiama don Calabria, gli fa capire che vuole un'opera e gli dona uno spirito particolare, ma questo non significa che don Calabria sia tutta la congregazione. Per esempio, il libro «Apostolica vivendi forma» non verrà scritto da lui, ma da un sacerdote della congregazione, che per umiltà non ha voluto che portasse il suo nome, anche se è risaputo da tutti; era un uomo che aveva delle doti meravigliose, sapeva scrivere e scrivere bene, per cui in esso c'è tutto lo spirito della congregazione.CHIESA
CONGREGAZIONE spiritualità
CONGREGAZIONE appartenenza
Il riferimento è a Giovanni Pietro Carafa, vescovo di Chieti quando si unì a San Gaetano Thiene per iniziare i Chierici Regolari Teatini. In seguito venne eletto cardinale nel 1536 e Papa nel 1555 con il nome di Paolo IV.
Don Ottorino ricorda la costruzione del villaggio dove sta tenendo il ritiro, nella quale contribuirono i giovani stessi della Casa dell’Immacolata negli anni 1967-1968, specialmente per l’installazione delle case prefabbricate. Bosco di Tretto dista circa 40 chilometri da Vicenza e si trova a 800 m. di altitudine.
Nell’esempio don Ottorino nomina Daniele Galvan, Alberto Baron Toaldo e Mariano Apostoli, che all’epoca frequentavano l’ultimo anno del corso teologico, e don Leonzio Apostoli, missionario in Guatemala: i quattro avevano lavorato con impegno per la realizzazione del villaggio.
In questo esempio don Ottorino nomina Marco Pinton e Giorgio De Antoni, che all’epoca frequentavano il 2° anno del corso teologico.
MI339,5 [25/27-12-1970]
5. Può darsi che domani un religioso di don Calabria diventi, per esempio, anziché scrittore di libri, Papa e porti la sua tonalità nel collegio dei cardinali e dei vescovi, come nel caso particolare del Carafa. Con questo volevo sottolineare il fatto che non possiamo dire: “Adesso c'è don Calabria, perciò tutta la congregazione è riassunta in lui che deve essere tutto: maestro di meccanica, maestro di falegnameria, maestro per chi scrive articoli...”. No! Lui è stato scelto da Dio a lanciare un richiamo e ad indicare la missione della congregazione, ma poi per la realizzazione di questa ognuno deve portare il suo contributo. Portiamo un esempio concreto. Supponiamo che ci sia da costruire il villaggio di Bosco di Tretto. Il Signore fa capire dapprima che vuole un villaggio, poi che lo vuole in questo luogo e fatto nel miglior modo possibile, ma poi lascia spazio alle persone e alle loro doti individuali. Allora c'è Daniele specializzato in impianti elettrici, il nostro caro Alberto specializzato in impianti idraulici, don Mariano e suo fratello nella tecnica decorativa: ognuno offre il suo contributo, ma sempre per costruire il villaggio. Daniele non può dire: «Io, per conto mio, il villaggio lo faccio sopra il Summano», né un altro: «Io lo faccio in quest’altro posto». No, ci mettiamo insieme, discutiamo insieme, fissiamo una linea, ma poi secondo la linea fissata ognuno deve collaborare, portare qualche cosa di se stesso, perché se non ci fossero stati don Leonzio e Mariano a decorare le pareti, forse a nessuno sarebbe venuto in mente di decorarle in quel modo. Direi che ognuno lascia un po' la sua impronta perché i doni che egli ha ricevuto da Dio, se Dio lo ha chiamato in questa Congregazione, fanno parte della fisionomia della Congregazione stessa. Porto un altro esempio. Supponiamo che una sera Marco, che il Signore ha chiamato qui con noi, si metta a cantare, a fare un po' di festa, a scherzare un pochino, e a Marco si aggiunge un altro, Giorgio, per esempio, con la sua passione per la musica, e a Giorgio un altro ancora con i suoi propri doni: tutta la Congregazione prende anche un colore esterno, offre una manifestazione esterna dello spirito che è dovuta alle doti di ognuno di loro.CHIESA
CONGREGAZIONE
ESEMPI vari
CONGREGAZIONE carisma
Cfr. Es 6,28-7,7.
Nel testo registrato interviene a questo punto don Luigi De Franceschi dicendo: “Sembra anche a me, almeno per quello che ho compreso, che prima di tutto bisogna tener fisso il filone, cioè la nostra missione come Congregazione. Come Dio, il quale aveva un suo piano per arrivare all'incarnazione di Cristo. Egli ha seguito questo suo piano e poi ha creato i suoi uomini, mettendoli su quella linea. Questi uomini dovevano portare tutta la loro personalità, ma dentro la linea segnata, altrimenti non sarebbero arrivati alla realizzazione del piano. Per andare al concreto: Giovanni Battista aveva il compito di annunciare la venuta del Messia e ad un certo momento, quando Gesù si è manifestato, di ritirarsi. Quella era la sua missione. Se, però, ad un dato momento avesse voluto proclamarsi Cristo, sarebbe uscito dal filone: non avrebbe più avuto senso la sua missione”.
Cfr. 1ª Cor 1,12-16.
MI339,6 [25/27-12-1970]
6. Questa mattina abbiamo cantato, ma certamente non sono stato io, che sono stonato, insegnarvi a cantare. Non so se ho reso il mio pensiero: le doti che ognuno ha ricevuto da Dio, le ha ricevute per immetterle poi nella Congregazione e per obbedire al Signore. Portiamo un altro esempio, un po' materiale, se credete. Supponiamo che il Signore ci dia l'ordine di riempire una fossa di terra e dica: «Sentite voi: venite tutti qui!». Allora ognuno collaborerà con le sue doti particolari: chi se ne intende di luce elettrica illuminerà in modo che gli altri possano lavorare, chi possiede una ruspa lavorerà con la ruspa, un altro guiderà il camion, un altro si servirà della carriola, un altro lavorerà con le braccia, un altro ancora darà l'appoggio morale se non saprà far altro, un altro andrà a prendere da bere e porterà il vino a chi lavora, per cui tutti stanno costruendo, cioè riempiendo la fossa che Dio vuole sia riempita. Ognuno, però, deve metterci la sua iniziativa, la sua parte, la sua collaborazione, perché il Signore, quando comandò di riempire la fossa, fece conto sul lavoro di tutti. Infatti sarebbe stato inutile che avesse ordinato a me di chiudere una fossa così grande se poi non avesse mandato un altro con la ruspa, un altro con la carriola... se non li avesse mandati, che cosa avrei potuto fare da solo? È inutile che il Signore comandi a Mosè di andare dal faraone se non ha poi Aronne che sa parlare per lui: non avrebbe fatto altro che suscitare il riso senza ottenere niente. Forse io esagero un pochino, ma mi pare che sia importantissimo mettere a fuoco questo concetto. Quando più tardi Paolo è entrato nel numero degli Apostoli, anche lui ha portato la sua personalità meravigliosa, ma senza offuscare minimamente l’annuncio del Cristo o della volontà di Dio. Perché? Perché non è Paolo, non è Pietro, è Cristo che battezza. Ognuno deve mettercela tutta, ma sapere che è Cristo che costruisce. Noi stiamo realizzando un piano di Cristo, un piano di Dio, per cui noi, poveri uomini, ce la metteremo tutta. Se siamo Paolo faremo da Paolo, se siamo Andrea, cioè un po' titubanti, faremo da Andrea, però tutti, ognuno secondo i doni ricevuti da Dio, per realizzare il piano che è di Cristo, che è di Dio.DIO
CONGREGAZIONE
ESEMPI collaborazione
VOLONTÀ
di DIO
GESÙ
Don Ottorino si riferisce senza dubbio al dissidio tra i due in occasione dell’inizio del secondo viaggio missionario di Paolo, narrato in Atti 15,36-40.
Nel testo registrato uno dei presenti a questo punto aggiunge: “Mi sembra che il religioso, entrando nella Congregazione, conosca già lo spirito che essa ha e che quindi accetti questo spirito; dopo, naturalmente, dovrà aggiungere la sua parte e mettersi a disposizione della Congregazione”.
in Atti 11,1-18, e nel dissidio fra Paolo e Pietro ad Antiochia, in Gal 2,11-14.
Nel testo registrato interviene a questo punto Lorenzo Centomo, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico, dicendo: “Penso che sia importante essere prima di tutto convinti che la Congregazione l'ha voluta il Signore e che lo scopo della Congregazione l'ha fissato lui. Quindi non dipende da noi creare il fine della Congregazione. Siamo noi che dobbiamo adattarci, a un certo momento, cioè entrare in questo fine voluto dal Signore. E allora si capisce che tutti devono sostenere la loro parte per un unico scopo, senza cominciare a discutere, come se dipendesse da noi decidere che cosa fare o non fare della sua spiritualità”. A continuazione interviene nuovamente Michele Sartore: “Io non ho capito un particolare. Il discorso sul fine della Congregazione è giusto, ma il fine, ad un certo punto, può essere anche molto generico. Io chiedo: la nostra collaborazione deve limitarsi a un'attuazione pratica delle linee che sono state già fissate oppure può esserci anche una collaborazione nel fissare le linee di lavoro? Non so se ho reso l'idea. Dagli esempi da lei portati, pur accettando che gli esempi sono sempre limitatissimi specialmente se si riferiscono a un punto che si vuole sottolineare, mi pareva d'aver capito che la nostra collaborazione a un certo punto si limita a fare quello che è già stabilito. Mentre lei parlava, mi venivano alla mente tante affermazioni da lei fatte, come, per esempio, che la Congregazione è «questa», per cui, ad un certo punto, come diceva Lorenzo, o ci inseriamo in questa Congregazione o ne scegliamo un'altra. Volevo appunto chiarire questo aspetto”
MI339,7 [25/27-12-1970]
7. Mi pare che questo concetto sia importantissimo perché allora, ad un dato momento, colui che è stato incaricato da Dio a iniziare l'Opera, lo si considera come uno strumento di Dio, un fratello, un amico, non lo si divinizzazione, ma nello stesso tempo non si tiene in poco conto nemmeno quello che ha ricevuto da Dio. Se il Signore a me ha detto questo, amici miei, non posso cambiarlo. Sarebbe sbagliata sia la divinazione come l’indifferenza. Non si può divinizzarlo, quasi credendolo impeccabile, infallibile, come se tutto quello che dice fosse oro colato: no, è uomo, può sbagliare anche lui. Osservate l’esempio degli Apostoli, in particolare il fatto avvenuto tra Paolo e Barnaba. Si può sbagliare benissimo, però attenti perché bisogna assolutamente seguire quella che è la missione, il filone dell’Opera. Vi sembra giusto? Permettete un’ulteriore osservazione. Se nel collegio apostolico Pietro è messo da Cristo a capo della Chiesa e ad un dato momento Pietro prende decisioni personali, gli Apostoli possono fargli delle osservazioni, L’affermazione di don Ottorino trova fondamento nell’episodio di Pietro che giustifica la propria condotta, ed è giusto che gliele facciano, ma in vista della missione del collegio apostolico, non in vista di un proprio capriccio, cioè nella interpretazione della volontà di Dio. Siamo ancora agli inizi degli argomenti che dovremo trattare. Per ora io desidero illustrare solamente il punto di partenza, dopo il quale andremo avanti. Ci ritroveremo eventualmente verso la fine per trattare nuovamente questi argomenti, ma intendevo fissare con chiarezza il punto di partenza.CONGREGAZIONE fondatore
ESEMPI collaborazione
MI339,8 [25/27-12-1970]
8. Per spiegarci meglio, invece di fermarci nella nostra Congregazione, consideriamo l'Ordine di San Francesco d'Assisi, cioè i Francescani. Il Signore ha chiamato i Francescani a dare una testimonianza di vita evangelica in un momento in cui si viveva poco il Vangelo: una testimonianza in un certo modo e in una certa forma. Avrebbe potuto Francesco permettere che i primi Francescani divenissero alcuni Domenicani, altri Camilliani dediti agli ammalati, altri ancora con diverse finalità? Avrebbe potuto permettere questo? Però, nella linea della testimonianza che Dio voleva dall'Ordine, Francesco e anche gli altri frati avevano il dovere di esplicare le proprie doti, ma sempre secondo il carisma francescano. E allora sorge Sant’Antonio da Padova, che diventa il predicatore per eccellenza, mentre Francesco non lo è, ma ognuno nella linea della testimonianza francescana. Consideriamo adesso i Camilliani, che hanno la loro vocazione e la loro chiamata. Supponiamo che uno di loro dica: «Noi dovremo, ora, diventare giornalisti»; scelga allora una congregazione la cui attività è quella del giornalismo, perché i Camilliani hanno già la loro linea specifica. Quando io affermo con una certa forza: «Sceglietevi un'altra congregazione!», lo intendo per questo motivo. Se avete qualche cosa da portare nella Congregazione, siamo felicissimi che la portiate, ma voi - e queste saranno cose che dirò un po' più avanti - a un dato momento non potete dire: «Io sono d'accordo con la Congregazione, però la realizzo per conto mio: vado dove voglio, ritorno la sera quando voglio, esco senza chiedere il permesso, mi assento per giornate senza domandare l’autorizzazione. Io sono d'accordo, ho scelto questa Congregazione, ho abbracciato il suo spirito, ma sento il bisogno di realizzarlo nel modo che mi pare». Questo è sbagliato! Siete d'accordo? Io intendo affermare questo. Dobbiamo realizzare insieme, non già come ognuno vuole. E il senso di libertà? Siamo d'accordo, ma il senso di libertà non vuol dire che sia permesso andare dove si vuole o lasciar detto che si esce di casa e ritornare fra otto giorni. Mi pare che questo non sia permesso neppure in famiglia, se uno è sposato. Siamo d’accordo sulla necessità della libertà e sull’importanza di impegnare tutte le proprie capacità, ma siamo qui per collaborare insieme, e non per fare tante congregazioni quanti siamo noi. Nessuno frena l’iniziativa personale, anzi io rimprovero dinanzi a Dio se non si porta il proprio contributo, se non si manifestano le proprie idee.CONGREGAZIONE missione
CHIESA
CONGREGAZIONE carisma
CONGREGAZIONE appartenenza
Don Ottorino si riferisce all’attività che da poco aveva avviato per la produzione di sussidi audiovisivi catechistici e pastorali, termine che don Ottorino non usa e al suo posto dice “il cinema”.
Nel testo registrato interviene a questo punto Alberto Baron Toaldo che dice solamente: “Non è più collaborazione!”. Poi interviene Mario Corato, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico, il quale dice: “Credo che ad un certo momento il fine e la realizzazione non possano disgiungersi, e se sono congiunti, non si possono lasciare. Prendiamo l’esempio di padre Massimiliano Kolbe, che da francescano ha portato dentro l'Ordine la Milizia dell'Immacolata e mille altre realizzazioni fino a costruire un aeroporto. Se ad un certo momento i suoi superiori gli avessero detto: «È meglio che tu ti ritiri», lui si sarebbe ritirato, perché le realizzazioni devono essere sulla linea nella quale si è inseriti”. Alla fine interviene anche Marco Pinton, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico, che aggiunge: “Io credo che uno, entrando in una congregazione, accetti un po' tutta la forma di questa congregazione, la quale ha già una sua linea. Voglio dire che, praticamente, chi entra, deve entrarvi anche con fede, perché, insomma, non si può entrare e fare una combriccola a parte. In effetti, chi entra, deve entrare avendo già uno spirito di fede, con la coscienza di far parte della congregazione e perciò con l’impegno di dare il proprio apporto per quanto è possibile, senza ritenersi con ciò di essere il padreterno della congregazione”.
Cfr. Mt 3,1-12; Mc 1,1-8 e Lc 3,1-18.
MI339,9 [25/27-12-1970]
9. Per esempio: è venuta fuori ultimamente la questione degli audiovisivi. Forse qualcuno potrebbe avere qualche altra idea, suggerire qualcos'altro da fare che si potrebbe lanciare per la pastorale o per le vocazioni, per il fine cioè della Congregazione, che è quello di preparare un esercito per la Chiesa di Dio, essere preparati alla vita pastorale. Se avete delle idee, delle ispirazioni, qualche proposta che si potrebbe realizzare, avete il dovere di presentarla, di pensare continuamente a queste cose e di portare il vostro contributo di scienza, di esperienza e di santità. Non è lecito invece che uno dica: «Io, adesso, lavoro per conto mio, mi rendo indipendente e faccio quello che mi piace, mi chiudo in me stesso, faccio così». Questo no! Mi pare che questo non è permesso. Vorrei ora dare l'avvio alla partenza, perché abbiamo ancora da entrare nel tema. Vorrei soprattutto che fosse chiaro questo principio: la Congregazione non è il frutto del colpo di testa di uno che inizia dicendo: «Adesso inizio un’opera nuova», o qualcosa del genere, ma è una cosa sofferta, tremendamente sofferta, che si inizia soltanto perché il Signore prende uno e gli dice: «Fa’!», perché altrimenti nessuno, neanche il Battista sarebbe partito per andare nel deserto per mettersi a predicare. La vita comoda va bene a tutti. Sarebbe veramente da pazzi dire: «Mi tiro fuori dalla vita normale per piantare una cosa nuova», perché non c'è nessun segno di avventura e nessun segno di compiacimento personale. Vi assicuro che questo si fa soltanto se si sente che c'è un dovere, ma sempre contrariamente al gusto umano perché il gusto umano porterebbe a starsene calmi e tranquilli. E questo bisogna che ve lo fissiate in testa.CONGREGAZIONE carisma
CONGREGAZIONE appartenenza
CONGREGAZIONE fondatore
Don Ottorino si richiama al paragone usato all’inizio del ritiro.
Nel testo registrato don Ottorino usa l’espressione “casca il palco” per indicare che una impresa puramente umana cesserebbe ben presto, come se all’improvviso in un teatro crollasse il palcoscenico.
Nell’esempio don Ottorino nomina di nuovo Giorgio De Antoni, e aggiunge Raffaele Testolin, che all’epoca stava passando un periodo di discernimento, ambedue amanti della musica e animatori della liturgia.
MI339,10 [25/27-12-1970]
10. Perciò, se il Signore prende una persona e ci sono i sigilli che provano che è stato il Signore, che non è stato un colpo di testa umano, e di solito si notano facilmente i sigilli come anche se la persona agisce soltanto per ambizione o per altri motivi, e i sigilli sono sempre nell’ambito dell'obbedienza perché, se si è fuori dell'obbedienza, tutto va in rovina, allora chi entra deve mettersi in atteggiamento di ascolto comunitario della volontà di Dio, e non fuori della porta in un atteggiamento di critica di quello che si è fatto o per quello che sarebbe stato meglio fare, perché questa non è collaborazione. Vorrei proprio che arrivassimo a questa prima conclusione: noi siamo stati chiamati insieme, anche se a guidare un po' la marcia è stato chiamato uno prima di voi. Siamo stati chiamati insieme e lo siamo stati, ognuno, non come aggiunti, ma come complementari di un'Opera che Dio vuol fare. E ognuno ha la sua parte precisa, ma nell'Opera, non fuori dell'Opera. Come in un mosaico ogni tesserina ha il suo posto, così in questo mosaico che è la Congregazione, la quale rientra a sua volta nel mosaico meraviglioso della Chiesa, perché non può essere fuori di quello, ognuno di noi ha il suo posto e il suo posto è così importante che se manca la sua presenza il Signore chiama un'altra persona, se vuole che la Congregazione vada avanti secondo quella determinata spiritualità. Se ad un certo momento Giorgio e Raffaele dicessero, e sono liberi di farlo e di dirlo: «Noi ce ne andiamo», e il Signore volesse conservare nella Congregazione quel senso di gioia e di musica che essi infondono anche nella liturgia, il Signore ne farebbe entrare degli altri, perché ciò è complementare, fa un po' parte dello spirito, dell'anima della Congregazione.CONGREGAZIONE
CONGREGAZIONE missione
CONGREGAZIONE carisma
CONGREGAZIONE appartenenza
Cfr. Lc 1,8-25.
A questo punto don Ottorino interrompe la conversazione per l’arrivo di altri confratelli, per i quali riassume brevemente quanto esposto precedentemente.
MI339,11 [25/27-12-1970]
11. Io vorrei che foste d'accordo, come punto di partenza, su questo principio, e se non lo siete cercheremo di approfondirlo: «Dio ha preso anche questa povera persona, balbuziente, zoppa e cieca, e attraverso vari segni, che hanno avuto il loro culmine nel fatto di Francesco Giuliari e nella firma del vescovo, ha impartito un ordine, ha dato una linea da seguire, promettendo la sua presenza». Quando dico un ordine e una linea non vuol dire una linea con tutti i particolari, perché neanche ad Abramo, neanche alla Madonna il Signore ha detto tutto, neanche a Gesù Cristo come uomo ha detto tutto appena nato. I particolari li coglieremo in seguito, insieme, come è avvenuto per il problema dell'Isolotto, come un domani potrà avvenire in qualche altra parte del mondo, come è avvenuto per la specializzazione nel campo degli audiovisivi: li ricercheremo insieme purché sia sicura la radice, il punto di partenza, e penso che su questo punto di partenza ci troviamo d'accordo. Se non lo siete, allora ditemelo e incominceremo di nuovo. Siete d'accordo su questo punto? Se avete dei dubbi su questo primo punto, la cui trattazione non era prevista perché credevo di incominciare un po' più avanti, sono disposto a spendere anche i tre giorni della nostra permanenza quassù per dimostrarvi chiaramente e apertamente come non è stato un colpo di testa, che il primo a non crederci sono stato io, come nell’episodio di Zaccaria , che se non sono diventato balbuziente e muto è perché il Signore non l’ha permesso, ma vi assicuro che ho voluto un segno chiaro e preciso, ho seguito, come mi pare, tutte le linee fissate dall'ascetica, cioè il ricorso alla direzione spirituale, ai superiori e anche a un segno un po' straordinario. Riassumo con poche parole tutto quello che finora è stato detto. Ho iniziato il discorso parlando dei funerali del papà dell'assistente Schiavo: un foglio di carta, un po' di ceralacca e un sigillo, i segni chiari e precisi che quel cadavere poteva essere trasportato fuori del comune. Ogni opera straordinaria, mi pare, è segnata sempre da un sigillo, da una firma, da una garanzia: questo avviene in mezzo agli uomini, e don Zeno può senz'altro confermarlo perché allo sportello di una banca non è valido un assegno senza firma, una carta senza timbro.CONGREGAZIONE fondatore
MARIA
GESÙ
MI339,12 [25/27-12-1970]
12. Anche Dio ha seguito questa linea quando ha voluto chiamare una persona per compiere qualche cosa di straordinario e le ha sempre dato qualche segno, compresi i pastori ai quali ha detto: “Andate e troverete”, compresa la Madonna alla quale ha detto: «Ecco, Elisabetta tua cognata...». Dio ha usato questa forma anche per Mosè, al quale ha ordinato: «Va’ dal faraone». Leggo due o tre righe per essere più sintetico: «Dio prende chi vuole, anche un balbuziente come Mosè, che deve essere completato dalla voce sicura di Aronne, poi comanda e vuole». Questa è la linea di Dio. «Dio ha preso anche questo povero balbuziente, zoppo e cieco, e attraverso vari segni che hanno avuto il loro culmine con il fatto di Francesco Giuliari e la firma del vescovo, ha impartito un ordine e dato una linea da seguire promettendo la sua presenza». Siamo arrivati a questo punto, abbiamo un po' discusso, poi siamo usciti di strada su argomenti che dobbiamo trattare più avanti, ma la sostanza è questa. Ho anche domandato qualche intervento in attesa che voi arrivaste perché da Vicenza avevano telefonato che eravate partiti. Vorrei chiedere se siete d'accordo, e ripeto per i tre fratelli che sono appena arrivati che questa è un'Opera voluta da Dio, il quale ha chiamato un povero uomo ad iniziarla, ma non ha chiamato soltanto questo povero uomo, ha chiamato anche tutti noi perché ognuno di noi è una tesserina essenziale di quest'Opera. Il Signore non ha pensato a don Ottorino come Congregazione, ma ha pensato a un gruppo di persone. Il Signore ha chiamato Mosè e gli ha detto: “Va’ e guida il mio popolo!”, e non: “Va’ in Egitto e da solo entra nella terra promessa”, ha chiamato lui perché conducesse un popolo, ma poi ognuno del popolo aveva la sua missione. Noi, nel nostro caso particolare, abbiamo ciascuno la nostra parte, e portavo l’esempio di Giorgio e Raffaele che potrebbero lasciare la Congregazione, che senza di loro perderebbe un po’ di colore, però il Signore susciterebbe qualche altro, anche se immediatamente si sentirebbe la loro mancanza perché avevano una loro missione specifica.CONGREGAZIONE fondatore
CONGREGAZIONE missione
CONGREGAZIONE appartenenza
Don Matteo Pinton era all’epoca insegnante di filosofia nella Casa dell’Immacolata e nel seminario diocesano, e aveva collaborato per la stesura di un fascicolo sulla spiritualità religiosa secondo le idee di don Ottorino.
Don Ottorino ricorda come un segno peculiare della volontà di Dio un gesto di carità e la parola di incoraggiamento del vescovo mons. Ferdinando Rodolfi sul letto di morte, il vescovo che l’aveva autorizzato ad iniziare l’Opera e sostenuto sempre con la sua benedizione.
Il vescovo Rodolfi morì il 12 gennaio 1943, cioè quasi due anni dall’inizio dell’Opera nel sottopalco del teatro parrocchiale di Araceli.
Cfr. Mt 8,4; Mc 1,44; Lc 5,14 e 17,14.
MI339,13 [25/27-12-1970]
13. Se siamo d’accordo su questo diamo uno sguardo in avanti. Penso che non sia il caso di soffermarmi su questo punto. Che ne dice don Matteo ? Se c’è necessità che porti una dimostrazione a sostegno di questo, lo faccio. Alzi la mano chi ha qualche cosa da osservare in proposito. Nessuno? E allora proseguiamo. «A conferma: pochi giorni prima della sua morte, mons. Rodolfi mi fa aprire il cassetto del suo comodino e prelevare le tremila lire che c’erano, dicendomi: «Prendi quel denaro; ormai non ho più niente. Va avanti sicuro, cerca solo la volontà di Dio, non ti mancherà mai niente». Perché ho riportato queste parole? Le ho riportate perché non sono state dette proprio agli inizi dell'Istituto, ma un paio di anni dopo, e mi sembrano quindi l'ultima firma del vescovo che ha avuto la missione, da parte di Dio, di mettere la firma sul documento di partenza. Dicevamo che la linea seguita da noi è stata questa: padre spirituale, autorità ecclesiastica - il Signore diceva persino ai risanati: «Andate e mostratevi ai sacerdoti» , cioè chiedeva l’intervento dell’autorità gerarchica - e l'intervento straordinario di Dio. Ma l’intervento straordinario si inserisce sempre in quella che è la linea gerarchica, la linea regolare, non va mai contro il padre spirituale e contro i superiori. Ci saranno delle difficoltà per far capire, il Signore farà attendere e provare e riprovare, ci saranno delle questioni, però non andrà mai contro il padre spirituale e i superiori. Il Signore non fa mai così le sue opere: farà dei miracoli per convertire i superiori, farà morire qualche superiore, ne rimetterà un altro, però è necessario seguire sempre questa linea. Ho sottolineato questo particolare perché mi pare che questo vescovo, grande vescovo, che sta per morire, che mette la firma e dice: «Non aver paura, va’ avanti tranquillo, il Signore sarà con te, ti accompagnerà; tu cerca solo la sua volontà», sia un segno molto chiaro. «Premessa: siamo stati chiamati da Dio e siamo ai suoi ordini per una missione non ordinaria e non conforme alla logica del mondo, ma conforme solo alla tremenda logica del Vangelo e delle Beatitudini in modo particolare». Qual è lo spirito animatore della Congregazione? Lo possiamo trovare nel discorso del Papa di questa mattina; il resto, caro Michele, sono particolari: la veste o no, all'Isolotto o nell'America Latina... sono particolari. Il richiamo che la Congregazione deve fare attraverso testimonianze concrete è proprio questo: l'obbedienza a Dio e ai superiori, l’adesione allo spirito evangelico con semplicità, come certamente oggi il mondo non vorrebbe, perché esso vorrebbe un Vangelo conforme alle sue comodità e alla sua logica. E invece no! Le beatitudini non saranno mai conformi alla logica del mondo.AUTOBIOGRAFIA
CONGREGAZIONE storia
PAROLA DI DIO Vangelo
DIO stile di...
CONGREGAZIONE missione
CONGREGAZIONE carisma
APOSTOLO testimonianza
“Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Salmo 133,1).
Don Ottorino ricorda una frase ricorrente nei testi di ascetica: “La vita comune è il più grande martirio”.
L’espressione latina, che don Ottorino ripete con una certa insistenza, significa “senza annotazioni”, cioè il messaggio evangelico deve essere accolto integralmente, senza tentativi per annacquarlo.
MI339,14 [25/27-12-1970]
14. Mi sembra che, e lo si capisce chiaramente, se un membro della Congregazione lo accetta è in paradiso: «O quam bonum et suave vivere fratres in unum!» ; se non lo accetta: «Vita communis maximum martyrium» . Infatti, se accetta il cristianesimo abbiamo allora un santo come un Giovanni, un Andrea, un Tommaso; se non lo accetta abbiamo un Giuda che si ribella. È un boccone duro accettare il Vangelo com'è, però rende felici nell'altra vita e anche in questa, dà il centuplo in questa vita e poi la vita eterna; ma bisogna accettarlo, come direbbe San Gaetano, «sine glossa» , frase ripetuta poi da don Calabria e da tanti altri santi. Il Vangelo va preso «sine glossa». Se volete riassunte in poche parole le linee fondamentali della Congregazione sono queste e non c'è altro. Un'apertura anche esterna, che sia contro il Vangelo o contro lo spirito di mortificazione, è una deviazione. «Trent'anni di cammino cosparso di segni». Durante questi trent’anni abbiamo camminato insieme anche se voi non c'eravate, perché - ricordatevelo bene - trent'anni fa voi eravate tutti presenti nel cuore di Dio a nome mio e, senza nome, anche nel mio cuore, perché ho cominciato a pregare fin da allora ogni giorno per ciascuno di voi, globalmente, per tutti i membri di questa Famiglia che il Signore stava per costituire. Perciò in questi trent'anni abbiamo seguito la parola del vescovo che prendiamo come parola ispirata da Dio: «Camminate su quella strada e non vi mancherà il necessario». E qui vorrei veramente che celebrassimo, che proprio cantassimo le glorie del Signore. Infatti perché dobbiamo commuoverci se una persona amica ci manda una bottiglia o un dolce o un pezzo di mandorlato, e non dobbiamo commuoverci considerando tutto quello che Dio ha fatto in questo tempo per noi? Una moltiplicazione di pani viene descritta nel Vangelo, e dopo duemila anni si predica ancora per il mondo questo miracolo meraviglioso, questo pane moltiplicato. Così anche noi, servendoci di fatti, se non vi dispiace, ricordiamo i doni del Signore. Fate conto che io faccia una meditazione a voce alta; se, poi, voi avete qualche cosa che vi viene alla mente, che ricordate di avere visto o sentito, aggiungetela liberamente. a) I segni collettivi materiali Prima di tutto ricordiamo i segni collettivi datici da Dio. Il Signore ha dato dei segni, e tra quelli collettivi ce ne sono alcuni materiali e altri spirituali. Guardiamo un po' a quelli materiali. Non intendo ora fare una lista completa, ma li coglierò come fior da fiore.CONGREGAZIONE appartenenza
PAROLA DI DIO Vangelo
CONGREGAZIONE fondatore
L’incontro con il vescovo Rodolfi, al quale don Ottorino allude, avvenne verso la metà di maggio 1941, come lui stesso scrive nel suo diario spirituale (cfr. Diari e testamenti, pag. 111).
Lanza era un negozio di ferramenta a Vicenza, dove i giovani della Casa dell’Immacolata acquistavano merce a credito con le autorizzazioni firmate dal diac. Vinicio Picco, che all’epoca era il responsabile del laboratorio di meccanica e consigliere generale.
Il signor Agostino Biagi (1889-1953), padre di mons. Luciano Biagi molto legato a don Ottorino e all’epoca parroco della parrocchia cittadina di Santo Stefano, abitava nella parrocchia di Araceli: era un uomo semplice, buono e generoso, e anche un bravo meccanico.
Don Giuseppe Molon, sacerdote diocesano di Vicenza, fin dall’inizio dell’Opera fu accanto a don Ottorino con la sua inesauribile generosità, e all’epoca aveva regalato alla Casa dell’Immacolata un pulmino Fiat 850 di seconda mano.
Don Ottorino ricorda l’eroico inizio dell’Opera nel sottopalco del teatro parrocchiale di Araceli, dove con poveri mezzi iniziò il primo laboratorio per i ragazzi.
A Costozza di Longare (VI) c’era all’epoca un istituto per ragazzi dell’Opera Buoni Fanciulli di don Giovanni Calabria, con sacerdoti e fratelli della Congregazione, e con annesse scuole professionali. Don Ottorino già negli anni precedenti la consacrazione sacerdotale aveva cominciato a tenere corsi di esercizi spirituali per ragazzi di Azione Cattolica.
Nel testo registrato c’è a questo punto una breve interruzione.
MI339,15 [25/27-12-1970]
15. Non so se abbiate mai provato a trovarvi da soli in una strada lontana lontana, senza acqua e senza pane e senza soldi in tasca. L'inizio della Congregazione è stato qualcosa del genere: saltare giù dalla finestra e cominciare a venticinque anni, cominciare senza sapere da dove cominciare, con quali mezzi e con quali persone, con il solo permesso del vescovo: «Quando vuoi, comincia. Resta nella canonica di Araceli fino a quando vuoi, e puoi andartene quando vorrai» . Adesso un pezzo di pane lo si troverebbe fra gli amici, ma trent'anni fa si trattava anche della mancanza del pane, oltre che del resto. Il primo impatto l'ho avuto con un fatto che mi ha colpito e mi ha scosso, dopo aver incominciato sotto il palco del teatro, con la cassetta dei ferri. Voi, adesso, se vi occorre qualche cosa, andate da Vinicio, il quale fa un buono e andate da Lanza, ma allora non c'erano i soldi per andare da Lanza. Ricordo che il papà di don Luciano Biagi, che attualmente è il parroco di Santo Stefano, un vigile del fuoco in pensione, aveva una cassettina di ferri, ed essendo ormai anziano, me l'ha portata sotto il palco dicendomi: «Ho sentito che sta preparando questi ragazzi ad un lavoro, perciò ho portato alcuni attrezzi con la speranza che le possano servire». Ricordo che dentro c’erano un martello, qualche lima, un vecchio scalpello, tutto materiale che per noi era più prezioso del pulmino di don Giuseppe Molon : era avere qualche cosa quando in tasca non si aveva niente; avere un martello voleva dire avere qualche cosa. Se siamo ricorsi alle pietre del cimitero, che erano ammucchiate da una parte, era perché non avevamo i soldi per comperare i mattoni; se abbiamo usato due vecchie porte era perché non avevamo i soldi per comperare delle tavole come banco da lavoro. Allora era così. Ricordo di essermi recato a Costozza, dove mi conoscevano per esserci andato due o tre volte per fare qualche corso di esercizi spirituali con gli aspiranti di Azione Cattolica. Raccontai l’incontro che avevo avuto con don Giovanni Calabria, e allora uno dei fratelli mi disse: «Se vuole, io ho un bilanciere che le posso donare». A me il bilanciere interessava per raddrizzare le lamiere, perché con i ragazzi tagliavamo le lamiere con lo scalpello e il martello e poi bisognava raddrizzarle. Per questo un bilanciere mi sarebbe stato utile, però... il fratello aggiunse: «È un bilanciere, e io glielo regalo, ma è rotto al di sotto». Voi capite che un bilanciere rotto al di sotto non vale più niente, perché tutta la pressione la esercita sotto e sopra. I nostri meccanici lo sanno, perché se si deve saldare non riesce bene. Ma il fratello continuò: «Saldarlo è un problema, però in stradella del Gas c'è un meccanico che salda bene e può fare questa saldatura; certo non sarà un bilanciere come prima, ma per raddrizzare le lamiere può servire». Ricordo che quei religiosi di Costozza si sono incaricati di portarmelo a casa, e io l'ho trasportato con un carrettino a mano in stradella del Gas.ESEMPI Congregazione
AUTOBIOGRAFIA Araceli
PROVVIDENZA benefattori
MI339,16 [25/27-12-1970]
16. Mancavano i soldi a quel tempo, non c’era disponibilità di denaro, per cui la spesa per la saldatura costituiva una somma non indifferente. Qualche giorno dopo mi mandarono a dire che il bilanciere era pronto e che potevo mandarlo a ritirare. Ne avevamo assoluto bisogno, anche per far lavorare i ragazzi, perché il problema era che cosa far fare ai ragazzi e il bilanciere era necessario. Ma dove potevo trovare i soldi? Come potevo ritirare il bilanciere e dire che avrei portato i soldi in un secondo momento? I soldi non li avevo perché in tasca avrò avuto cinque o sei lire ed erano tutta la mia sostanza. Il secondo o il terzo giorno mi mandarono a dire un'altra volta che andassi a ritirarlo perché era pronto; in realtà prima avevo dato urgenza perché lo riparassero, ma adesso non avevo più l'urgenza di ritirarlo. Ricordo che proprio quel giorno, mentre stavo tornando verso Araceli e mi trovavo un po' più avanti del seminario, incontrai l'avv. Giuliari, il papà di Francesco, che mi disse: «Oh, don Ottorino! L'altro giorno lei ha celebrato una Messa per Francesco. Prenda l'offerta». Estrasse il suo biglietto da visita, vi scrisse «Lire cento» e me lo consegnò, soggiungendo: «L'avevo preparato per darglielo», e mi diede cento lire. Aveva anzi già preparato il biglietto, sul quale aveva scritto «Lire cento»; l'aveva scritto a casa e messo in qualche angolo. Non feci altro che continuare il viaggio e portare le cento lire al saldatore del bilanciere, e poi mandai un ragazzo a prelevarlo.AUTOBIOGRAFIA Araceli
PROVVIDENZA benefattori
PROVVIDENZA episodi di...
Le sorelle Anna e Giannina Pastorio, proprietarie di una tipografia in città e zie di una insegnante presso il semiconvitto Ferdinando Rodolfi, conoscevano don Ottorino perché ancora chierico andava nella loro tipografia per correggere bozze di stampa.
Nel testo registrato don Ottorino aggiunge a questo punto, alludendo a Daniele Galvan: “No Daniele”.
Il riferimento è a Danilo Gasparotto, che all’epoca era ancora assistente nella Comunità dell’Istituto San Gaetano, ove era responsabile della tipografia e infermiere.
MI339,17 [25/27-12-1970]
17. Scusate, mi è venuto alla mente un altro fatto; lo rievochiamo subito. Qualche giorno dopo le signorine Pastorio, le zie della signora Pastorio che insegna nella scuola Rodolfi, le quali avevano una modesta tipografia agli inizi della salita di Santa Corona, un po' all'interno, mi mandarono a chiamare e mi dissero: «Abbiamo sentito che lei ha cominciato a lavorare con alcuni ragazzi. Noi possiamo darle un paio di cassette di caratteri e una macchinetta, e così potrebbe fare un po' di esercizio con i ragazzi», e mi regalarono due cassette di caratteri e una piccola macchina. Tenete presente che io sapevo solamente che cos'era un duplicatore, un ciclostile, ma di quel tempo, non di adesso. E ci siamo messi a fare i tipografi, dopo aver portato a casa la macchinetta. Passato un po' di tempo, e poiché l'appetito viene mangiando, dopo che i ragazzi avevano cominciato a fare un po' di composizione e a stampare qualche cosa con l'aiuto di alcuni giovanotti di Azione Cattolica che venivano ad aiutarmi, mi comunicarono che a Vicenza c'era un bravo uomo, un certo Galvan , che vendeva macchine vecchie. Andai da lui e subito mi disse: «Avrei una macchinetta che fa proprio per il suo caso: è una Boston». La Boston era una macchina con un piatto che si appoggiava su un tavolo; immaginate una pedalina alta, munita di un manico che si girava a mano, e così si poteva stampare un foglio. Era una vera e propria pedalina, che poggiava su un tavolo invece di avere un piedistallo fino a terra; non era azionata a motore, ma a mano. «Quanto vuole?», gli ho chiesto. «Queste sono macchine ricercate», mi rispose. Voi non sapete chi era Galvan, ma potete chiederlo a Danilo ; adesso è morto, poveretto, e non si può dirne male. Beh, me l'ha data per cinquecento lire. «Senta, - soggiunsi - me la darebbe anche se gliela pagassi entro una settimana?». «Oh, sì, sì! La porti via pure». E me la sono portata a casa. Voi non avete l'idea che cosa vuol dire andare a letto la prima sera con il pensiero di dover pagare cinquecento lire dopo una settimana e non aver soldi. È stata la prima volta che io ho contratto un debito. Anche prima c'erano i debiti in casa, ma c'era il papà, c'era la famiglia, era tutta un'altra cosa, mentre ora il debito l'avevo contratto io e mi ero impegnato a pagarlo. Vi assicuro che durante la notte ho dormito molto poco. Fa impressione pensare: io devo pagare quel debito. Neppure il bilanciere avevo pagato, ma nemmeno l’avevo ritirato, mentre adesso mi ero impegnato a pagare cinquecento lire entro una settimana.PROVVIDENZA episodi di...
AUTOBIOGRAFIA Araceli
Mons. Ernesto Dalla Libera, noto in tutta Italia per la sua opera di rinnovamento e animazione della musica sacra, insegnava nel seminario diocesano e viveva con una sorella nella parrocchia di Araceli, dove ogni mattino celebrava la Santa Messa.
Mons. Mario Cola nel 1941 era professore di lettere nel seminario diocesano, e in seguito fu arciprete di Montebello Vicentino (VI) dal 1953 al 1978.
L’espressione scherzosa era il grido dei soldati che si lanciavano in combattimento, al tempo della monarchia dei Savoia in Italia.
MI339,18 [25/27-12-1970]
18. La mattina seguente andai a celebrare la Messa. Mentre avevo l'ostia consacrata in mano dissi al Signore: «Signore, non voglio continuare a chiederti miracoli, ma mettiti adesso nelle mie condizioni e vivere una settimana con questo problema sullo stomaco». Mi sembrava che il Signore mi dicesse: «Ma, ehi, e la fede?». «Fede, sì, ma mettiti tu, Signore, in questa mia condizione, e devo poi andare con i ragazzi, interessarmi di una parrocchia con seimilacinquecento anime dove sono cappellano unico, e poi seguire gli ammalati, l'Azione Cattolica e tutto il resto; aggiungi i ragazzi che ho raccolto sotto il palco, e adesso le cinquecento lire di debito sullo stomaco. Ti chiedo, per piacere, Signore: per questa volta dimmi di sì, suvvia, combinami presto». Ritornai in sacrestia e cominciai a togliermi i sacri paramenti. Inginocchiato da una parte c'era mons. Dalla Libera che stava preparandosi per la Messa che doveva celebrare dopo di me e mi disse: «Don Ottorino, passa per il seminario dal prof. Cola , il quale ieri sera mi ha detto che è morto don Giuseppe Mozzato, cappellano del ricovero di San Pietro, e ha lasciato mille lire: cinquecento le ha già date ad un'opera religiosa - non so se mi ha fatto il nome delle Poverelle - e cinquecento le ha assegnate a te per l'opera che hai incominciato sotto il palco». Adesso mettetevi voi nei miei panni: dopo aver celebrato la Messa, aver trattato così con il Signore, immediatamente, con i paramenti ancora indosso, sentirsi dire di passare in seminario a ritirare le cinquecento lire. Mi recai in seminario e incontrai don Mario Cola che mi disse subito: «Senti...», e mi consegnò le cinquecento lire. Corsi in fretta da Galvan per consegnargliele. «Eh, aveva tempo, aveva tempo!». «No, - gli risposi - perché può darsi che ne abbia bisogno qualche altra volta, e che allora diventino quindici i giorni d’attesa. Stavolta ho avuto i soldi subito». «Ma sì, quando ha bisogno venga qui...». Amici miei, adesso siamo insieme, siamo in tanti, ma allora ero solo, ero solo, con una missione un miliardo di volte più grande di me, con una tremarella che voi non potete immaginare e con un ordine perentorio e preciso datomi da don Giovanni Calabria: «Ho detto che è Dio, non tu, ad agire. Tu preparati a soffrire». Congratulazioni! Avanti Savoia!PREGHIERA
AUTOBIOGRAFIA
Il trasferimento dal sottopalco di Araceli alla prima casetta di stradella Mora avvenne nel dicembre 1941, cioè a soli sei mesi dall’inizio.
Il riferimento è a un industriale vicentino del campo tessile, specialmente sul settore della seta.
Nel testo originale don Ottorino a questo punto scherzosamente aggiunge: “Posso dire che era un ebreo? Beh, insomma, ci capiamo in quale senso”.
MI339,19 [25/27-12-1970]
19. Ho detto in precedenza che avremmo toccato ora questo, ora quell'argomento. Abbiamo parlato di Galvan, e ricordo un altro episodio, avvenuto però dopo un po' di tempo, quando eravamo già entrati nella prima casetta. Poi torneremo indietro; abbiate pazienza. Ci eravamo già sistemati da un po' di tempo nella prima casetta, quando si presentò un giorno Galvan dicendomi: « Senta, dato che avete incominciato... - io ero già andato a comperare da lui un pezzo di macchina, dei caratteri ed altro materiale - Mi è capitata un'ottima occasione: ho prelevato una tipografia che ha fatto fallimento e ci sarebbe una macchina meravigliosa, una bella macchina. Gliela do così com'è, a suo rischio e pericolo. Io non l'ho neanche montata. È arrivata in stazione, l'ho scaricata, ed è ancora là. Mi hanno detto che non ci manca neanche una vite. Trentamila lire! Se la vuole, così com'è, ma a rischio e pericolo suo. A me hanno dato l'assicurazione che è a posto. Se l'acquista, le mando un uomo che l'aiuti a montarla, che le dia una mano. Le assicuro che è una buona macchina». Mi sono riservato qualche giorno di attesa prima di dargli la risposta. Il giorno dopo, almeno mi sembra, venne a visitarci il signor Bocchese, il famoso industriale della seta. Entrò e mi disse: «Ho sentito che avete cominciato a lavorare con i ragazzi. Che cosa volete fare: una tipografia?». Lui era un industriale, e tenete presente che era ormai passato un certo periodo di tempo e che avevamo già le macchine del laboratorio acquistate con le famose sessantacinquemila lire. «Volete sviluppare... La tipografia bisogna svilupparla di più... Voglio darvi lavoro anch'io». «Adesso - gli risposi - ho la proposta di una macchina. Ci sarebbe una macchina offertami ieri da Galvan, per la quale chiede trentamila lire». «La prenda, la prenda! Trentamila lire gliele do io». In conclusione mi ha dato le trentamila lire necessarie. Ricevere le trentamila lire è stata per me la firma che la macchina sarebbe stata senza dubbio efficiente, altrimenti il Signore non avrebbe mandato i soldi. Abbiamo montato la macchina. Galvan , non appena la vide funzionare, mi disse: «Senta, le do centocinquantamila lire se me la ridà». Credeva che fosse un rottame di macchina e invece era una macchina che funzionava e stampava molto bene, di tipo vecchio naturalmente, a mano, tutto quel che volete, però... mi ha offerto centocinquantamila lire pochi giorni dopo che era stata montata. Tenete inoltre presente che eravamo nel tempo in cui con sessantacinquemila lire potevate comperare le macchine, ricordatevelo bene! Forse era passato un po' di tempo, ma non tanto. Il denaro stava leggermente scivolando.AUTOBIOGRAFIA Araceli
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In stradella Mora, che nel 1941 era una viuzza nella periferia della città che si inoltrava tra i campi coltivati e terreni paludosi, c’erano in realtà anche altre case come quella della famiglia Vidale e una in mezzo alla palude.
Don Ottorino si riferisce alla casa del signor Liani, circondata da 2000 mq. di terreno.
Il cav. Danilo Barban era all’epoca un amico e un benefattore della Congregazione, mentre Genoveffa Bolinetti era una anziana che stava per donare la sua casa ed entrare come ospite in Casa San Giovanni.
MI339,20 [25/27-12-1970]
20. Ricordiamo qualche altro fatto che voi conoscete molto bene: ad esempio, quello della prima casa e del primo pezzetto di terra. Una volta in stradella Mora c'era la casa attualmente abitata da Liani, quella che si trova quasi di fronte all'Istituto San Gaetano; poi ce n'era un'altra, quella di Carraro, abitata poi da un fiorista e in seguito acquistata e demolita da noi e, ultima in fondo, la casa di Chimetto: solo tre case. Andai dal padrone e lui mi chiese centomila lire per l'acquisto della casa e dei duemila metri quadrati di terreno. Duemila metri quadrati erano pochi, perché non si sarebbe potuto nemmeno far giocare i ragazzi, ma, amici, passare dal sottopalco a una casa con duemila metri quadrati di terreno, in tempo di guerra, sarebbe già stato un grande salto. Pensate ad uno che non ha neanche i pantaloni e arriva a possedere anche il mantello. In quel momento per me sarebbe stata una ricchezza. Vorrei sottolineare tutti i particolari dell'intervento della mano di Dio. Se noi avessimo acquistato subito quella casetta, l'affare sarebbe stato un disastro, perché non ci sarebbe stata la possibilità di allargarci all'intorno, e poi era una casetta costruita per una famiglia e si sarebbe dovuto, in seguito, demolirla e acquistare un altro pezzo di terreno in altra parte. Avevo cercato altre case in varie zone della città, ma sono state tutte bombardate: tre case, tre bombe! Avevamo indovinato proprio male. Tralasciamo quei particolari. Io ormai avevo fissato la testa proprio lì. Un paio di volte sono anche andato da don Giovanni Calabria per chiedere consiglio. «Che cosa ne dice?». «Vedi tu, cerca tu, arrangiati! È inutile cercare che il Signore ti dia il disegno della casa e anche te la faccia...». Tutta la parte umana ci è voluta, insomma! Mia mamma continuava a dire: «Chissà che el Signore ti apra una strada; così va a finire che mi morirai, figlio mio!», perché, invece di andare a riposare durante il pomeriggio, dedicavo il tempo dalle tredici alle quindici, mentre dopo ero occupato nell'oratorio e non potevo più muovermi, in cerca dell'ambiente. Sono andato anche nelle vicinanze di Monte Berico presso le scalette, perché don Giovanni Calabria mi aveva suggerito: «Cerca una casa accanto ad una chiesa vecchia da riaprire al culto», perché lui aveva cominciato con una chiesa vecchia a San Zeno in Monte. E c'era allora anche là una chiesa vecchia, vicino alla Madonna del Porto, oltre il cotonificio Rossi: ho dato un'occhiata all'intorno, ma era pochissimo il terreno libero. Ho tentato di acquistare la casa accanto alla chiesetta, senza neanche un centesimo in tasca, con la stessa sicurezza con cui andavo a comprare una macchina. Andavo in cerca, ho tentato e mi hanno risposto di no. Io, però, pensavo di comprare non solo la chiesetta, che costava poco, ma tutta la casa retrostante e il cortile interno. Poi ho cercato a Sant'Antonino, lungo la strada della circonvallazione, perché mi avevano detto che lì c'era del terreno. Stavo per trattare due o tre campi e combinarne il prezzo, quando ad un dato momento una persona mi disse: «Stia attento, perché è prevista dal piano regolatore la costruzione di una strada». Sarebbe stato per noi un disastro. Basta, sarebbe stato rovinato tutto. Allora abbiamo cercato in via Riello, dove ora abita il cav. Barban, proprio dove la strada fa una curva versa la casa della Genoveffa. Ricordo che quando vi sono tornato un giorno, subito dopo il bombardamento, ho raccolto le parti dei corpi dilaniati sparse qua e là, e la casa era tutta saltata per aria. In conclusione avevo fissa la testa in stradella Mora perché una persona mi aveva detto: «C'è un tizio che lì ha una casetta e forse la vende».AUTOBIOGRAFIA
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AUTOBIOGRAFIA famiglia
Don Ottorino usa una battuta scherzosa riferendosi alla necessità di mantenere attento l’uditorio.
Don Ottorino chiede consiglio all’avv. Giovanni Giuliari, che era il padre di Francesco, e al comm. Mario Volpi, titolare di una piccola azienda: entrambi conoscevano e stimavano molto don Ottorino.
Le funzioni dei ragazzi consistevano in una breve spiegazione catechistica seguita dalla benedizione eucaristica nel pomeriggio della domenica.
La casa di Zuccolo è situata verso la fine di viale Astichello andando dalla stradella Mora verso il centro della città
MI339,21 [25/27-12-1970]
21. Ora vi racconto un particolare perché bisogna sostenere un po' il morale della truppa. Ho cercato il proprietario della casa della stradella Mora, il quale ora diceva di vendermela, ora no: era partito con una richiesta di quarantamila lire, poi era salito a cinquantamila e infine a centomila, per concludere che non me l'avrebbe più venduta. Un giorno incontrai all'A.C.I. un giovane che mi chiese: «Allora, la compera la casetta della stradella Mora?». Notate che i proprietari della casa erano dell'Italia meridionale. «Taccia, per favore! - gli risposi - È un napoletano il proprietario!». Senza saperlo, stavo parlando con il figlio del napoletano. «È mio padre!». «Beh, scusi allora». «Eh, ma mio papà è così». Il fatto sta che quel napoletano aveva innalzato la cifra da quarantamila a centomila lire. Una domenica, quando mi pareva che tutto fosse disponibile e i tempi maturi, mi consigliai con l'avv. Giuliari e il comm. Mario Volpi, perché alcune persone mi sconsigliavano l'acquisto in stradella Mora perché il posto era troppo in campagna, troppo lontano dalla città, fuori di mano. E allora, dopo le funzioni dei ragazzi, l'avv. Giuliari, il comm. Volpi e il sottoscritto ci siamo diretti a piedi da Araceli verso la stradella Mora per dare un'occhiata alla strada, alla casa , al posto, e ricordo che l'avvocato Giuliari disse: «Insomma... il posto sarebbe buono; sì, certo, è un po' fuori di mano, ma con il tempo la città si svilupperà ». Quando, nel ritorno, siamo arrivati davanti a Zuccolo , il comm. Volpi mi chiese: «Lei, che con tanta sicurezza tratta di comprare, di quanti soldi dispone?». Gli risposi: «Commendatore, vuole proprio saperlo?». «Eh, sì, me lo dica con sincerità; siamo amici». «Trecento lire di debito», gli risposi. Si sono messi a ridere come matti l'uno e l'altro. Allora io ripresi: «Avvocato, non c'è da ridere. Proprio lei si mette a ridere? Quando a suo figlio Francesco ho chiesto di conoscere la volontà di Dio, ho domandato di fare quello che vuole il Signore, non quello che voglio io. Ora qui si tratta solo di vedere se questa è la volontà di Dio o no; dopo penserà il Signore. Io ci metto la mia parte, il Signore mi ha detto di andare a cercare il posto, e dopo mi dirà dove andare a cercare anche i soldi».AUTOBIOGRAFIA
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L’espressione è evidentemente scherzosa perché si trattava di una semplice stanzetta poveramente attrezzata per il lavoro dei ragazzi.
Giovanni Chimetto aveva la casa in stradella Mora ed era proprietario di un grande appezzamento di terreno.
MI339,22 [25/27-12-1970]
22. E camminando e parlando siamo arrivati alla casa di Giuliari, che si trovava subito dopo il seminario, dove ora si vede il portone di un garage per le macchine, e che è proprietà del seminario. Siamo entrati, ci siamo messi nel tinello e abbiamo cominciato a conversare su quello che volevo fare e come lo volevo fare. Prima eravamo andati nel sottopalco per vedere i grandi laboratori. Abbiamo continuato a conversare e, a un dato momento, il comm. Volpi mi disse: «Incominci pure, tratti pure: le centomila lire gliele do io». Non so se voi avete mai provato queste esperienze: dapprima le cento lire dell'avvocato Giuliari, poi le cinquecento lire per la macchina tipografica e ora queste. È stato il terzo colpo veramente forte. Passare da cento a cinquecento lire era stato un trauma, ma adesso passare dalle cinquecento alle centomila fu addirittura un colpo da paralisi cardiaca. Cari miei, quella sera sono andato in chiesa così volentieri, la mattina seguente ho celebrato la Messa così di gusto e ho pregato la Madonna tanto volentieri. Vi rendete conto che cosa vuol dire avere una casa? Pensate a due futuri sposi, che stanno preparandosi per il matrimonio, e che passasse un signore e dicesse loro: «Vi regalo la casa e tutto quanto vi occorre». Io stavo per mettere al mondo qualche cosa, ma... dove mettermi, in che posto mettermi, che cosa fare? Ed ecco che trovo improvvisamente il posto, la terra, la casa. Sennonché il giorno seguente, presentatomi glorioso e trionfante dal proprietario del terreno, mi sentii dire: «Non vendo più, non vendo più». Non voleva più vendere. Per me fu un altro colpo, e avevo paura di perdere le centomila lire. Allora mi recai da Chimetto - ormai mi ero innamorato di quel luogo - e gli chiesi: «Senta, non potrebbe lei vendermi un pezzo di terra? C'è una persona che mi pagherebbe la casetta; se lei mi vendesse un pezzettino di terra verso la strada io potrei costruire la casa». Infatti mi ero fissato sui tremila metri di terra e credevo di farcela con le centomila lire.AUTOBIOGRAFIA Araceli
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CONGREGAZIONE fondatore
Il terreno, sul quale sorge ora l’Istituto San Gaetano, venne venduto da Clementina Chimetto al comm. Mario Volpi in data 17.1.1942 con atto n. 4363 del notaio Giuseppe Zampieri, e donato poi dal comm. Volpi a don Ottorino il 1.12.1951 con atto n. 8062 dello stesso notaio Zampieri.
MI339,23 [25/27-12-1970]
23. Sono andato dal comm. Volpi e gli ho detto: «Commendatore, saremmo disposti a fare così: Chimetto mi darebbe la terra e la casa potrebbe essere costruita su quel terreno con centomila lire...». «Sì sì, faccia lei, combini senz'altro, conti sulle centomila lire». Ritornai allora da Chimetto e abbiamo combinato l’acquisto. Il geometra Beltrame, che è il padrino di Chimetto, venne con i picchetti per tracciare i limiti, allorché Chimetto, arrivato in ritardo, mi disse: «No, non vendo più la terra». «Ma senti, figlioccio, non avevi detto che avresti venduto?». «Ci ho ripensato, ne ho parlato con mia sorella... non vendo più». «Abbiamo già combinato tutto, tutto è già tracciato...». Intanto Beniamino, il figlioletto di Chimetto, si avvicinò ai picchetti piantati, ne toccò uno e lo rovesciò a terra. Beltrame gli affibiò uno scappellotto. Il padre intervenne: «Vieni qui, caro tesoro, e lei, padrino, si vergogni!» E cominciarono a bisticciare. E intanto io sentivo che la mia casa crollava per la seconda volta. Ad un dato momento Chimetto lanciò una proposta: «Senta, se vuole acquistare tutti i sei campi...». «Ma scherza? - gli risposi - Sei campi? E che ne faccio?». «O tutti sei o niente! Le faccio un prezzo buono; ne ho già parlato con mia sorella. Novantamila lire per tutti quanti: quindicimila al campo». «Mi faccia una carità! Che ne faccio di sei campi?». «O tutto o niente. Ci abbiamo riflettuto. Se lei vuole acquistare i sei campi... altrimenti niente». Vi dico la verità, io ero avvilito e senza forze. «Mi sappia dire qualcosa: se accetta così o niente». Chimetto lasciò lì tutto e se ne andò con i suoi figliuoli, Beltrame raccolse i suoi picchetti ed io, con la mia bicicletta, mogio mogio, me ne tornai a casa. A mia disposizione c'erano ancora le centomila lire: potevo acquistare i sei campi con novantamila lire, ma dopo, chi mi avrebbe costruito la casa? Il giorno seguente ritornai dal comm. Volpi per esporgli la situazione. «Beh, senta: compriamo tutto!» mi rispose. «E la casa? ». «Vorrà dire che le darò duecentomila lire». Pensate un pochino: se avessimo comperato i tremila metri di terra, a quanto avremmo dovuto pagare poi il terreno restante? Che cosa avremmo potuto fare l'anno seguente, quando il denaro cominciava a non valere più niente? Chimetto mi ha ripetuto più volte: «Quelle novantamila lire depositate in banca vi sono rimaste tutto il tempo della guerra e alla fine non valevano più niente. L'unica consolazione è di aver fatto un'opera buona. Se i campi li avessimo venduti ad un altro, saremmo già morti di disperazione».AUTOBIOGRAFIA Araceli
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Il marchese Antonio Roi, benefattore dell’Istituto nei primi difficilissimi anni, possedeva un canapificio a Cavazzale, a pochi chilometri da Vicenza.
Nei primi anni dell’Opera, quando i ragazzi orfani erano ancora pochi e vivevano nella prima casetta, i genitori di don Ottorino vivevano insieme: mamma Clorinda si dedicava alla cucina e al guardaroba, e papà Giuseppe all’orto.
MI339,24 [25/27-12-1970]
24. In mezzo a questi fatti se ne potrebbero mettere tanti altri, cogliendoli così, come fior da fiore, ad esempio quello delle famose lenzuola. Dunque, quando ho incominciato a dar da dormire ai ragazzi, che erano otto o nove interni, li ho messi in una stanza piccola come questa e disposti in tutti i modi e in tutti i sensi. Mia mamma aveva tre lenzuola perché le altre le aveva tutte ritagliate; le lavava una per volta... eravamo in tempo di guerra. Io avevo parecchie lenzuola, che una mia zia della Francia mi aveva regalato: dieci o dodici. Un tempo nelle canoniche facevano il bucato una o due volte all'anno e non avevano le lavatrici, per cui era necessario avere molta biancheria buona, che servisse anche per un domani. E io avevo dato le mie lenzuola a questi ragazzi. Ricordo che una sera, verso le nove, giunse in casa un ragazzetto che mi disse piangendo: «Sono venuto qui, mi tenga qui. Mia mamma vuole più bene al cane che a me: è sempre ubriaca”. Si mise a piangere e voleva rimanere con noi. Che fare? Lo condussi dentro. «Mamma, ne è arrivato un altro, - le ho detto - ne è arrivato un altro!». «Benedetto figliolo, dove lo possiamo mettere a dormire?». «Mettilo sul mio letto!». La mamma si mise a ridere dicendo: «Non ho neppure un lenzuolo». «Beh, per le lenzuola! In qualche modo il Signore provvederà. Intanto dagli da mangiare... poi in qualche angolo lo metteremo». Nella casa c’era un piccolo corridoio, e la cucina sulla sinistra. Io stavo per uscire, e quando giunsi alla porta vidi arrivare una carrozza. Il cocchiere scese e mi disse: «Mi ha inviato il marchese Roi, perché le consegni questo pacco di lenzuola». Il cocchiere veniva dal canapificio di Cavazzale e ritornava ogni sera in città; passando di lì mi aveva portato il pacco: dieci lenzuola nuove! Rientrai in casa con il pacco e dissi: «Mamma, hai detto che mancano le lenzuola?». «Sì, non ne abbiamo neppure uno». «Beh, sono andato a prenderne alcune paia». Mi pare ancora di vedere le lacrime di mia mamma e sentire le sue parole: «E poi dicono che non c’è la provvidenza, la provvidenza!», e guardava il pacco di lenzuola nuove. Mio padre, quando vedeva queste cose, restava in silenzio. Gli uomini, sapete, si comportano diversamente.AUTOBIOGRAFIA Araceli
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Rione della periferia della città, a un solo chilometro dall’Istituto San Gaetano.
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25. Una sera giunse in casa una vecchietta di Saviabona che mi disse: «Don Ottorino, le ho portato qualcosina; poca cosa, sa, perché non posso di più», e mi consegnò cento lire aggiungendo: «Per i ragazzi che sono qui». Io sapevo che era una donna povera. «Mi dica la verità: come ha fatto a mettere insieme questi soldi?». «Beh, non importa». «Mi dica la verità: ha mangiato oggi?». «No!». «A mezzogiorno?». «No!». «Stasera?». «No!». «Stamattina?». «No!» e soggiunse: «Se la carità non costa un po' di sacrificio, che cosa vale?». Aveva preso con sé quel denaro - era infatti molto povera - che le doveva servire per l'acquisto del pane e me lo aveva portato per i ragazzi. E allora volevo lasciarglielo. «Neanche per sogno!», mi rispose. Allora lo accettai e la condussi in cucina da mia mamma perché le preparasse qualcosa da mangiare. Vi confesso che questi segni, capite chiaramente, valgono più delle centomila lire offerte per la costruzione della casa. Quando si vede una vecchietta che viene e porta la sua generosa offerta... è denaro che scotta nelle mani!AUTOBIOGRAFIA Araceli
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Durante la guerra 1940-1945 i viveri erano razionati e per acquistarli era necessario un “buono” rilasciato dalla Camera di Commercio.
Il ragioniere Girolamo Pietrobelli fu sempre amico e collaboratore di don Ottorino, tanto che in seguito venne all’Istituto San Gaetano come maestro di lavoro, generoso e affezionato.
Mariano Bazzan fu il primo assistente accanto a don Ottorino nei primi anni dell’Opera. In seguito formò la sua famiglia e divenne impiegato di banca, rimanendo sempre legato all’Istituto, ricoprendo per anni la carica di presidente degli ex allievi.
Mons. Francesco Snichelotto (1877-1960) era all’epoca il vicario generale della diocesi. Uomo di una cultura eccezionale, fu insegnante per molti anni nel seminario diocesano e lasciò un esempio eccezionale di pietà, sapienza e semplicità.
A Grumolo delle Abbadesse (VI), a circa 10 chilometri dalla città, il barone Carlo Rossi possedeva un podere di quaranta campi con casa colonica che donò all’Istituto. Per alcuni anni vi furono ospitati ragazzi orfani o per apprendere una professione o per lavorare la terra. Vi risiedette anche mamma Clorinda, la mamma di don Ottorino, fino alla morte avvenuta il 2 aprile 1955.
MI339,26 [25/27-12-1970]
26. Procurarsi da mangiare durante la guerra era difficile anche avendo denaro, e quando non c'era denaro era ancora più difficile, e allora andavo a chiedere la carità alla Camera di Commercio per ottenere qualche buono straordinario; il ragioniere Pietrobelli, che vi era impiegato, ne sa qualcosa. Allora si ricorreva al dott. Cazzola che era il direttore: «Dottore, ha avanzato qualche cosa?». Un giorno mi aveva consegnato un buono per mezzo quintale di fagioli, secchi s’intende, stravecchi. Ritornai a casa trionfante: polenta e succo di fagioli durante la guerra era un pranzo da nozze. Figlioli, a quel tempo si soffriva la fame! Mia mamma mi disse: «Ottorino, hai quel buono per i fagioli. Per piacere, va’ a prenderli prima di mezzogiorno in modo che questa sera li metto in ammollo, perché domani non c’è nulla da mangiare». «Sì, mamma», le avevo risposto... ma al Consorzio i fagioli bisognava pagarli in contanti. Verso le undici mia mamma venne un'altra volta. Io mi trovavo in officina con i ragazzi perché dovevo fare da maestro di lavoro e provvedere a tutto. Come aiutante c'era con me Mariano Bazzan, che aveva allora diciassette anni, ed era necessario tenerlo d'occhio tre volte. Pensate che era un ragazzo di soli diciassette anni, e tuttavia mi dava una mano. Ricordo che avevamo un carrettino e lui lo spingeva per divertimento contro la siepe. Mio papà diceva: «Ah, Mariano è peggiore dei ragazzi... rovina tutto! È un vero peccato acquistare qualcosa!». E Mariano rispondeva: «Eh, la provvidenza ne manderà un altro». Capite la mentalità... Nel pomeriggio, verso le quindici circa, mia mamma tornò alla carica: «Scusami se insisto, ma ricordati che per domani non abbiamo niente da mangiare. Se non vai a ritirare i fagioli, che cosa daremo ai ragazzi?». Io non volevo dirle che non avevo i soldi perché le mamme sono mamme e non si può farle soffrire. Dopo poco giunse mons. Snichelotto , il quale venne all’Istituto solamente due o tre volte: in quell’occasione, poi una volta alla morte di mio papà e un'altra quando son riuscito a condurlo a Grumolo a mangiare l'uva; non credo sia venuto altre volte. Aprì la porta e con la sua semplicità mi disse: «Oh, don Ottorino! Una persona mi ha consegnato un'offerta per un'opera buona; penso che questa sia un'opera buona e allora l'ho portata qui». E mi diede una busta con dentro mille lire. Rimase poco con me, e quando mi salutò e se ne andò io corsi subito in cucina. «Mamma, adesso vado a comperare i fagioli». «Perché non sei andato prima?», mi disse la mamma. «Perché non avevo i soldi. Ora il Signore me li ha mandati. I fagioli costano settecentocinquanta lire e il Signore me ne ha mandati mille, per cui avanziamo ducentocinquanta lire». La mamma era tutta contenta, e io sono andato a comperare i fagioli con quelle mille lire.AUTOBIOGRAFIA Araceli
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Don Ottorino in altra occasione aveva già raccontato il fatto più estesamente. Non avendo i soldi per l’acquisto delle macchine dell’officina meccanica era partito per andare in treno a Padova per avvisare il venditore che non poteva acquistarle. Perse il treno e ritornando a casa incontrò la signora Malvezzi che gli diede diecimila lire; più tardi ripartì per Padova per consegnare una caparra, ma andando verso la stazione forò la gomma della bicicletta, e tornando di nuovo a casa incontrò un incaricato del marchese Roi che gli consegnò cinquantamila lire. Finalmente prese il treno per Padova, e a Grisignano di Zocco incontrò mons. Meggiolaro che, saputo il fatto e sentendo che mancavano cinquemila lire, gliele diede di tasca propria.
Quella mattina don Ottorino stava deponendo in sacrestia i paramenti della Santa Messa, quando la mamma lo invitò a scendere in cucina. Mentre essa parlava e piangeva arrivarono le suore con il pane. Intanto i ragazzi stavano facendo il ringraziamento alla santa comunione e, quando scesero in refettorio, trovarono il pane sopra la tavola e non si accorsero di nulla.
Erano le Suore Dorotee che prestavano servizio come cuoche nel seminario vescovile. Esse, insieme con le consorelle che lavoravano nelle cucine dell’ospedale civile, aiutarono i ragazzi dell’Istituto San Gaetano in varie occasioni; erano loro che all’inizio fornivano i “bussolotti” di latta vuoti, che don Ottorino usava per i ragazzi, i quali li tagliavano e ne stendevano la lamina, che poi veniva impiegata per vari usi.
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27. Qui bisognerebbe ricordare le famose sessantacinquemila lire per l’acquisto delle macchine dell’officina meccanica. È inutile che vi ricordi l’episodio perché lo conoscete meglio di me anche nei particolari: diecimila furono offerte dalla signora Malvezzi, cinquantamila dal marchese Roi e cinquemila dall'arciprete di Sossano, mons. Meggiolaro, incontrato a Grisignano di Zocco. Ci sarebbe da ricordare il famoso pane, famoso perché quella mattina il pane mancava. Mia mamma mi chiamò giù in cucina e si mise a piangere. «Non c'è neanche un boccone di pane». «Perché non me lo hai detto ieri sera?». «Per lasciarti dormire ». «Tu hai mangiato ieri sera?». «No». E mentre stiamo discutendo, mia mamma aprì la porta ed entrarono due suore con due valigie, una piena di pane e l'altra di polenta: erano le suore del seminario, venute a portare il pane non consumato il giorno prima dai seminaristi che si erano recati in famiglia. Bisognerebbe ricordare la famosa rete del ladro, che è venuto per domandare la carità dicendomi: «Mi dia qualcosa...». «Benedetto del Signore! - gli risposi - Non ho niente, sono più povero di lei. Dovevo acquistare una rete metallica per recingere il terreno... Infatti è tutto aperto». «Provvedo io stesso: so dove trovare la rete; questa notte vado a prenderla e la porto qui». «Non vorrà scherzare!», gli ho detto. «No, no! So dove è. Domani mattina la troverà qui». Il mattino seguente trovai un bel rotolo di rete in mezzo al cortile. Che volete che facessi? Il ladro non l'ho più visto, non sapevo chi fosse: può darsi che fosse uno mandato dal Signore!AUTOBIOGRAFIA Araceli
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Don Ottorino richiama spesso questa espressione che attribuisce ad Alessandro Manzoni, che nel suo capolavoro I promessi sposi canta la presenza della divina provvidenza anche nelle situazioni più complesse e difficili.
Don Ottorino non si dilunga a raccontare i particolari dell’episodio, perché lo aveva fatto molte volte, per cui era ben conosciuto da tutti i presenti. L’episodio avvenne così. Si stava costruendo la prima parte dell’Istituto San Gaetano e si era giunti alla soletta del primo piano. Siccome i materiali usati non erano di buona qualità, l’ingegnere esigeva che fossero poste delle verghe di ferro che tenessero legati i muri perimetrali. Don Ottorino cercò dappertutto, ma era impossibile trovarne. Un pomeriggio verso le quindici, don Carlo Fanton, allora cancelliere vescovile e molto amico di don Ottorino, venne come al solito all’Istituto. Don Ottorino gli disse che non era riuscito a trovare le verghe di ferro e pertanto il giorno seguente sarebbero stati sospesi i lavori. Don Carlo allora chiamò un ragazzo e gli disse: «Va’ in chiesa a pregare; chiedi al Signore che mandi ferro». Il ragazzo corse in chiesa; poi don Carlo partì. Dopo circa due ore don Ottorino entrò nella cappellina per recitare l’ufficio divino e vide il ragazzo inginocchiato sulla predella dell’altare. Gli chiese: «Da quanto tempo sei qui?». «Da quando mi ha mandato don Carlo». «E che cosa hai detto al Signore?». «Signore, manda ferro. Signore, manda ferro...». «Bene, ora va’ pure a giocare, resto io qui a pregare». E rivolto al Signore don Ottorino disse: «Gesù, a me puoi dire di no, ma a questo ragazzo innocente non puoi rifiutare quello che ti ha chiesto per ore». Il giorno dopo, verso le sette e trenta, arrivarono i muratori, ma per l’impossibilità di proseguire il lavoro furono inviati in altri cantieri. Sennonché, giunti alla fine della stradella Mora, incontrarono un furgone che portava delle verghe di ferro e subito tornarono indietro. Quelle verghe erano state mandate a don Ottorino da un signore della città perché «non gli servivano e forse avrebbero potuto essere utili a quel prete di Saviabona...». Si trattava esattamente delle verghe necessarie, sia come numero che come lunghezza e diametro.
Le brigate nere era il nome delle squadre militari fasciste, abituate alla violenza e al sopruso.
Nel testo registrato si ascolta a questo punto un “No!” da parte dei presenti.
Era una frazione di Santorso, a circa 25 chilometri da Vicenza, ove, in una casa della contessina Thiene erano ospitati una quarantina dei ragazzi dell’Istituto San Gaetano, che non potevano restare a Vicenza per il pericolo dei bombardamenti.
Piccolo santuario dedicato alla Madonna a Costabissara, a circa 8 chilometri da Vicenza. Accanto al santuario c’era una casa che ospitava un gruppetto dei ragazzi dell’Istituto San Gaetano durante la guerra.
Don Bruno Tibaldo, che all’epoca faceva parte della Comunità di Crotone, proveniva da Crespadoro (VI), dove don Ottorino stesso lo aveva raccolto dopo che i soldati tedeschi, durante una rappresaglia, avevano fucilato fra gli altri anche suo padre e il fratello maggiore e incendiato parecchie case del paese. Fece parte del primo “gruppo dell’Immacolata” in mezzo agli orfani dell’Istituto San Gaetano, frequentò le scuole del seminario diocesano e venne consacrato come primo sacerdote dell’Opera, dopo don Ottorino, don Aldo e don Marcello Rossetto che era entrato già liceale dal seminario stesso.
Il signor Guido Trieste era un ebreo, ricercato dai fascisti, che fu tenuto nascosto all’Istituto San Gaetano sotto il nome di prof. Zanin, insegnante di geografia. Dopo la guerra volle essere battezzato da don Ottorino nella cappella dell’Istituto.
MI339,28 [25/27-12-1970]
28. Ci sarebbe, ora, da ricordare l’episodio del ragazzo che pregava dicendo: «Signore, manda ferro». Il Manzoni scrive che ci son casi che non sono casi, ma mettete voi insieme tutti questi casi che ci hanno accompagnato giorno per giorno, momento per momento. Pensate a quel ragazzino che venne mandato davanti al tabernacolo a pregare e rendetevi conto che cosa avrebbe significato sospendere i lavori in corso. Per me avrebbe significato impedire l'entrata dei ragazzi nella nuova costruzione, cioè non portar sollievo - si era nel 1943 - alle vittime della guerra, a ragazzi gettati nelle stalle, messi a soffrire fame e disagi, e non poterli raccogliere perché... perché mancava un po' di ferro per costruire la casa. Era un momento tremendo. Immaginate questo ragazzino che si pose davanti al tabernacolo e che per due ore pregò: «Signore, manda ferro. Signore, manda ferro». Al momento giusto, all'ultimo istante, mentre gli operai stavano per sospendere i lavori e si trovavano già in fondo alla stradella Mora, verso il pino, arrivò il camioncino con il ferro, con le verghe necessarie, esatte per numero e spessore. E poi, saltando un pochino più avanti nel tempo, ci sarebbe da parlare della famosa bicicletta che mi è stata rubata dagli appartenenti alle brigate nere e che ha sollevato le sorti di tutto l'Istituto, chiudendo una partita, quella della guerra, per aprirne una di nuova. Voi ne ricordate i particolari? Alle Garziere di Santorso avevamo una quarantina di ragazzi, mentre altri erano alla Madonna delle Grazie, che don Aldo chiamava “delle disgrazie” perché, quando vi andava, c'erano sempre problemi. Alle Garziere di Santorso bisognava portare rifornimenti, e la macchina l'avevamo già messa sui cavalletti, perché era pericoloso girare con l’auto. Per cinque o sei mesi sono sempre andato lassù: io mi interessavo dei ragazzi delle Garziere e don Aldo di quelli della Madonna delle Grazie. Vi andavo in bicicletta due volte la settimana per portare qualcosa da mangiare; mi fermavo lassù due o tre giorni la settimana, e il resto a Vicenza. Là c'era anche don Bruno Tibaldo , che allora un ragazzino di prima media e la cui mamma attraversava i monti per andarlo a visitare; c'era anche Trieste, il famoso ebreo.AUTOBIOGRAFIA Araceli
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PROVVIDENZA benefattori
EUCARISTIA tabernacolo
PREGHIERA
Erano le Suore di Carità di Santa Bartolomea Capitanio, conosciute come Suore di Maria Bambina. Esse dirigevano l’orfanatrofio A. Rossi di Santorso (VI), dove don Ottorino era stato ospite per un breve periodo subito dopo l’ordinazione sacerdotale.
MI339,29 [25/27-12-1970]
29. Vi andavo in bicicletta con un portabagagli dalla parte anteriore e un altro da quella posteriore. Poi ritornavo a Vicenza e allora, un po' alla Camera di Commercio, un po' di qua, un po' di là, sempre riuscivo a trovare qualcosa per dar loro da mangiare. Per il pane s'interessava la donna di servizio della contessina Thiene, che andava in giro per le famiglie con la carriola a questuare il pane ogni settimana. Il pane, poi, ce lo portava a casa con la cesta, e così po' di pane lo avevamo per carità. Molto mi hanno aiutato le suore di Santorso con la verdura e con qualcos’altro. Per la carne invece provvedevano i bombardamenti che provvidenzialmente ammazzavano qualche animale e allora mi assegnavano un po' di carne, e avevo così la possibilità di portare a Santorso dieci o quindici chili ogni settimana. Non avevamo frigorifero, che all’epoca era un lusso, perciò il macello comunale ci dava di volta in volta un pezzo di carne con dei buoni speciali... quelli dei bombardamenti, sicché in mezzo alle disgrazie c'era anche qualche consolazione. Il viaggio in bicicletta era pesante perché non si poteva percorrere la provinciale, ma a causa dei bombardamenti bisognava andare per strade di campagna, allora non asfaltate; ad esempio, non si poteva passare per Villaverla perché c'era il campo d'aviazione nella distesa dei prati, un campo per piccoli aerei: allora di solito si andava per Dueville, Montecchio Precalcino e si arrivava a Thiene. Bisognava attraversare le vie di campagna, insomma, e si arrivava un po' morti di stanchezza, anche se avevo trent'anni circa. Non sono mai stato un colosso di salute.Si tratta dell’Istituto Trento, pensionato per anziani. L’altro di cui parla don Ottorino, il pensionato E.C.A., venne costruito più tardi.
MI339,30 [25/27-12-1970]
30. Abitualmente arrivavo a Vicenza al mattino e ripartivo verso sera. Ricordo che una volta, giunto a Vicenza, avevo mandato un ragazzo con la mia bicicletta in giro per la città per fare un po' di provviste e degli acquisti con dei buoni, quando il ragazzo tornò a casa piangendo e mi disse: «Mi hanno rubato la bicicletta». Adesso voi entrate a San Gaetano e trovate una grande quantità di biciclette, ma allora ne avevamo solamente due. Portar via la bicicletta a don Aldo voleva dire tagliargli le gambe, impedirgli completamente di muoversi in città; l'altra era per me, per andare alle Garziere. Non avevamo altro! Presi informazioni e mi dissero che erano stati i soldati delle brigate nere, che erano di stanza nel ricovero di San Pietro, quello attiguo alla chiesa omonima, dove ora ce ne sono due. Decisi quindi di recarmi a vedere. Eravamo negli ultimi giorni di guerra; entrai, trovai un soldato di guardia, poi il caporale, il caporale maggiore e in fine riuscii ad ottenere di presentarmi davanti al colonnello. Questi si trovava in una stanza e c'erano pistole dappertutto; avevano appena preso un partigiano al quale avevano portato via una pistola e che il colonnello interrogava maneggiando la sua pistola. Io attendevo di entrare, mentre tutti gli altri erano armati e stavano inveendo contro il partigiano. Alla fine uscì il colonnello e gli dissi: «Signor colonnello, mi è capitato questo fatto; io sono con quei ragazzi di Saviabona...». A proposito, sapete che una volta poco mancò che mi requisissero l'Istituto? Racconteremo anche quell’episodio, anzi lo raccontiamo subito. Poco tempo prima era capitato all'Istituto il famoso capitano Polga, quello che ammazzava i partigiani e che poi venne ucciso verso Priabona: il più feroce delle brigate nere. Un giorno venne all'Istituto e disse a don Aldo mentre io ero assente: «Abbiamo pensato di requisire tutto l'Istituto perché interessa a noi». Don Aldo, tutto spaventato, poveretto, gli rispose: «Il direttore non c'è, è assente, tornerà a casa domani». «Quando lo possiamo trovare?». «Domani mattina, senz'altro». «Gli dica che mi aspetti qui». La mattina seguente arrivò con tre o quattro dei suoi soldati armati fin sopra la testa. «Signor capitano!» gli dissi.PROVVIDENZA
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MI339,31 [25/27-12-1970]
31. «Non so se il suo aiutante le ha parlato... Abbiamo pensato che a noi occorrerebbe l’edificio dell’Istituto». «Volentieri! Pronto! - gli risposi - È a sua disposizione!». Abbiamo fatto un giro per le stanze. Abbiamo girato per più di un'ora con carta e cartine in mano. «Qui mettiamo questo, - continuava a ripetere Polga - qui mettiamo quello; questo lo mettiamo là, quello lo mettiamo qua». Ad un tratto mi disse: «Reverendo, è la prima volta, in questo periodo di guerra, che troviamo un sacerdote veramente comprensivo». Arrivati al piano superiore, dov'era la camerata, diede un'occhiata ai letti e disse: «Qui, possiamo mettere questo... I letti li porta via». «Eh, no! - gli risposi - Portare via? Mi scusi...». «Come facciamo? Ci occorre la camerata per mettervi dell'altro materiale». «Scusi, e i ragazzi dove li mettete a dormire?». «Quali ragazzi?». «Gli orfani, i ragazzi che abbiamo raccolto sotto i bombardamenti... Noi vi diamo tutto». «Ma non i ragazzi... Dove volete che li metta io?». «Eh, no! - gli dissi - Per carità! Noi lasciamo qui tutto, anche i letti, tutto, altrimenti dove volete mettere a dormire i ragazzi?». «Reverendo, - soggiunse - allora lasci che ci orientiamo altrove». E così mi ha lasciato in pace. Lo stesso avvenne, in un'altra circostanza, per la tipografia quando volevano farcela chiudere. In realtà avevo già avuto qualche altro piccolo scontro con i militi delle brigate nere, ma sempre signorilmente, in forma tale che non mi ero mai urtato con loro, per cui dissi al colonnello: «Signor colonnello, noi ci troviamo adesso in questa situazione: abbiamo ragazzi a Santorso, cioè alle Garziere; altri ne abbiamo in un'altra parte e dobbiamo portar loro da mangiare; mi occorre la bicicletta per trasportare i rifornimenti». Allora il soldato mi ha manifestato la sua umanità perché mi rispose: «Reverendo, noi siamo alla fine e dobbiamo scappare: abbiamo bisogno di biciclette per scappar via. Potrebbe essere questa notte o quella successiva, ma dobbiamo scappare tra un paio di notti perché ormai l’esercito alleato sta avanzando. Abbiamo bisogno di biciclette. Si prenda di qui quello che vuole. Vuole macchine da scrivere? Per una bicicletta, se vuole, le do una calcolatrice, due o tre macchine da scrivere... buone. Se vuole ho qui un camioncino: mancano le ruote, ma può portarselo a casaPROVVIDENZA
PROVVIDENZA episodi di...
La ditta Tosato aveva in città un grande negozio di tessuti, che sempre cercò di aiutare i ragazzi di don Ottorino.
Nel testo registrato c’è a questo punto una interruzione, poi don Ottorino riprende con una lunga premessa prima di riprendere il racconto dei doni del Signore alla Congregazione.
MI339,32 [25/27-12-1970]
32. Mi faccia un piacere: mi dica una preghiera, mi dica una preghiera. Poi vorrei chiederle un altro piacere: noi, scappando, abbiamo bisogno di soldi; non potrebbe acquistare tutto il magazzino? Glielo diamo tutto per i suoi ragazzi». «Ma... - gli dissi - E un domani come potrò spiegare l’acquisto?». «Facciamo fattura regolare. Lei mi dà un po’ di soldi». E allora andai in prestito di centoquarantasettemila lire dalle Suore delle Poverelle e, dopo regolare ricevuta e fattura, cioè dopo aver regolarmente comperato, con sei o sette carrette, carrettini, asini e i ragazzi abbiamo dedicato un'intera giornata per portarci a casa tutto quanto c'era nei magazzini. Avevamo il necessario per cinquecento persone: stoffa invernale ed estiva per confezionare cinquecento vestiti, maglie per cinquecento persone, perfino il sacchettino con le forbici, gli aghi e i bottoni per le riparazioni, e cinquecento doppie paia di scarpe nuove per l'estate e l'inverno, cioè mille paia di scarpe. Voi non potete immaginare che cosa abbiamo portato a casa: abbiamo riempito le stanze di ogni ben di Dio. Abbiamo terminato verso la mezzanotte. Intanto i partigiani alzavano già la voce: «Voi state portando via...». «No! Abbiamo comperato». Io stavo alla porta a dirigere. Ogni tanto qualche partigiano, qualcuno che io conoscevo, si avvicinava dicendomi: «Che cosa state facendo?». «Regolarmente comperato! Stiamo portando a casa». Il fatto sta che, a guerra finita, abbiamo venduto materiale per un milione e mezzo dopo aver fatto fare una divisa cachi per tutti i ragazzi: la signora Tosato ce ne ha fatto gratuitamente la fattura, e già alla processione del Corpus Domini del 1945 tutti gli ottanta e più ragazzi erano in divisa... ed erano gloriosi!PROVVIDENZA
PROVVIDENZA episodi di...
Il riferimento è a una visita di don Giovanni Calabria all’Istituto San Gaetano negli anni immediatamente successivi alla grande guerra 1940-1945.
Don Ottorino si riferisce all’episodio sopra narrato al n. 8.
Il riferimento è al diacono Vinicio Picco, entrato in Congregazione dopo una esperienza lavorativa in fabbrica.
MI339,33 [25/27-12-1970]
33. Questa era l'idea. Il Signore ci aveva detto: «La strada è questa», perciò umiliazioni e difficoltà: difficoltà con i ragazzi e con l'ambiente, difficoltà... Pazienza! Le avevo già messe in preventivo. Il Signore mi aveva fatto capire in modo chiarissimo che voleva la Congregazione così. Si trattava di arrivarci attraverso un'opera caritativa, perché durante la guerra era di più facile e logica realizzazione. E allora bisognava affrontare in pieno l'opera caritativa con tutte le difficoltà, i rischi, le umiliazioni e tutte le incomprensioni, ma, per carità, neanche una parola! Il sangue bisognava versarlo, non c'è nulla da fare! E qui non è il caso di sottolineare i sacrifici fatti: quelli li conosce il Signore, come conosce i peccati che ho commesso e le mie miserie. Tuttavia è necessario precisare che di questi anni, che vanno fino al 1952, ho appena accennato ad alcune cose, e che vi è stata una presenza di Dio, vorrei dire, matematica, impressionante, che qualche volta lasciava senza fiato. «Ma, insomma, Dio, Dio dov'è?». Quando don Calabria è venuto nel nostro cortile ha esclamato: «Dio... non senti che qui c'è Dio? Io sento Dio! Don Ottorino, qui c'è Dio, qui c'è Dio!». Noi sentivamo chiaramente questa presenza di Dio, questa sensazione della presenza di Dio. Mio papà, a proposito dell’episodio delle sessantacinquemila lire , alla sera commentò con mia mamma a letto: «Clorinda, se non conoscessi mio figlio e non sapessi chi è, sarei tentato di dire che è imparentato con il diavolo». Ricordo che quel giorno, si trovava in mezzo al granoturco e sapeva che aspettavo sessantacinquemila lire per l’acquisto delle macchine, e mi disse: «Figliolo, che cosa stai facendo? Sessantacinquemila lire di macchine?». E allora, dopo avergli dato in mano la busta gli dissi: «Papà, non credi tu alla provvidenza?». «Sì, ci credo, ma non avrei mai pensato che questa mattina ti avrebbe mandato diecimila lire. Sai che cosa sono diecimila lire?». Quando sento Vinicio dire: «Io avrei dovuto lavorare tante ore...», ricordo di aver sentito le stesse parole da mio papà: «Quanto dovrei lavorare io per guadagnare diecimila lire! E adesso hai il coraggio di spendere diecimila lire per acquistare le macchine? Come fai, don Ottorino, come fai?». «Senti, papà, credi che la provvidenza mi abbandoni?».CROCE
CONGREGAZIONE missione
CONGREGAZIONE carisma
CONGREGAZIONE storia
CROCE sangue
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AUTOBIOGRAFIA famiglia
PROVVIDENZA episodi di...
La signorina Teresina Todescato lavorò per anni come inserviente nella Casa dell’Immacolata e periodicamente dava qualche offerta per le necessità dell’Opera. Nell’occasione aveva dato un’offerta per il centro audiovisivi - don Ottorino nel testo registrato dice sempre cinema - che all’epoca si stava organizzando.
Cfr. Lc 24,13-32.
MI339,34 [25/27-12-1970]
34. «No, ma ricordati che per arrivare a sessantacinquemila lire ne mancano ancora cinquantacinquemila». «Papà... guarda!» ed estrassi dalla tasca una busta rossa, che ho ancora davanti agli occhi. «Conta quante lire ci sono qui dentro». Erano cinquantamila lire. Mi pare di vedere quest'uomo in mezzo al granoturco. «Io non capisco più nulla. Dove sei andato a prendere questi soldi?». «Non ti ho detto che c’è la provvidenza?». «No capisco più nulla, no capisco più nulla!». Sono colpi... sono colpi... La mia paura tremenda è che noi ci abituiamo a queste cose, mentre ogni intervento della provvidenza di Dio dovrebbe essere sempre sentito come il primo. Sono convinto che la Madonna lo vedeva sempre come il primo, cioè ogni volta come una grazia attuale. Ogni intervento della provvidenza dobbiamo sentirlo così, anche quello delle duecentomila lire, del quale abbiamo parlato l'altra sera, che la signorina Teresina Todescato mi ha consegnato per il centro audiovisivi affinché il messaggio del Signore si diffonda in tutto il mondo: Teresina mi ha dato una busta con duecentomila lire che tengo ancora in tasca, e mi pare di sentire il calore di Dio. Insomma si rimane veramente colpiti di fronte a questi fatti, non c'è niente da fare, colpiti non per il centro audiovisivi, ma per il Signore che è presente. Ho voluto ricordare stasera, in un clima natalizio, alcuni fatti particolari dei primi anni della Congregazione, e continueremo a parlarne anche domattina, per farvi capire che non possiamo scherzare. È necessario che sentiamo il Signore che sta camminando invisibilmente con noi. Sarebbe doloroso se un domani facessimo la constatazione dei discepoli di Emmaus: «Come mai i nostri occhi, come mai non lo hanno visto?» , e se il giorno della morte dovessimo dire: «Camminavamo con Dio e non l'abbiamo visto! Lo avevamo con noi, era lì vicino a noi, e non l'abbiamo visto!». Perché dobbiamo aspettare il giorno della morte per accorgerci che Dio sta camminando con noi?PROVVIDENZA episodi di...
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MARIA
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CONGREGAZIONE storia
Don Ottorino si riferisce ad alcuni confratelli che erano ragionieri e lavoravano nell’amministrazione generale della Congregazione, fra i quali c’era don Zeno Daniele nominato subito dopo.
La signorina Pulcheria Meneghini aveva ereditato con la sorella Adelina una conceria ad Arzignano (VI), e ambedue erano sempre state vicine all’Opera e generose benefattrici. Nel 1963 cedettero la loro industria e si ritirarono a vivere a Venezia, pur continuando a seguire con interesse e affetto la vita della Congregazione.
MI339,35 [25/27-12-1970]
35. Continuiamo un pochino con i ricordi, cogliendo fiore da fiore, con l’offerta dei famosi cinque milioni. Se vi ricordate bene alle undici e tre quarti c'era una cambiale in scadenza, il cui pagamento si sarebbe potuto rimandare, al massimo, al lunedì mattino; i ragionieri sanno che cosa vuol dire. Allora non era semplice come oggi trovare il denaro. Se adesso tu, don Zeno, ti trovi in difficoltà per pagare cinque milioni, telefoni alla banca e in qualche modo ti salvi, ma allora era motivo per perdere il sonno. «E ora dove andiamo? A chi ci rivolgiamo per chiedere cinque milioni?», ci domandavamo. L’Istituto non era conosciuto e stimato come adesso, e bisognava chiedere la carità di una firma, e poi la banca prestava il denaro. Se adesso mi rivolgo alla banca perché ho bisogno di dieci milioni, mi fanno immediatamente il fido, ma allora no, per cui era una vera preoccupazione trovarli. Ricordo che don Aldo ed io ci chiedevamo: «Che cosa facciamo, che cosa non facciamo? Dove andiamo, dove non andiamo?». Erano già le undici e tre quarti. «Beh, intanto preghiamo! Abbiamo tempo fino a lunedì mattina; domani, domenica, andremo in cerca». Io dovevo andare in città per confessarmi. Pensai: «Sono le undici e tre quarti: se voglio, faccio in tempo; vado lì e.. tic tac!». Giunto al pino incontrai la signorina Pulcheria Meneghini che mi fermò: «Ehi, don Ottorino, non scappi via! Sono venuta qui in fretta». Intanto ritornai a casa con lei, che mi disse: «Abbiamo fatto i nostri calcoli e ci sono restati dei soldi: cinque milioni, con i quali avevamo pensato di comperare un appartamentino per capitalizzarli un po'. Ieri sera, sul vaporetto, ho cominciato a pensare che, forse, voi ne avete bisogno, e allora sono rimasta nell'incertezza tra l'acquisto dell'appartamentino e il pensiero delle vostre necessità: tutta questa notte non sono mai riuscita a prender sonno perché pensavo che, forse, ne avete bisogno voi. Così stamattina ho preso la macchina e sono venuta da Venezia appositamente per consegnarveli. Eccoli qui». E mi diede cinque milioni in assegni d'un milione ciascuno.CONGREGAZIONE storia
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PROVVIDENZA benefattori
Era costume allora, durante i pasti, leggere per alcuni minuti qualche buon libro.
Il diacono Valentino Pavan, della Comunità dell’Istituto San Gaetano, era all’epoca consigliere generale e direttore del laboratorio di meccanica.
Don Ottorino ricorda le parole che il vescovo Rodolfi, già gravemente ammalato, gli aveva detto qualche mese prima della sua morte avvenuta il 12 gennaio 1943. Don Ottorino gli aveva parlato delle difficoltà che incontrava e il vescovo lo aveva incoraggiato, invitandolo poi a prendere le tremila lire che aveva nel cassetto del comodino.
MI339,36 [25/27-12-1970]
36. A mezzogiorno e un quarto mi recai a pranzo, che allora facevo ogni giorno assieme a don Aldo all'Istituto, e si stava facendo la lettura. Io sedevo dalla stessa parte con don Aldo e con Valentino . E mentre la lettura continuava ho messo tre milioni in una tasca, ne ho tolto uno e l’ho consegnato a don Aldo, poi un altro e un altro ancora. Allora i confratelli se ne sono accorti e la lettura venne sospesa. «Insomma, che cosa succede? - chiese don Aldo - Da dove provengono?». «Provvidenza!», risposi io. «Ma se ci siamo lasciati poco fa...». «Provvidenza!», risposi ancora. Così abbiamo incominciato a parlare della provvidenza. Allora Valentino: «Provi a mettere ancora la mano in tasca e veda se ce ne sono degli altri». «Eh, no, esigi troppo adesso!». Dopo un po' tirai fuori anche gli altri due. «Provi a vedere ancora se...». Amici miei sono cose indescrivibili! È difficile descriverle agli altri, farle capire a un estraneo, cioè far capire la forza del segno. Mons. Rodolfi mi aveva detto: «Cerca la volontà di Dio e avanti, non aver paura! Il Signore provvederà al resto; va’ avanti per quella strada».PROVVIDENZA episodi di...
Il fatto, raccontato da don Ottorino stesso in uno ciclostilato quando era ancora chierico (cfr. La dolce Madre dei Pirenei in Scritti spirituali/1, pagine 45-69), avvenne il 29 agosto 1928.
L’episodio della tassa per il tempio pagata da Gesù e da Pietro è narrato in Mt 18,24-27.
Espressione che significa commettere uno sbaglio grossolano come quello di una donna di casa che non toglie la pentola dal fuoco al momento opportuno.
“Dio non disprezza un cuore affranto e umiliato” (Salmo 51,19).
MI339,37 [25/27-12-1970]
37. Quando a Lourdes è stata guarita mia mamma, io ho avuto la certezza che sarei arrivato al sacerdozio perché mia mamma aveva chiesto la guarigione per condurmi al sacerdozio. Dopo la prima media avrei giurato che sarei arrivato al sacerdozio, ne ero certissimo. Mai ho messo in discussione la mia vocazione e mai ho pensato di non poter andare prete. Mi venivano le tentazioni impure, avevo altre tentazioni, come possono capitare a una certa età, ma le scacciavo subito e mi dicevo: «Il Signore vuole che sia prete!» Chiaro? Era solo questione se scegliere la vita missionaria o rimanere qui, ma senz’altro come prete. Così, questi passaggi di Dio sono segni che siamo sulla strada di Dio, perché ad un dato momento il Signore ci lascia un pochino, si ritira quasi. E allora è importante riflettere per vedere se si sta sbagliando strada. Il Signore, ad ogni modo, tante volte viene anche se uno sbaglia strada, purché non voglia sbagliarla volutamente. A San Pietro, quella volta famosa del pesce, Gesù, dopo aver domandato: «Il figlio del re deve o no pagare il tributo?», rispose: «Ad ogni modo, per questa volta va’: prendi il pesce, estrai la moneta e paga il tributo». Chissà quante volte il Signore ha pagato anche gli sbagli che noi abbiamo commesso, forse i debiti che non dovevamo fare, le spese inutili che abbiamo fatto o fatte male! Ma sapeva già che abbiamo dei limiti. Quando il nostro sforzo è quello di servire Dio e di fare la sua volontà, se qualche volta sbagliamo perché non riflettiamo o ci consigliamo poco, o anche per cattiveria, e poi ci pentiamo, lui certamente non ci lascia nella miseria: ci viene in aiuto al momento opportuno. Perciò il nostro sforzo dev'essere quello della volontà di Dio, quello di andare per la sua strada. La mia imperfezione e la mia cattiveria mi faranno anche sbagliare, mi faranno bruciare la pentola , ma il Signore sa che io sono misero, balbuziente, e mi manderà un'altra pentola: questo è matematicamente sicuro, e così avrò il segno che sono sulla buona strada. «Cor contritum et humiliatum Deus non despiciet».AUTOBIOGRAFIA famiglia
DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
PAROLA DI DIO Vangelo
VOLONTÀ
di DIO
CONSACRAZIONE mediocrità
MI339,38 [25/27-12-1970]
38. Ricordiamo l’episodio dei dieci milioni per l’officina meccanica. Quando nel 1954 mia mamma, poveretta, mi fece l'osservazione: «Sei proprio sicuro che sia la volontà di Dio?», si stavano facendo contemporaneamente due costruzioni: l'ampliamento della Casa dell'Immacolata e l'officina meccanica all’Istituto San Gaetano. La spesa prevista per l’officina era di undici milioni e mezzo circa, e pressappoco uguale quella per la Casa dell'Immacolata. «Benedetto figliolo, pensa a quanti debiti farai!». «Mamma, stammi sentire. Nella Casa dell'Immacolata i ragazzi non ci stanno più: o smettiamo di raccogliere ragazzi, ma dobbiamo preparare i preti e i diaconi. Nell'Istituto non ci stanno altri ragazzi, e tu vedi come siamo ridotti nell’officina: o ci fermiamo o andiamo avanti. È necessario assolutamente che il Signore in qualche modo provveda da una parte e anche dall'altra». «Sì, figliolo mio, in questo caso bisogna pregare. Tu pensaci bene, pensaci molto. Attento a non fare la tua volontà, ma la volontà di Dio... e basta! Io sono contenta lo stesso». Pensate voi, adesso: un figlio che va davanti al Signore e gli dice: «Signore, per piacere dimmi che cosa vuoi», e il Signore che gli risponde dopo uno o due giorni a Roma. I sogni sono sogni, dite quel che volete. Mons. Rodolfi mi apparve in sogno e mi disse: «Va’ avanti tranquillo... cercate di fare la volontà di Dio, sforzatevi, cercate la volontà di Dio! Quando tornerai a casa, ti arriveranno dieci milioni, subito». Giunsi a casa e nello stesso giorno arrivarono dieci milioni. Allora dissi a mia mamma: «Mamma, sono arrivati dieci milioni. Io mi sento tranquillo... È volontà di Dio».AUTOBIOGRAFIA
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CONGREGAZIONE storia
PREGHIERA al Signore
In altre occasioni don Ottorino aveva già raccontato l’episodio della grazia per la chiesa dell’Istituto. Nel 1955 dato il grande numero di ragazzi, la cappella dell’Istituto San Gaetano era divenuta troppo piccola. Don Ottorino pensava di costruire l’attuale chiesa, prevista nel disegno generale dell’Istituto. Durante il mese di ottobre, dedicato alla Madonna del rosario, i ragazzi pregarono per chiedere un segno se Dio voleva la chiesa. E il segno era questo: entro ottobre arrivassero almeno cinque milioni per iniziare la costruzione. Avvenne che mons. Giuseppe Sette (1905-1977), amico e benefattore dell’Istituto, ne parlò alla signorina Clementina Valeri (1888-1977), la quale aveva in animo di fare qualcosa a ricordo del nipote Cristoforo disperso in Russia. Lei accettò la proposta dando subito due milioni per l’altare; poi saputo che il segno atteso era di cinque, volle dare anche gli altri tre, e dopo qualche tempo si offrì di pagare tutta la chiesa.
Il comm. Mario Volpi aveva già donato i soldi per il primo terreno e per la costruzione della prima casetta.
Era l’anno 1957. Poco dopo si iniziò la costruzione del semiconvitto F. Rodolfi, che doveva entrare in funzione nell’ottobre 1958, sennonché l’8 agosto ne crollò una parte e un muratore rimase ucciso. Si sospesero i lavori, che furono ripresi dopo alcuni mesi. Il semiconvitto cominciò a funzionare nell’ottobre 1959.
MI339,39 [25/27-12-1970]
39. Ricordate che abbiamo chiesto la grazia entro ottobre: abbiamo chiesto almeno cinque milioni, che la signorina Valeri ha dato, impegnandosi poi a pagare completamente la chiesa. Mi trovavo dondolandomi su un tombino assieme a don Aldo, e ci domandavamo se era o no volontà di Dio che acquistassimo il terreno, quand'ecco arrivò il comm. Mario Volpi, un'altra volta strumento della provvidenza , che ci disse: «Che cosa state facendo qui?». I ragazzi erano andati a Monte Berico a pregare e il Signore ci stava facendo capire che proprio lì voleva qualche cosa. Noi potevamo sbagliare, ma l'idea era quella di fare la volontà di Dio. Il commendatore ci ascoltò e poi disse: «M'impegno io, i soldi ve li do io. Quest'oggi ho preso in mano l'annuncio funebre di mio padre e di mia madre, e ho pensato che non ho fatto ancora niente per ricordare i miei genitori, e allora son venuto da voi per sentire se avete bisogno di qualche cosa. Vedo che avete bisogno del terreno; andiamo a combinarlo subito». Quella sera stessa siamo andati da Chimetto, che ci ha firmato il contratto; poi siamo saliti con il comm. Volpi a Monte Berico per ringraziare la Madonna, lui e noi. Erano le dieci di sera, la basilica era chiusa: abbiamo recitato la corona passeggiando all'esterno e ringraziato la Madonna; i ragazzi vi erano andati poco prima per pregarla. Era il 25 agosto.PROVVIDENZA benefattori
PROVVIDENZA episodi di...
VOLONTÀ
di DIO
Il riferimento è al 28 aprile 1963. Don Ottorino narra molto rapidamente l’episodio, ma si tratta di un terreno che il sig. Giuseppe Vidale voleva vendere e che don Ottorino desiderava comperare perché era confinante con la Casa dell’Immacolata.
Don Ottorino desiderava che i giovani aspiranti al sacerdozio e al diaconato, durante gli anni di formazione, non solo studiassero ma anche lavorassero, per sperimentare la fatica del lavoro manuale, imparare a santificare il lavoro stesso e collaborare a coprire le spese del proprio mantenimento. Dal 1964 al 1967 si costruirono case prefabbricate, ma poi questa attività fu lasciata perché richiedeva una organizzazione commerciale che non si poteva sostenere. Nacque allora l’idea della legatoria, la quale cominciò a funzionare nel gennaio 1969. Don Ottorino cercando lavoro per la legatoria, chiese all’associazione MIMEP di Pessano (MI) di poter rilegare i loro volumi: «Il Vangelo di Gesù» e «La storia della salvezza nell’Antico Testamento». I responsabili dell’associazione accettarono e anzi, dopo qualche tempo, proposero al nostro Istituto di assumerne l’edizione.
Il riferimento è all’offerta di dodici milioni, fatta nel dicembre 1970 da Elsa Chirici di Firenze, benefattrice della parrocchia dell’Isolotto.
Don Ottorino non commenta, ma solamente elenca la donazione fatta dalla signorina Clementina Valeri nel 1970 della casa di campagna della famiglia, trasformata subito per accogliere benefattori anziani.
La signora Giuseppina Trestin fu una delle prime benefattrici che venne accolta in Casa San Giovanni.
Il riferimento è alla signorina Ginevra Monti, che per molti anni fu a servizio di una signora nobile e ricca che ad un certo punto si ridusse in miseria. Allora lei, con i suoi risparmi, la mantenne fino alla morte, restando sempre la serva. Alla fine si ritirò nel ricovero di San Pietro in città, dove morì all’età di quasi cent’anni.
MI339,40 [25/27-12-1970]
40. Il giorno delle elezioni una persona mi disse: «Perché non comperate voi il terreno? Guardate che vi è necessario, vi occorre». E poi soggiunse: «Ve lo pago io».. Arrivati a questo punto, si potrebbe ancora procedere, ma stasera vorrei chiudere questa parte sottolineando frettolosamente due o tre particolari. Ricordiamo anche il dono dei Vangeli. La provvidenza di Dio ci ha fatto aprire la legatoria, che ha dato incremento all'officina e alla tipografia, e ci ha offerto la possibilità di stampare il Vangelo. Se non avessimo questa attività dovremmo rivolgerci continuamente ora a destra, ora a sinistra, e avremmo lavori saltuari e diversi. Com'è bello, invece, poter dire: “Stampiamo il Vangelo”, anche per voi, quando vi incontrate con le persone che vengono qui! È un mezzo di apostolato nel vero senso della parola perché effettivamente lanciamo il Vangelo nel mondo e nello stesso tempo ci aiutiamo economicamente aiutando la provvidenza. Mi pare che anche questo vada considerato come uno dei doni grandi che la provvidenza ci ha fatto, e al momento giusto. Ieri, quando eravate più piccoli, mandava il pezzo di pane o il milione; oggi manda la macchina, il lavoro e dice: «Adesso... piano! Adesso ti aiuti un pochino». Ho detto bene? Sottolineiamo qualche altro segno particolare. I dodici milioni, per esempio, dell'Isolotto, arrivati in questi ultimi giorni, non vi dicono proprio niente? Il dono di Villa San Giovanni. La signora Trestin è arrivata e ha consegnato dieci milioni in titoli. Ricordate che, a suo tempo, abbiamo parlato della vecchietta del ricovero di San Pietro, la quale faceva a meno di bere il caffè e si sacrificava per i preti di don Ottorino, e che alla sua morte ha lasciato più di ottocentomila lire per i preti di don Ottorino? Se voi avete lo spirito che avete, se le vostre doti e qualità si sono sviluppate come - ringraziando il Signore - si sono sviluppate, forse lo dovete a quella vecchietta che faceva a meno di bere il caffè e l'aranciata, che soffriva la sete, era cieca e che dopo tanti anni di servizio alla sua padrona lasciò la sua offerta alla Congregazione. Di queste anime, come l'altra vecchietta che mi ha portato le cento lire, ce ne sono ancora, e stanno ancora una volta ad invitarci a vigilare e ad impegnarci perché ci sono delle anime buone che forse ci battono, delle anime apostoliche che forse ci superano.CONGREGAZIONE storia
PROVVIDENZA benefattori
PROVVIDENZA episodi di...
Don Ottorino si riferisce a Genoveffa Bolinetti, annotando dopo il suo nome nei suoi appunti “l’offerta della vedova”, con evidente riferimento all’episodio evangelico narrato in Mc 12,41-44 e Lc 21,1-4.
L’intervento di don Zeno Daniele viene riportato in corsivo, con qualche taglio nel racconto di particolari di poca importanza.
Di fatto, alla fine, Genoveffa accettò di essere accolta nella Casa San Giovanni, anche se lei volle abitare in una stanza sotto il portico e non nelle stanze riservate ai benefattori.
MI339,41 [25/27-12-1970]
41. E c'è una donnetta che può servirci anch'essa a concludere un po' in allegria e che si chiama Genoveffa. Adesso vorrei che fosse don Zeno a sottolineare un fatto particolare che credo sia tanto edificante. Don ZENO DANIELE Bisognerebbe conoscerla la Genoveffa. Ora è all'ospedale ed ha appena fatto in tempo a realizzare quello che aveva desiderato nella sua vita. È una donna veramente umile. Ha passato la sua vita nel servire i preti ed è sempre stata trattata molto male. Lei, però, non si lamenta, anzi dice: «Per i meriti che ho, il Signore mi ha dato anche troppo. Mi accontenterei di poter dare solo uno sguardo al Signore e poi basta». Genoveffa ha servito per trent'anni un prete, che don Ottorino forse conosceva. Ha consegnato a lui tutti i suoi risparmi e insieme hanno comperato una casetta, intestandola metà ciascuno. Quando questo sacerdote non poteva tenerla più alle proprie dipendenze, si fece ricoverare nella Casa del Clero a Rosà. Allora lei di giorno prestava servizio presso i padri Giuseppini e di sera andava ad assisterlo a Rosà. Ha sempre pensato di aiutare i missionari con i suoi risparmi. Per poter mettere da parte qualcosa in più, è andata ad abitare in una catapecchia, dove l'abbiamo conosciuta, in modo da affittare gli appartamenti della sua casa. Ultimamente aveva deciso di andare a sistemarsi in un suo appartamento, ma poi pensò: «Forse sono troppo egoista; è meglio che lasci i miei beni ai missionari». Una persona le ha indicato l'Istituto San Gaetano. Dapprima pensava di far testamento per noi, ma poi ha venduto tutto, fidandosi di noi che le abbiamo promesso di aiutarla in caso di bisogno. Pensate quanto era attaccata alla sua casa, costruita con i risparmi di tutta la vita! Ora è felicissima. «È la cosa più bella che ho fatto», ci dice. Volevamo accoglierla a Villa San Giovanni, ma non ha voluto perché si sentiva indegna e desiderava vivere da povera.CONGREGAZIONE storia
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PROVVIDENZA episodi di...
Il riferimento è a Raffaele Testolin e a Daniele Galvan, che forse avevano trascorso un periodo nella Comunità di Crotone.
Il signor Giovanni Frattini era un generoso parrocchiano di Monterotondo, legato da sentimenti di forte amicizia con i confratelli che ivi operavano.
Tutti i presenti rispondono: “Rendiamo grazie a Dio!”, e così termina la prima parte della conversazione del ritiro, corrispondente al giorno di Natale.
MI339,42 [25/27-12-1970]
42. Vorrei aggiungere che la provvidenza di Dio ha aiutato anche le varie missioni: in Guatemala, in Argentina, in Brasile, in ogni parte, all'Isolotto stesso. Si è vista la provvidenza! È forse mancato una sola volta il pane ai nostri confratelli? A Crotone essi hanno il necessario e voi, Raffaele e Daniele, lo avete costatato. È mai mancato il necessario a Monterotondo? Dappertutto i confratelli hanno trovato chi dà loro un aiuto. È dunque vero che, se lavoriamo per il Signore, il Signore si mostra buono e ci dà anche il soprappiù. Io ho visto che all'Isolotto i nostri confratelli non spendono quasi niente per il cibo, anzi ne distribuiscono agli altri, fanno la carità dappertutto. A Monterotondo il signor Frattini provvede il vino, un altro l'olio, altri dell'altro. Insomma, quando l'uomo di Dio si dona, il Signore provvede. Ho voluto presentare dapprima questi segni materiali, perché forse fa una certa impressione ricordarli così, uno dopo l'altro, messi, per così dire, insieme. Fratelli miei, guardate che siamo sotto lo sguardo di Dio, che non dobbiamo perdere il tempo in stupidaggini, in quisquilie, in sciocchezze. Se è necessario, facciamo un esame di coscienza, cominciando da me... se avete da richiamarmi, ditemelo: qui è necessario rimboccarci le maniche, fare quello che vuole il Signore, non perderci in piccinerie e in cose puerili. Qui siamo tutti chiamati da Dio e bisogna che ci mettiamo sull'attenti. Domani passeremo al secondo punto e daremo uno sguardo ai doni spirituali, i quali, se sotto un certo aspetto impressionano di meno, però sono più grandi di quelli materiali. Parola del Signore!PROVVIDENZA
MISSIONI
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
DIO bontà
di...
APOSTOLO uomo di Dio
CONVERSIONE esame di coscienza
DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
Il fatto avvenne nel mese di luglio 1946.
Il riferimento è ad Antonio Pernigotto, che all’epoca faceva appunto parte della Comunità di Grumolo delle Abbadesse (VI).
Mons. Antonio Fabris (1908-1977) fu impiegato nella curia vescovile dal 1932 al 1946, quando venne nominato parroco della parrocchia di Santa Caterina in città.
Mons. Giuseppe Stocchiero (1882-1946) fu direttore dell’ufficio amministrativo della curia diocesana dal 1929 alla morte.
Fortunato Zuccolo abitava all’inizio di viale Astichello. Conobbe don Ottorino quando questi venne come cappellano ad Araceli, e gli divenne amico specialmente da quando don Ottorino assistette il suo papà che morì nel 1941. Raccontava che, essendo carrettiere, fece più volte gratuitamente trasporto di materiale per conto dell’Istituto San Gaetano. Donava le ciliegie ai ragazzi orfani e prestava soldi a don Ottorino senza interessi, e questi in cambio gli mandava cioccolatini o pasticcini per i figli. Spesso diceva: “Per me don Ottorino era un amico”.
MI339,43 [25/27-12-1970]
43. Ieri sera, appena uscito di qui, mi è venuto alla mente un fatto importante che avevo dimenticato, quello riguardante la campagna di Grumolo. È stata una donazione veramente importante, e la devo ricordare altrimenti Antonio si arrabbia. Si era proprio alla fine del mese e si dovevano fare le paghe dei maestri e degli operai. È sempre stato un problema grosso quello delle paghe, un problema più atroce allora quando c'erano da pagare sessanta, settanta, ottantamila lire, che non adesso che si tratta di milioni. Più d'una volta dovevo girare per la città per chiedere in prestito dei soldi per le paghe degli operai, riservandomi di restituirli entro sette, otto o dieci giorni. Chi mi salvava sempre all’ultimo momento era mons. Fabris , viceamministratore della curia; l'amministratore era mons. Stocchiero , ma era fuggito a Roma durante la guerra e si trovava in Vaticano, e allora mons. Fabris fungeva un po' da amministratore diocesano. Prima, però, tentavo da tutte le parti; alla fine andavo da lui, che era stato mio prefetto in seminario e mi voleva bene. Gli dicevo: «Senta, don Antonio, può aiutarmi?». Allora mi prestava trenta o quarantamila lire della curia, metteva un bigliettino nella cassa e soggiungeva: «Tacciamo sempre. Se muoio sanno che i soldi mancanti li hai tu, e se non muoio la chiave ce l'ho soltanto io. Quando me li restituirai, li rimetteremo dentro. Mi diranno che ho compiuto un'opera buona». Questo l'ha fatto decine e decine di volte. Quando mi trovavo con una cambiale da pagare e non sapevo dove sbattere la testa: «Don Antonio, - gli dicevo - mi faccia una carità...». Qualche volta la cifra chiesta era abbastanza elevata. Un'altra persona, che mi ha spesso aiutato all’ultimo momento, è stato Zuccolo, non Ciccio, ma Fortunato: mi prestava venti o trentamila lire. «Fortunato, perdoni se mi prendo questa libertà: potrebbe darmi, per piacere, un aiuto per alcuni giorni, per sette o otto giorni?». Dopo sette o otto giorni andavo in prestito da un'altra persona e gli restituivo i soldi. D'altronde bisognava fare così. Era una tragedia. Quando eravamo soli e dovevamo affrontare le spese per gli acquisti e provvedere per le paghe e tutto il resto, bisognava arrangiarsi così: erano tempi duri, veramente duri.CONGREGAZIONE storia
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PROVVIDENZA benefattori
Le chiese di San Gaetano e dei Servi si trovavano nel centro storico della città; quella di San Gaetano venne colpita durante il bombardamento del maggio 1944.
Ponte sul fiume Bacchiglione a Vicenza, lontano circa un chilometro e mezzo dall’Istituto San Gaetano.
MI339,44 [25/27-12-1970]
44. Ricordo che una volta, verso la fine del mese, quando bisognava fare le paghe, che allora ammontavano a settantamila lire e si dovevano fare il giorno seguente o quello stesso giorno, sono andato in bicicletta per la città in cerca di soldi, ma quel giorno non ho concluso niente. All’ultimo momento sarei andato da mons. Fabris, ma prima dovevo tentare se qualcuno poteva aiutarmi, darmi una mano, e così evitare la restituzione. E poi... si cercavano vie nuove. Qualcuno mi diceva: «Vedremo, ci penserò...». Quante volte mi son sentito dire: «Vedremo, ci penserò»! Quante volte sono entrato nella chiesa di San Gaetano o dei Servi per chiedere: «Signore, aiutami, dammi il coraggio di andare a domandare cinquemila lire di qua, diecimila di là...»! Potrebbe parlare l'altare della chiesa di San Gaetano, prima dei bombardamenti. Quel giorno in città purtroppo non ho concluso niente, completamente niente. Verso l'una e mezzo ritornavo a casa; era estate, e arrivato al ponte degli Angeli forai una gomma della bicicletta, cosicché fui costretto a farmela a piedi. Tutto mi riusciva male in quel giorno. Immaginate il mio stato d’animo: con il caldo di luglio, alle una e mezzo, con la gomma a terra, pieno di fame, di caldo, stanco... e il pensiero delle settantamila lire. Andavo avanti come un automa, con la gomma floscia.CONGREGAZIONE storia
PROVVIDENZA episodi di...
PROVVIDENZA benefattori
CONGREGAZIONE fondatore
Il primo incontro di don Ottorino con don Calabria avvenne verso la fine di gennaio o nella prima metà di febbraio del 1941.
Nel testo registrato don Ottorino a questo punto aggiunge scherzosamente: “Ho guardato verso San Bonifacio per salutarti, ma non c’eri”, riferendosi a don Antonio Bottegal, che all’epoca frequentava l’ultimo anno del corso teologico e la cui famiglia risiedeva appunto a San Bonifacio (VR).
Don Ottorino allude con poche parole al segno, chiesto a Dio attraverso Francesco Giuliari sul letto di morte, della conversione di una donna di vita poco corretta per decidere di dedicarsi completamente ai ragazzi orfani.
Il riferimento è a Giorgio De Antoni, amante della musica e responsabile del coro.
MI339,45 [25/27-12-1970]
45. Forse uno dei segni, che mi sono stati personalmente più efficaci per mostrarmi e convincermi che l'Opera non è mia, ma di Dio, è stata, vorrei dire, la ritrosia umana, la difficoltà umana che ho sempre provato nel fare le cose. Quando, per esempio, sono andato la prima volta a Verona per consultare don Giovanni Calabria , mi ricordo ancora che ero senza il minimo entusiasmo. In treno non avevo trovato un posto a sedere, come al solito nei treni, ed ero nel corridoio con la fronte appoggiata al vetro del finestrino e continuavo a pregare il Signore: «Fa’ che don Calabria mi dica che son matto; chissà che mi dica di non iniziare». Speravo che don Calabria mi salvasse dall'impresa, perché io sentivo che stava per iniziare un'impresa, ma speravo che lui mi salvasse da essa, anche se avevo chiesto un segno ed era venuta a confessarsi la donna da me indicata. Nonostante tutto, speravo che mi salvasse. In ogni cosa nuova che dovevo affrontare sentivo sempre un senso di ripulsa. Porto un esempio. Supponete che adesso si proponga a voi di organizzare qualche cosa per domani che è festa. Giorgio, allora, ha subito un'ispirazione: «Si potrebbe eseguire questo e quel canto». Lui, però, sa già che facendo questa proposta, dovrà poi sobbarcarsi il peso di istruire i cantori e organizzare tutto il resto. Ma lui deve parlare, ha il dovere di proporre. Non deve rimanere in silenzio pensando: «Per domani ho in programma di fare un giretto... Se faccio la proposta, è chiaro che, una volta accettata, dovrò poi prendermi l'incarico di insegnare i canti», perché sarebbe comodo per lui tacere. Vorrei dire proprio questo: ogni volta che si fa una proposta o una programmazione, si sente nell'intimo il bisogno di realizzarla, ma si desidererebbe anche che venisse scartata per non portarne il peso. Questa è la natura umana. Non so se sono riuscito a spiegarmi. Per me il segno più grande, cioè i paracarri che mi segnano la strada, è questo senso naturale di ripulsa e non la soddisfazione umana, anche se può esserci una soddisfazione nel fare la volontà di Dio, in qualche aspetto particolare e non nel suo insieme. Per esempio, stiamo trattando adesso il problema dell’attività degli audiovisivi: può procurarci una soddisfazione umana in una particolare realizzazione se ci riesce bene, ma non in tutta l’attività. Quella la portiamo avanti perché ci sembra bene che debba essere fatta. Quando si è trattato di costruire il villaggio di Bosco di Tretto abbiamo affrontato l'impegno da uomini. Così pure quando si è trattato della chiesa, dell'officina meccanica ed altro, lo si è fatto perché lo si doveva fare e non perché la natura umana ci portasse a farlo.CONGREGAZIONE
PREGHIERA al Signore
AUTOBIOGRAFIA
ESEMPI volontà
di Dio
CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
Don Ottorino soffriva di bronchite e a volte certi attacchi lo facevano tossire in continuazione. Il diacono Vinicio Picco era l’infermiere della Casa dell’Immacolata.
Cfr. Mt 28,18-20 e Mc 16,15.
Don Ottorino considera un aspetto dei viaggi apostolici di San Paolo, narrato in Atti 13-14 il primo, Atti 16-18,22 il secondo, Atti 18,23-21,16 il terzo.
Cfr. Giobbe 3,3.
MI339,46 [25/27-12-1970]
46. Adesso, per esempio, siamo saliti qui a Bosco: non direte che la natura umana ci invogli a restare qui tre giorni, almeno nei miei riguardi, se considero lo stato attuale dei miei bronchi. Lo sa Vinicio che mi ha visto stanotte tossire con insistenza. Ma che importa? Questa è una cosa secondarissima. La gioia deve consistere nel dire: «Mi pare che questa sia la volontà dì Dio», e allora avanti. Sottolineo questo perché non potete pretendere di dire: «Mah! Forse non sono capace di fare la volontà di Dio», oppure: «Temo che non sia volontà di Dio...», perché non provate soddisfazione. Quando non sentite la soddisfazione, quando vi viene la tentazione di dubitare se sia o no volontà di Dio, andate alla fonte, che è il padre spirituale, sono i vostri superiori, per controllare e mettere la firma di Dio, ma non per sentire il gusto o per togliervi il peso. Per gli Apostoli non è stata una gioia sentire il comando di Gesù: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo» , né per San Paolo affrontare i suoi viaggi apostolici. Esaminate i viaggi apostolici paolini: l’Apostolo andava in una località e quando l’ambiente era un po' formato si recava in un altro luogo per avviare una nuova comunità ed essere, magari, preso, messo in carcere, bastonato, e poi... via in un'altra parte, e sul più bello che l'ambiente si stava animando e avrebbe potuto fermarsi comodamente vi lasciava un suo discepolo e... via altrove. Questa è la nostra missione. Ora, riprendo il discorso di quel mese di luglio, quando tornavo a casa con la bicicletta per mano; stavo cercando adesso di ricordare quello che pensavo allora... Voi non immaginate neppure, umanamente parlando, quante, per così dire, maledizioni ho dato alla Congregazione - voi mi capite in che senso - durante il tratto che va dal ponte degli Angeli al seminario! «Maledetto il giorno in cui nacqui!» disse Giobbe , con lo stesso animo io pensavo: «Non avevo altro da fare? Mettermi ad iniziare una cosa simile? Quali idee strane ho avuto!». E mi trovavo a passare per gli stessi luoghi che calpestavo prima senza pensieri, dove ero vissuto come cappellano di Araceli e in oratorio mi volevano bene, dove non avevo preoccupazioni economiche, non avevo mai le paghe da fare, avevo i ragazzi dell'oratorio.VOLONTÀ
di DIO
CONSACRAZIONE
FORMAZIONE direzione spirituale
PAROLA DI DIO Vangelo
APOSTOLO missione
AUTOBIOGRAFIA
Don Ottorino si rivolge a don Zeno Daniele che spesso si recava nella parrocchia di Pessano (MI) per collaborare nel servizio pastorale, specialmente per le confessioni.
Mons. Girolamo Tagliaferro (1887-1965) era stato parroco di Araceli dal 1913 al 1931, quando divenne arciprete di Schio. Mons. Giuseppe Zaffonato fu il suo successore dal 1932 al 1939, quando divenne arciprete di Valdagno, per essere eletto nel 1944 vescovo di Vittorio Veneto e trasferito nel 1956 a Udine.
Nel 1940 era parroco ad Araceli don Mario Milan (1908-1960), che vi rimase fino al 1955, quando venne nominato canonico della Cattedrale.
Ogni volta che don Ottorino accenna all’oratorio si riferisce alla casa per la gioventù, di cui le parrocchie vicentine del tempo si servivano per l’apostolato giovanile.
Meccanico che riparava le biciclette e che abitava nella parrocchia di Araceli.
MI339,47 [25/27-12-1970]
47. Soltanto per darvi un'idea, e tu, don Zeno, che sei andato a Pessano, e hai sperimentato la gioia di fare il prete, mi potrai capire meglio, io ho vissuto il primo anno di sacerdozio in un ambiente, quello di Araceli, che raccoglieva già i frutti del lavoro di mons. Tagliaferro e di mons. Zaffonato : un posto meraviglioso! Immagina, don Zeno, di essere a Pessano, direi ancora di più, con la differenza che la gioventù dell'oratorio era tutta e solo nelle mie mani: la parrocchia era di seimilacinquecento anime; il parroco aveva il suo compito da assolvere ed io il mio; un regno, vorrei dire, anche umanamente parlando, di soddisfazione. Avevo più di cento giovani di Azione Cattolica, un centinaio di aspiranti, gli ex-allievi dell'oratorio tutte persone impiegate nelle banche da una parte o dall’altra. Avevo cioè tanti amici. Umanamente e apostolicamente parlando io mi sentivo realizzato come prete. Avevo la mia stanzetta al piano superiore per ricevere i giovani, ascoltare le loro confessioni, guidarli nella direzione spirituale; la domenica, durante la proiezione del cinema fino a mezzanotte, i giovani si davano il cambio, attendendo in due o tre fuori della porta, per incontrarmi. Mi sentivo prete! Da questa esperienza alla preoccupazione per le paghe da fare per gli operai il salto era stato grande. Quel giorno, mentre me ne ritornavo dal ponte degli Angeli e passavo per porta Santa Lucia, vicino allo sbocco di quella stradetta dell'Araceli che avevo fatto centinaia di volte per portarmi dall'oratorio alla canonica e dalla canonica all'oratorio, dicevo tra me: «Perché mi son messo a cambiare tutto questo? Eppure questa è la volontà di Dio e allora... va bene e basta! Sia fatta la sua volontà». E intanto andavo avanti, non sapendo dove pescare le settantamila lire. E pensavo: «Adesso, vado a casa, e bisogna che mi ripari la gomma». Avevo imparato anche questo, perché allora non si ricorreva a Striolo perché non c'erano i soldi, e allora si cercava di arrangiarsi.AUTOBIOGRAFIA Araceli
CONGREGAZIONE storia
VOLONTÀ
di DIO
Il notaio Giuseppe Zampieri (1893-1976), che in seguito fu anche sindaco di Vicenza, stimava don Ottorino e gli era amico.
Il vescovo dell’epoca era S. E. mons. Carlo Zinato, succeduto al vescovo Ferdinando Rodolfi che aveva benedetto l’inizio dell’Opera.
Era il tipo di automobile più diffuso negli anni del dopoguerra.
L’ing. Giuseppe Dal Conte (1902-1960) era amico di don Ottorino e aveva disegnato il progetto generale dell’Istituto San Gaetano, che poi don Ottorino aveva conservato in una cartella con la scritta: “Documenti per il manicomio”. Mons. Giovanni Zilio (1894-1966) fu per molti anni economo del seminario diocesano.
MI339,48 [25/27-12-1970]
48. Arrivato davanti al portone d'ingresso del seminario incontrai il notaio Zampieri che stava uscendo e che mi disse: «Toh, proprio lei! Dovevo venire da lei o mandarlo a chiamare, perché c’è una cosa per lei. Il barone Rossi - che io non conoscevo affatto, nel senso che non avevo mai avuto rapporti con lui - ha fatto all'Istituto il lascito di una campagna di quaranta campi a Grumolo e di un milione e mezzo di lire per la costruzione della fattoria». Mi pare che fosse nel 1946, e il milione e mezzo era una somma considerevole. Lo guardai e lui aggiunse: «È andato dal vescovo, che gli ha detto di passare all'Istituto San Gaetano». Bisogna riconoscere che fu la bontà del vescovo ad indirizzare la beneficenza verso l'Istituto San Gaetano, manifestando di volerci veramente bene. Adesso voi immaginate che dalle tasche vuote io mi sono trovato improvvisamente padrone di un milione e mezzo, proprio mentre stavo andando in prestito di soldi da una parte o dall'altra per pagare gli operai. È sempre la solita firma del Signore. È chiaro che non avevo le settantamila lire per le paghe, ma avevo la sicurezza che il Signore in qualche maniera me le avrebbe date. Era un invito al coraggio e a continuare. Era una iniezione di coraggio, quasi come l'apparizione di un angelo che dica: «Continua il cammino, non aver paura, va’ avanti, avanti!» I particolari che seguirono già li conoscete, e cioè che ancora quel pomeriggio don Aldo ed io siamo andati con la nostra Balilla a visitare la campagna con l’ing. Dal Conte e mons. Zilio, economo del seminario, e che lungo la strada, nel viaggio di ritorno, ho investito una pecora: si trattava di ammazzare una pecora o un uomo o di sbattere contro una macchina o un carretto, e fra le quattro soluzioni ho scelto la pecora. Questi fatti avrebbero dovuto far parte dal racconto di ieri sera. E quanti altri ce ne sarebbero! Ma lasciamo a voi, eventualmente, il compito di raccontarli ai nipoti. Passiamo, ora, ai doni spirituali. b) I segni collettivi spiritualiPROVVIDENZA episodi di...
PROVVIDENZA benefattori
DIO stile di...
Don Ottorino si riferisce a persone esterne alla Congregazione, che avevano seguito l’Opera fin dagli inizi. Tra queste c’era senza dubbio mons. Giovanni Sartori, all’epoca rettore del seminario diocesano e poi vescovo di Adria e Rovigo e quindi arcivescovo di Trento.
Fongara è un piccolo paese a 900 metri di altitudine, dove il vescovo di Vicenza aveva un appartamento nella casa parrocchiale per le vacanze estive. Da San Quirico, che si trova nella valle dell’Agno, a Fongara ci sono sette chilometri e mezzo di strada con un dislivello di 550 metri.
Mons. Federico Miotti, laureato in ingegneria, era stato professore di don Ottorino in seminario, dove insegnava materie scientifiche. Fu sempre legato da vincoli di amicizia con don Ottorino, che lo scelse come suo confessore ordinario fino alla morte. Dal 1955 divenne canonico penitenziere della cattedrale.
MI339,49 [25/27-12-1970]
49. Fra i doni spirituali ho posto come primissimo il dono del diaconato. L'ho posto qui, anche se nello schema l'ho scritto dopo, perché oggi è il giorno di Santo Stefano, e perché mi pare che esso sia una delle caratteristiche della Congregazione, ma anche per un altro motivo: per me è stato un segno del Signore. Quando ho cominciato a parlare a voi che io lo sognavo fin dagli inizi, forse qualcuno si sarà chiesto: «Sarà proprio vero?». Penso, poi, che abbiate sentito più di qualcuno degli amici esterni testimoniare che, privatamente, ne avevo parlato a qualcuno. La Congregazione io l'ho sognata così. Quando, tempo fa, dissi a don Calabria: «Don Giovanni, io penserei la Congregazione strutturata in questa maniera», lui mi rispose: «Non domandare questo a me, domandalo al Signore». Don Calabria, infatti, non mi ha mai permesso che dicessi a lui le finalità e lo spirito della Congregazione; lui mi ha incoraggiato, mi ha dato forza sulle linee fondamentali dello spirito, ma ha aggiunto: «Per il resto arrangiati tu con nostro Signore». Quando sono andato da mons. Rodolfi a portargli il disegno della prima casetta - ricordate bene - non ha voluto neanche vederlo; ha detto: «Io, tu lo sai, sono l'ordinario amministratore della diocesi e sai che ci metto il naso dappertutto, perciò, fammi il piacere, per quelle cose devi trattare con il Signore». Pensate che ero andato in treno fino a San Quirico, e salito a piedi fino a Fongara ; lì il vescovo mi ha trattenuto a pranzo, ma neanche in forma di amicizia ha voluto che aprissi il plico contenente il disegno di mons. Miotti, il quale aveva disegnato la prima casetta, ed ha soggiunto: «No, no! Tu capisci che, se me lo mostri, io devo dire qualcosa, e non voglio interferire nelle opere di Dio. Intenditela con il Signore; sbaglia pure su qualcosa, non importa niente. Intenditela con il Signore: è opera di straordinaria amministrazione, e deve guidarsela il Signore». Il vescovo che aveva piena responsabilità della sua diocesi e dei suoi preti, mi dava libertà di agire e mi diceva: «Arrangiati!».DIACONATO diacono
CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE spiritualità
Cfr. Mt 26,63. Don Ottorino si riferisce al fatto che Dio non faceva capire chiaramente la sua volontà, perché anche il vescovo non gli dava alcuna indicazione per non interferire nell’opera straordinaria di Dio.
Il riferimento è all’Istituto San Gaetano che è stata la prima opera caritativa e assistenziale in cui si sono espresse l’anima di carità e l’ansia apostolica di don Ottorino, rispondendo ai bisogni più concreti e immediati, ma fin dall’inizio don Ottorino pensava soprattutto alla Congregazione con la sua struttura e la sua spiritualità.
Mons. Vincenzo Fagiolo, divenuto in seguito cardinale, prima del Concilio Vaticano II faceva parte della commissione preparatoria. Quando don Ottorino gli espose la figura e la missione dell’assistente della Congregazione, per il quale chiedeva il diaconato permanente, prese a cuore la questione e ripresentò il problema all’esame della commissione, che prima era orientata a scartarlo definitivamente.
S. E. mons. Pericle Felici fu segretario generale del Concilio Vaticano II, e nel 1967 venne eletto cardinale da Paolo VI.
Nel testo registrato una voce aggiunge a questo punto: “Ai Padri Bianchi?”.
In molte congregazioni accanto ai sacerdoti ci sono i fratelli, religiosi laici che di solito non hanno compiti direttamente apostolici, ma incarichi e servizi vari all’interno della Comunità, in appoggio ai sacerdoti.
Cfr. Atti 6,1-7.
Don Ottorino mai ha voluto il diacono a servizio del prete, ma a fianco del prete, collaboratore con una missione specifica e propria nell’apostolato come animatore del servizio concreto della carità e del lavoro per dare un senso cristiano a tutte le attività umane.
MI339,50 [25/27-12-1970]
50. «Et Jesus autem tacebat». Per me è stata una prova tremenda il silenzio del Signore che taceva, e la freddezza e la difficoltà per stabilire un rapporto. Aggiungete l'aridità spirituale, e il vescovo che diceva: «Arrangiati!», e dovere andare avanti con la certezza che il Signore voleva una Famiglia religiosa con una determinata finalità mentre io dovevo provvedere in modo diverso perché altrimenti non vi sarei arrivato. L'opera caritativa è stata utilissima, santa, ma è stata un mezzo per arrivare dove Dio ci attendeva. Perciò io affermo che uno dei segni forti per la nostra Famiglia è proprio il diaconato, che è arrivato al momento giusto, all'ora giusta, ma che nel mio animo era già stato preparato prima... prima ancora del Concilio. Ricordate quando mi sono recato da mons. Fagiolo , e quando mons. Felici , durante il Concilio, mi ha detto: «Se in Concilio vi chiuderanno la porta, per voi lasceremo aperta la finestra». E ora vedete che per noi il diaconato è una realtà. Tra l’altro c'è da aggiungere che ora la Santa Sede ha sospeso ogni concessione del diaconato ai religiosi; l'ha concesso soltanto a due famiglie religiose, a noi e ad un'altra. Io già ero al corrente della motivazione perché c’è un certo movimento tra le famiglie religiose: i sacerdoti non vorrebbero che si concedesse il diaconato ai fratelli, come ad esempio i Comboniani, perché «altrimenti - dicono - sono come noi e non abbiamo più i fratelli». Non avere più i fratelli significherebbe, insomma, eliminare i fratelli. Da me sono venuti molti di loro a chiedermi consiglio in proposito. C'è tutta una mentalità da modificare... Credo che, per quanto riguarda il diaconato, sia più difficile per il prete vivere con il diacono che il diacono con il prete, cioè che il prete capisca la missione del diacono. La collaborazione tra diacono e prete e tra prete e diacono sarà una cosa meravigliosa, ma solamente quando il prete avrà capito qual è la missione del diacono e il diacono quella del prete. Nell'epistola della Messa di questa mattina si legge che i diaconi sono stati scelti, consacrati e imposte loro le mani per dare al prete la possibilità di pregare di più e dedicarsi alla predicazione. Ciò non significa che anche il diacono non deva predicare. Ma se il prete vuol fare tutto lui perché deve apparire, deve essere lui e lui e lui... è chiaro che allora il diacono diventa un servo, che questo non è il diaconato e che lui è un fratello laico.PAROLA DI DIO Vangelo
DIO stile di...
CONGREGAZIONE storia
DIACONATO
CONGREGAZIONE appartenenza
SACERDOZIO prete
Padre Dorio Maria Huot, monfortano, era sottosegretario della Congregazione dei Religiosi nel 1968 quando don Ottorino lo consultò a proposito del diaconato.
MI339,51 [25/27-12-1970]
51. Se vogliamo che sia un fratello laico con il diaconato, perché ci aiuti a distribuire la santa comunione, allora è sbagliato. Del resto, don Zeno, tu hai sentito padre Huot che diceva: «Bisogna mettere in chiaro la situazione, altrimenti dopo sorgeranno problemi», alludendo proprio a questo. Poiché ero al corrente di quanto avveniva sotto sotto nelle varie famiglie religiose, poiché ultimamente avevo avvicinato superiori e sudditi di molte, sapendo quello che c'era sotto, ho capito che la questione era tutta lì. Perciò non deve essere una rivendicazione del diacono sul prete o del prete sul diacono. Dovrebbe servirci come esempio quello che abbiamo detto in passato, e cioè che in un ospedale ci vuole il chirurgo e il medico. Se un medico, che un tempo poteva svolgere la doppia funzione di medico e di chirurgo, non accettasse la divisione dei ruoli e non volesse saperne di avere accanto un altro medico per paura di perdere il prestigio, allora rovinerebbe tutto. Ricordate l’esempio che portavo di un certo ospedale di questo mondo. C'era un medico che aveva iniziato un ospedale in qualità di medico e di chirurgo. Quando arrivò il medico, egli lo accolse malamente, sparlando di lui, e per qualche anno i due non si guardarono nemmeno in faccia. Perciò non ci fu collaborazione fra medicina e chirurgia e le spese le facevano sempre i poveri disgraziati, gli ammalati. Infatti i due non si aiutavano fra loro e c'erano come due ospedali staccati l'uno dall'altro. L'ospedale, invece, funziona bene se c'è armonia e collaborazione fra chirurgia e medicina. Bisogna che ognuno dei due reparti si senta responsabilizzato nel proprio campo e senta il bisogno di collaborare con l'altro. Nel campo nostro diacono e sacerdote devono essere due fratelli che collaborano insieme. Portiamo un caso pratico. Se, per esempio, ci fossero due sacerdoti, uno specializzato nella predicazione e l'altro nell'organizzazione dell'oratorio, è chiaro che non si sceglie quello esperto nell’organizzazione per fargli fare la predicazione o viceversa.DIACONATO diacono
ESEMPI collaborazione
SACERDOZIO prete
Nell’esempio don Ottorino nomina Mario Corato che aveva una grande versatilità per scrivere e preparare pezzi letterari per accademie, mentre subito dopo nomina don Giuseppe Biasio, dell’ultimo anno del corso teologico, dotato di passione e di capacità per la cucina.
Il riferimento è a Fernando Murari, che all’epoca stava facendo un periodo di discernimento vocazionale.
MI339,52 [25/27-12-1970]
52. Quando si è trattato di organizzare in casa nostra un po' di accademia, abbiamo detto a Mario: «Per piacere, la organizzi tu per stasera?», perché lui ha le doti per questo. Se si trattasse di preparare domani qualche altra cosa, per esempio qualcosa in cucina, allora ci si rivolgerebbe a Giuseppe che si intende di cucina... magari a far la polenta. Non ti sembra, Giuseppe? Scusami dello scherzo; tu hai altre specializzazioni, quella della carità e della diaconia con gli ammalati, e poi l'apostolato per le vocazioni in modo particolare. Credo che ognuno abbia le sue doti, le sue qualità, e allora si cerca chi ha le doti e le qualità richieste e gli si dice: “Tu prendi in mano questo”. È inutile che io incarichi Fernando , anziché Mario, di organizzare l'accademia: se Mario ne ha le doti, Fernando farà dell'altro, lo metteremo in segreteria a scrivere lettere e compilare moduli, a fare qualche altra cosa, secondo le doti di ognuno. È chiaro? Io non sceglierò la missione della predicazione se non ne ho le doti, non mi farò domenicano se non mi sento qualificato per la predicazione, come non mi farò camilliano se sento di non avere un po' di amore per gli ammalati, se provo ripugnanza... potrei farlo per virtù, ma non mi pare il caso di farlo per eroismo, quando so che, poi, ne soffrirebbero gli ammalati perché non potrei curarli come dovrei, perché, per esempio, svengo alla vista del sangue. Mi pare che anche la vocazione stessa del diacono e del sacerdote dovrebbe rispecchiare un po' quelle che sono le doti personali. Dopo può sempre accadere che un diacono faccia un po' da prete e un prete un po' da diacono. Questo è chiaro! Le reciproche missioni non sono divise con l’accetta, ma il diacono deve essere in modo particolare questo. Perciò se siamo in due in famiglia e uno è specializzato in un settore e l'altro in un settore diverso, non ci facciamo per niente torto qualora uno faccia una cosa e l'altro un'altra. Così dovrebbe essere fra il diacono e il prete. Vinicio, per esempio, è capace di fare quella determinata attività, e va bene: farà quella. Un altro è capace di farne un'altra, e va bene: farà quell'altra. Tu fai questo, io farò quello. C'è bisogno stasera di organizzare, supponiamo, un po' di accademia. Uno dice: «Beh, io vado a comperare le bottiglie e tu, intanto, scrivi a macchina quel pezzo, e così mi fai un piacere e mi risparmi una fatica». «No: io vado a prendere le bottiglie, e tu, invece, scrivi a macchina». «Beh, io avrei un po' più di pratica, conosco le persone, quindi vado io a prendere le bottiglie e tu, che hai più pratica con la macchina, scrivi a macchina». In questo modo credo che non si faccia torto a nessuno: si sta facendo tutti la stessa cosa.COMUNITÀ
conduzione comunitaria
APOSTOLO missione
CONGREGAZIONE
SACERDOZIO prete
DIACONATO diacono
COMUNITÀ
condivisione
MI339,53 [25/27-12-1970]
53. Mi pare che tutto, la grandezza, l'armonia, il bene delle anime derivino da questa semplicità e da questo mettere tutto a disposizione, senza invidie, senza confronti. Ho delle doti? Le metto in comune, come quando andiamo a comperare le caramelle e le buttiamo là sopra, nel bel mezzo, e poi le mangiamo insieme. Così dev'essere anche dei doni che abbiamo ricevuto da Dio: li mettiamo a disposizione degli altri, ma senza la preoccupazione di dire: «Voglio essere io... voglio questo...». Questo mi pare sia un po' il diaconato. Allora abbiamo una Comunità che vive in unità e nella quale c'è il massimo rendimento, perché ci sono i vari specializzati. Ti sembra bene, Michele? È inutile, per esempio, che in una famiglia di quattro persone, ognuna di loro voglia far da mangiare; se una è più capace delle altre, faccia da mangiare e io mi dedicherò ad altro. Per questo ho messo come primo il dono del diaconato. Ci sono, poi, dei doni spirituali concessi a tutta la Comunità.APOSTOLO salvezza delle anime
DIO
COMUNITÀ
unità
nella carità
Cfr. Mt 5,16. È da notare che i confratelli di cui don Ottorino parla a questo punto non erano presenti al ritiro, ad eccezione di don Zeno Daniele.
MI339,54 [25/27-12-1970]
54. È il dono che io considero preminente. Per illustrarlo, vorrei fare come avete fatto voi quando, durante l'accademia per la festa dell'Immacolata, avete presentato le Comunità di Crotone, Monterotondo e le altre con qualche cartello. Così io metterei un po' in luce alcuni membri della Congregazione, «affinché vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre vostro». Noi siamo portati per natura a osservare più le miserie che i doni, più il male che il bene, e allora io, invece di fare una difesa, direi: dopo aver esaminato i doni materiali che il Signore ci ha dato, proviamo a considerare un momentino i doni spirituali. E per primo consideriamo il dono degli uomini che il Signore ci ha dato. Adesso potrei passare in rassegna tutti i membri della Congregazione e farne un panegirico. Qui mettiamo da parte la superbia e scegliamo con semplicità alcuni di quelli che sono entrati quando erano già uomini maturi. Tante volte nella piccola cappella della Casa dell'Immacolata io vi parlavo dicendo: «Ricordatevi che voi non siete i soli. Ci sono già degli uomini preparati, che il Signore sta maturando in altri campi, in altri posti, e che poi verranno qui e si uniranno a noi. Noi siamo una parte dell'esercito, stiamo preparandoci qui, nella Casa dell'Immacolata, ma altri stanno preparandosi in altri luoghi e verranno qui e faranno unità con noi: saremo tutti fratelli».CONGREGAZIONE appartenenza
PAROLA DI DIO Vangelo
DIO
CONGREGAZIONE fondatore
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
All’epoca il vescovo di Vicenza era S. E. mons. Carlo Zinato, succeduto nel 1943 a mons. Rodolfi.
Mons. Luigi Volpato era stato il padre spirituale di don Ottorino per tutto il tempo della formazione in seminario e anche nei primi anni di sacerdozio.
Il convento di Santa Lucia, posto di fronte all’entrata del seminario diocesano, ha sempre avuto una Comunità di frati francescani zelanti e disponibili per le confessioni.
Nel 1944 don Giuseppe Molon era appena stato ordinato sacerdote. Rimase sempre legato a don Ottorino e alla Congregazione da sentimenti di stima, di affetto e di collaborazione attiva e preziosa.
MI339,55 [25/27-12-1970]
55. Ecco il primo: don Aldo. Avete mai pensato al dono immenso che il Signore ha fatto alla Congregazione dandoci don Aldo? Ieri sera dicevo che ognuno di noi è complementare all'altro: avete mai pensato come don Aldo sia complementare a don Ottorino? Quando si è trattato da parte mia della scelta di un sacerdote che mi aiutasse ho chiesto al vescovo: «Eccellenza, mi può dare uno che mi aiuti?». Sentivo la necessità di un altro sacerdote che collaborasse con me, prima di tutto per la formazione dei futuri apostoli. Si era nel 1944, e specificai il motivo al vescovo: «Eccellenza, per preparare i preti». «Preparali tu i preti». «È quello che aspettavo mi rispondesse, eccellenza». Per prepararli, però, avevo bisogno di un'altra persona, in modo che, mentre io mi dedicavo alla formazione esterna, in quella interna - pensavo a mons. Volpato - questa persona dicesse le stesse cose. Sarebbe stato inutile che io avessi detto a un giovane: «Facciamo la volontà di Dio», e questi, magari, andasse a confessarsi dai frati di Santa Lucia e si sentisse dire «È meglio che stiamo con San Francesco». No, era giusto avere una linea comune. Mi rispose allora mons. Zinato, da un anno vescovo di Vicenza: «Io non posso dartene uno così. Qui si tratta di una vocazione speciale. Hai qualcuno da indicarmi?». «Sono in cinque, eccellenza, - gli risposi - che mi hanno chiesto di venire con me», e gliene feci i nomi. «Scegli quello che vuoi». Ed ho scelto don Aldo, nonostante figurasse tra i cinque anche don Giuseppe Molon.CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE appartenenza
Mons. Guido Franchetto (1890-1962) fu dal 1937 fino alla morte cappellano della Casa Gerosa di Bassano del Grappa (VI), casa di riposo delle Suore di Carità di Santa Bartolomea Capitanio. Accompagnò sempre don Ottorino con l’amicizia, con il consiglio e anche con gesti di beneficenza.
MI339,56 [25/27-12-1970]
56. Umanamente parlando sarebbe stato da scegliere don Giuseppe Molon, che veniva già durante l'estate ad aiutare, perché mi sarebbe stato molto utile per liberarmi completamente dal peso di tutta la parte materiale per le sue doti speciali in materia. In seguito ha avuto problemi di salute in seminario, dove ha lavorato veramente in maniera indefessa nell’economato, proprio nel settore che mi sarebbe stato estremamente utile. A me, invece, interessava un sacerdote che facesse da padre spirituale ai futuri apostoli. Mi sono detto infatti: «Se non c'è un altro che prenda in mano la parte formativa, un domani io potrei assumere la direzione della casa di formazione e lui potrebbe assumersi la responsabilità degli orfani, cioè la parte caritativa, ed essere il padre dei futuri apostoli. Allora facciamo degli uomini con lo stesso spirito, altrimenti faremo degli uomini che andranno per strade diverse». Ora io credo che sia inutile fare l'elogio di don Aldo. Pensate solo allo spirito di povertà, di carità, di mortificazione, di preghiera, di vita religiosa che ha. Penso che una delle più grandi grazie che il Signore mi ha fatto sia quella di aver avuto un fratello che mi è sempre stato di esempio, un fratello che mi ha sempre sostenuto, specialmente quando mi diceva di non essere d'accordo. Vi ripeto: specialmente quando mi diceva di non essere d'accordo. Perché? Perché allora mi faceva fare l'esame di coscienza più approfondito, mi faceva meditare di più. E più d'una volta, quando mi diceva di non essere d'accordo, io mi sono fermato aspettando uno o due giorni, e mi consigliavo o con mons. Franchetto o con qualche altro. Ritornavo alla carica, magari dopo un anno, come successe per le Costituzioni.CONGREGAZIONE storia
CONSACRAZIONE religioso
Questo viaggio di don Ottorino e don Aldo a Lourdes per chiedere luce alla Madonna sul futuro dell’Opera avvenne dal 7 al 14 maggio 1960.
Il vescovo Zinato si manifestò sempre contrario al diacono permanente, e obbligò don Ottorino ad un’attesa prolungata e sofferta.
Nel testo registrato don Ottorino a questo punto aggiunge scherzosamente riferendosi forse a don Luigi De Franceschi: “Come faceva ieri il nostro caro don Luigi che scuoteva la pianta di fichi, perché durante la partita a carte diceva: Scuotiamo il pero”.
MI339,57 [25/27-12-1970]
57. Ricordate quando presentai a don Aldo le linee del nostro programma? Lui, poveretto, era venuto nella Congregazione attratto dalla parte caritativa, perché vi aveva visto inizialmente solo un'opera caritativa, gli orfani: veniva di sera, aderiva a questa forma di assistenza e si era entusiasmato. Erano tre anni ormai che io già progettavo, o meglio erano sette anni che stava maturando in me l'idea della famiglia religiosa in quella determinata forma. Per lui fu un colpo quando gli presentai certi punti precedentemente formulati in modo generico, ma non sufficientemente digeriti. E quando gli presentai il foglio con un po' di schemi mi disse: «Va bene, ripenseremo, rivedremo». Un anno intero abbiamo lasciato quel foglio sotto la cenere, un anno intero, e dopo un anno siamo andati insieme a Lourdes, dove abbiamo celebrato la Messa, presentato il foglio alla Madonna, fatto la Via Crucis... e siamo stati insieme per due ore a discutere. Nel frattempo ho tirato fuori il foglio e gli ho detto: «Guarda!». Dopo un esame mi rispose: «Così mi piace, non come quello dello scorso anno!». Ed era lo stesso foglio, dattiloscritto, dell'anno precedente. Il Signore aveva lavorato. Ricordo che abbiamo cantato il “Magnificat” alla Madonna con vera gioia, proprio con il cuore, e abbiamo ringraziato il Signore; poi io ho ringraziato lui e lui ha ringraziato me, e insieme Dio, perché così il disegno dell'opera era maturato maggiormente. Così avvenne per il diaconato, quando il vescovo ci ha fermati un pochino. Umanamente parlando sembrava una croce, ma invece è stata una grazia immensa l’attesa di un anno perché ci consentì di meditare di più, fare un esame più approfondito e prepararci meglio. In don Aldo io ho visto questo grande dono di Dio, l'uomo di Dio che mi ha aiutato a non mettere niente di umano nell'Opera, ad approfondire la volontà del Signore; vorrei dire che mi ha dato la forza di continuare nella volontà di Dio. E quando si era stabilita insieme una decisione, mi ha accompagnato fino in fondo fraternamente, proprio fraternamente. Se nella Congregazione ci fosse anche un solo uomo così, credo che non ci sarebbe da perdere il coraggio, anche se dovessero venir giù degli scrosci furiosi. Quando pensiamo che nella Congregazione c'è un uomo come don Aldo, non c’è da aver paura anche se cadesse qualche pera. Esaminiamo ancora gli uomini di una certa età, cioè coloro che sono entrati già maturi.CONGREGAZIONE storia
MARIA Lourdes
DIACONATO diacono
VOLONTÀ
di DIO
Il card. Ermenegildo Florit fu arcivescovo di Firenze dal 1962 al 1977. In seguito alla contestazione di don Enzo Mazzi, parroco all’Isolotto di Firenze, chiese nel gennaio del 1969 che la Congregazione accettasse quella parrocchia, ove i religiosi andarono il mercoledì santo 3 aprile 1969.
Don Giuseppe Rodighiero, del quale don Ottorino parla subito dopo, nel 1969 era insegnante nel corso liceale e accompagnava la formazione dei novizi.
MI339,58 [25/27-12-1970]
58. Pensiamo a don Pietro De Marchi. Io ho una venerazione per questi uomini e non ne ho alcun merito perché né don Aldo, né don Pietro li ho preparati io. Pensate quale impronta don Pietro ha dato alla Comunità dell'Isolotto e a tutta quella famiglia parrocchiale! L'ultima volta che vi sono andato sono rimasto colpito, perché è un uomo che prega, un uomo che crede, anche se è un uomo che evidentemente ha i suoi limiti, - tutti noi li abbiamo e bisogna che partiamo da questa idea - ma pieno di Dio e interamente donato al Signore. Quando facciamo visita al card. Florit , il quale mi ha mandato una lettera esaltando don Pietro e tutti i religiosi, ci sentiamo dire da lui: «Voi ci avete mandato dei santi, proprio dei santi. Ah, don Pietro!». In fin dei conti, se non avessimo avuto don Pietro in quel momento particolare, forse non avremmo accettato la parrocchia dell'Isolotto, perché eravamo nel pieno svolgimento degli studi, né potevamo prelevare don Giuseppe Rodighiero, impegnato nella scuola. È difficile affrontare l'Isolotto! Un uomo come don Pietro, della sua età, con il suo spirito, ci ha dato la possibilità di affrontarlo. Una Congregazione che dispone di un elemento come lui ha senz’altro grandi potenzialità.CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE appartenenza
Con questo termine don Ottorino vuole indicare che don Giuseppe Rodighiero è entrato in Congregazione già sacerdote, proveniente dal clero diocesano di Padova.
Mons. Leone Carpendo (1889-1966) era dal 1933 rettore del collegio vescovile Graziani di Bassano del Grappa (VI), scuola parificata a quella statale come tutte le altre nominate successivamente.
È la benedizione che il Papa dà “alla città e al mondo” nelle grandi solennità. Don Ottorino usa l’espressione in tono scherzoso.
Mons. Vincenzo Sebben (1898-1968) fu per molto tempo rettore del collegio vescovile di Thiene (VI), dove frequentavano gli studi ginnasiali i seminaristi della diocesi di Padova. Conobbe don Ottorino nell’occasione qui indicata, e da allora i due rimasero legati da profonda stima e reciproca amicizia.
Nel testo registrato don Ottorino è molto sintetico nel racconto. Il fatto avvenne nel 1960, quando dieci alunni della Casa dell’Immacolata si presentarono per gli esami statali di 5ª ginnasio al Pigafetta di Vicenza come privatisti: due soli risultarono promossi, uno respinto, e gli altri rinviati agli esami di riparazione con due o tre e anche quattro materie. Gli stessi alunni, agli esami statali di licenza media, erano stati tutti promossi con buone classificazioni. Alla fine il collegio vescovile di Thiene aprì le porte per gli anni successivi.
Don Giuseppe Rodighiero nel 1961 era vicerettore del collegio vescovile di Thiene (VI), e i contatti frequenti con don Ottorino e con la Casa dell’Immacolata lo spinsero ad entrare in Congregazione; poté realizzare il suo desiderio solamente il 31 gennaio 1968.
Don Zeno Daniele venne a conoscere la Congregazione per mezzo di don Giuseppe Rodighiero. Infatti questi non ottenne subito il permesso dal vescovo per farsi religioso, ma fu mandato a studiare all’università di Padova e di qui andava come cappellano festivo a Villatora, il paese di don Zeno. Quest’ultimo era ragioniere con una sistemazione lavorativa sicura e invidiabile. Anch’egli decise di entrare in Congregazione nel 1964. La sua non fu dunque una evasione, così da dire: “Zappare non ho forza, mendicare mi vergogno, so io che cosa fare: andrò a San Gaetano” (cfr. Lc 16,3-4). Si nota il tono scherzoso con don Zeno, che era presente al ritiro.
MI339,59 [25/27-12-1970]
59. E don Giuseppe Rodighiero? Un altro anziano , che il Signore ha preparato in un altro posto, venuto poi da noi attraverso fatti che, umanamente parlando, sembravano disgrazie. Era andato male l'esame statale di 5ª ginnasio dei ragazzi della Casa dell'Immacolata ed era rimasto un po' di disappunto verso i professori del liceo Pigafetta, perché ci erano sembrati ingiusti. L'anno successivo cercai in varie parti una sede scolastica, dove i nostri ragazzi potessero sostenere gli esami. Mi rivolsi al collegio Graziani di Bassano il cui preside mons. Carpenedo mi disse di no, ai padri Cavanis di Possagno che mi dissero di no, al collegio Barbarigo di Padova che mi disse di no: umanamente parlando veniva voglia di dare qualche benedizione «urbi et orbi» . Infine mi rivolsi al collegio vescovile di Thiene, a mons. Sebben, il quale mi disse di no. E io risposi: «Pazienza!», e alla mia risposta è crollato. Alla fine sorse tra di noi un legame di amicizia, e don Giuseppe cominciò a frequentare la Casa dell’Immacolata finendo per cadere. Amici, credo sia inutile dirvelo: anche questo è un dono meraviglioso di Dio. A questi si potrebbe aggiungere anche un altro: don Zeno, anche se lui non è un santo prete. Lo dico per farvi capire un pochino come il Signore chiama anche uno adulto, già sistemato e senza problemi. Don Zeno infatti non ha dovuto dire: «Fodere non valeo, mendicare erubesco, scio quid faciam: ibo ad Sanctum Caietanum». No, no, aveva il suo posto di lavoro, la sua sistemazione, e attraverso la via misteriosa della grazia e di don Giuseppe Rodighiero è finito proprio per venire nella nostra Famiglia religiosa. Avevo detto che avrei scelto tre o quattro esempi dei confratelli più anziani. Adesso invece consideriamo alcuni che sono cresciuti in casa fin da giovani.CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE appartenenza
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
L’inizio della missione a Presidencia Roque Sáenz Peña nel Chaco (Argentina) avvenne nel luglio del 1967, e don Pietro Martinello compiva ventisette anni alla fine del mese. Con lui partirono don Graziano Celadon e gli assistenti Antonio Ferrari, Mirco Pasin e Antonio Zordan, la cui età era compresa fra i 23 e i 29 anni.
Don Paolo Crivellaro, che nel testo originale don Ottorino chiama confidenzialmente Paolino, faceva parte all’epoca della Comunità di Monterotondo (Roma) perché stava studiando teologia biblica presso la Pontificia Università Gregoriana.
Il diac. Giovanni Orfano aveva frequentato il corso teologico presso il seminario diocesano, si era specializzato come tipografo, ed era stato consacrato con il primo gruppo di diaconi il 22 gennaio 1969; all’epoca faceva parte della Comunità dell’Isolotto di Firenze.
Il diacono Giuseppe Lorenzo Creazza faceva parte della Comunità di Crotone, dove era stato consacrato dal vescovo mons. Pietro Raimondi il 19 marzo 1969
MI339,60 [25/27-12-1970]
60. Ad esempio don Pietro Martinello. Io credo che un ragazzo, scusate la parola, di ventisette anni, - mi pare sia partito a neanche ventisette anni - che parte e lascia la patria, a capo di una spedizione per l'interno del Chaco... è un matto. Ma siamo stati matti anche noi a mandarlo. Ricordo il salto che fece in segreteria, quando gli comunicai che sarebbe partito, e quello che mi confidò: «Non le ho mai detto niente perché pensavo che avrebbe mandato me... ma avevo paura che se le avessi manifestato il mio desiderio non mi avrebbe mandato». E fece un salto dicendomi: «Don Ottorino, grazie!». Era contento. L'ultima volta che mi recai da lui nel Chaco mi disse: «Don Ottorino, sono giovane, giovane; non vede quanto siamo giovani?». E io gli ho risposto: «Ti sei accorto adesso che sei giovane? Ringrazia il Signore. Sono già due anni che ti trovi qui». Pensate che cosa non ha fatto questo figliolo! Voi direte: «Ha commesso anche qualche piccolo errore». Ma, via... e d'altra parte chi è che non commette qualche piccolo errore? Per me è stato un eroe per avere saputo affrontare la vita con le sue difficoltà, la direzione di una Comunità, il vescovo, il caldo e tutte le difficoltà, comprese quelle economiche. Poi, tanto per prenderne un altro, consideriamo don Paolo Crivellaro. Chi non si sentirebbe di inginocchiarsi davanti a questo ragazzo, sereno e contento, con un'umiltà eccezionale? Mi domando: San Luigi Gonzaga era diverso da don Pietro e da don Paolo? Se il Signore vuole dei santi più grandi, se li faccia lui perché io non posso farlo. In questi giorni ci siamo recati a Roma. Dice mai di no, don Paolo? Pensate, aveva un esame da fare, e io gli ho chiesto: «Potresti venire con me?», e mi ha risposto: «Sì, sì». «E l'esame?», gli hanno chiesto i confratelli. «Ah, non importa, non importa!». È sempre disponibile, veramente disponibile! Osserviamo, poi, due diaconi. Il nostro caro Giovanni Orfano si è formato bene: lo si vede ben preparato, con il suo carattere, il suo stile all'Isolotto, anche lui sul piano di don Paolo. Il diacono Lorenzo Creazza, il nostro caro Lorenzo, lavora a Crotone con spirito missionario, con vera dedizione, con spirito di intima preghiera e unione con Dio. . Voi capite che, tanto per darvene un'idea, se oggi prendessi in mano il telefono e dicessi ad Orfano: «Giovanni, fa’ un piacere, vieni qui a Vicenza perché domani dovrai partire per il Brasile», che cosa risponderebbe Orfano? «Don Ottorino, eccomi, vengo!». Creazza direbbe altrettanto. Da questo capite il valore di questi gli uomini.CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE appartenenza
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
Allusione all’episodio dell’intercessione di Abramo (Gen 18,22-33), anche se il testo biblico arriva ad un minimo di dieci giusti.
Don Ottorino ritorna a scherzare con don Zeno Daniele perché era presente.
Don Ottorino era al corrente che da tempo ormai le sue meditazioni venivano abitualmente registrate.
Espressione riferita a Sant’Ignazio di Loyola quando, ammalato rimase colpito nel leggere alcune vite di santi e decise di convertirsi. Nel testo registrato don Ottorino la cita in latino: “Si isti et istae, cur non ego?”.
MI339,61 [25/27-12-1970]
61. Mi fermo qui, mi fermo qui. Ne ho citati soltanto otto. Se per cinque giusti il Signore avrebbe risparmiato la Pentapoli... immaginiamo con otto; togliamo don Zeno e ne rimangono ancora sette. Però attenti: perché ho anche voluto sottolineare i nomi e non dirli in forma generica? Perché ad un dato momento non capiti che venga la voglia di dire: «Vedi, se n’è andato questo, se n’è andato quell’altro; ma allora, allora...». Anime di Dio, guardate che è una tentazione del demonio, guardate che nella Congregazione abbiamo alcuni santi con l'S maiuscola! Spero che non andrete a divulgare queste cose. Penso che tu, se stai registrando, devi cancellare quest’ultima frase perché non deve uscire da questo ambiente. Spegni il registratore! Ne ho nominati alcuni, ma ce ne sono degli altri: Perciò: «Se sono stati così questi uomini e queste donne, perché non posso esserlo anch’io?». Anche questa è una grazia non indifferente di Dio, eh! Non bisogna scherzare dinanzi a certi doni del Signore. Che non siano solo le persone esterne ad accorgersi di queste cose! Che in noi non ci sia, invece, un senso proprio di pettegolezzo, per cui vediamo soltanto la parte negativa dell'uno e dell'altro e non ci accorgiamo che c'è una parte positiva meravigliosa, grandiosa. Se vogliamo guardare, dopo una camminata sul Novegno o sul Pasubio, i piedi di tutti, sono certamente un po' sporchi. Anche i piedi di Gesù, e infatti se li lavava. Non dobbiamo fermarci a guardare quel po' di umanità che possiamo trovare in tutti, anche in quelli che ho nominato adesso, per quanto bravi e buoni siano... anche in don Aldo, - beh, lasciamo stare il sottoscritto, perché ieri sera ho detto che cosa sono! - anche in don Pietro, in don Rodighiero, in don Paolo, in Creazza. La parte della debolezza umana c’è sempre. E perché dobbiamo essere così crudeli di mettere subito il dito sulle debolezze umane e dimenticare, invece, tutto quello che c'è di positivo? Questo sarebbe un atto di grande ingiustizia verso Dio, prima ancora che verso i fratelli, perché Dio ha creato questi uomini e ha dato loro delle grazie straordinarie.CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE appartenenza
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CROCE Demonio
ESEMPI critica
APOSTOLO uomo
COMUNITÀ
critica
Allusione al passo di Es 8,15, dove i maghi egiziani riconoscono i segni di Dio.
Nel testo registrato, alludendo scherzosamente a Raffaele Testolin, don Ottorino a questo punto aggiunge: “Non il nostro, ma quell’altro”.
Cfr. Tobia 12,16-22.
Nel testo registrato don Ottorino scherza un po’ con don Matteo Pinton, che nella sue note di spiritualità insisteva sull’atteggiamento di autentica umiltà e povertà davanti a Dio, base necessaria per ogni preghiera, e ricordava la preghiera del pellegrino russo il quale non faceva che ripetere intensamente l’invocazione: “Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore”, simile alla preghiera del pubblicano nella parabola di Gesù (Lc 18,13).
Il riferimento è a Daniele Galvan che all’epoca stava frequentando l’ultimo anno del corso teologico nel seminario diocesano.
Allusione al fatto che don Matteo Pinton andava la domenica a celebrare la Messa e a predicare nella parrocchia dei Servi, al centro della città.
MI339,62 [25/27-12-1970]
62. Quindi dobbiamo vedere la provvidenza in questo, prima ancora che nel pezzo di pane o nei dieci milioni. Perché - insisto - non sono soltanto questi otto nominati, ma ce ne sono tanti altri anche più giovani di noi, che devono essere motivo di edificazione proprio anche per noi. E quando vediamo in chiesa qualcuno più giovane che prega, qualcuno davanti al Signore in atto di adorazione, in contatto con Dio, possiamo dire: «Insomma, insomma, qui il Signore sta lavorando». Quante volte ho sentito persone esterne dire: «Lei sarà stato anche bravo quanto vuole, ma, mi scusi, non è possibile che un uomo faccia queste cose da solo; qui non c’è solo il dito di Dio, ma anche il piede». Un giorno, sotto il portico dell'Istituto, una persona mi ha detto: «Qui c’è anche il piede del Signore, non solo il dito». Molta gente si accorge che nella nostra Famiglia c'è il dito di Dio. Dobbiamo accorgercene anche noi, non per insuperbircene, perché quando Tobia e Tobiolo si sono accorti di Raffaele che cosa hanno fatto? Si sono prostrati per ringraziare il Signore. Dinanzi ai doni di Dio noi dobbiamo sentire il bisogno di dire le parole del nostro padre Matteo: «Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore», come pregava il pubblicano. Qui nei miei fogli c’è ora questa aggiunta: «Nota Bene: una nota stonata si sente tra cento e fa più impressione. Però la realtà è realtà». Supponiamo che in una Famiglia religiosa composta di cento religiosi ce ne sia uno, per esempio Daniele , che domani vada a rubare in una banca e lo mettano in galera. «Oh, San Gaetano! Avete sentito? Guardate che cosa fanno! E poi vanno in chiesa, vanno a predicare ai Servi , vanno di qua, vanno di là, fanno perfino il cinema sul Vangelo... guardateli! Che pensino per loro prima!». Anime di Dio, perché vogliamo condannare tutto il collegio apostolico per uno che ha tradito il Signore? Perché vogliamo commettere questa ingiustizia? E perché la vogliamo commettere noi in casa nostra? Guardate che è un'ingiustizia contro Dio, contro la bontà di Dio. Perciò ammettiamo le nostre miserie, comprendiamo con tanta carità quelle dei fratelli, ma nello stesso tempo crediamo che, se Dio diffonde delle grazie attorno a noi, è perché cresciamo, non perché diminuiamo, nello spirito e, aggiungerei anche, nell'entusiasmo di seguirlo.CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE appartenenza
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CROCE Demonio
ESEMPI critica
APOSTOLO uomo
COMUNITÀ
critica
VIRTÙ
umiltà
DIO bontà
di...
CARITÀ
Papa Giovanni XXIII, un giorno, parlando del Vangelo nella vita cristiana, usò le stesse espressioni e anche le stesse parole che don Ottorino da anni ripeteva ai giovani della Casa dell’Immacolata e aveva scritto “su certe carte”.
Padre Giuseppe Mellinato, della Comunità dei Gesuiti di Bassano del Grappa (VI), negli anni 1963-1967 fu insegnante di filosofia e di pedagogia nella Casa dell’Immacolata.
Don Ottorino non solo usava sempre molti paragoni nelle sue meditazioni, ma spesso li presentava plasticamente e concretamente sotto gli occhi con azioni simboliche. Una volta presentò sull’altare un calice dorato, un bicchiere normale e una scodella tutta rotta e sporca, per far capire la vita come vocazione. Un'altra volta mandò ad accendere le candele dell’altare: dapprima con uno stoppino spento, poi con lo stoppino acceso ma protetto dalla mano così da impedire l’accensione delle candele, e finalmente con lo stoppino acceso che comunica la fiamma. Con ciò voleva far capire che l’apostolo, se è spento lui, non potrà accendere gli altri; se è acceso, ma tiene la fiamma per sé oppure allontana le persone con un atteggiamento umano scostante, non raggiunge lo scopo; l’apostolo deve essere quindi acceso dell’amore di Dio e saperlo comunicare.
Il riferimento è agli incontri che don Ottorino faceva con i religiosi durante le vacanze natalizie e pasquali ad Asiago (VI), o nella casa di Val Giardini o, negli ultimi anni, in quella presso il Tiro a segno, per ricercare insieme i punti fondamentali della spiritualità della Congregazione.
Don Ottorino sottolinea che le idee forti della spiritualità e del carisma sono state scoperte insieme, e legge in questo fatto una presenza speciale di Dio.
Il signor Ermanno De Antoni, fratello di don Aldo e zio di Giorgio De Antoni allora studente del corso teologico, lavorava presso l’officina meccanica dell’Istituto San Gaetano.
La chiesa della Casa dell’Immacolata fu costruita in pochi mesi, da maggio a ottobre 1960, con la collaborazione dei giovani della casa stessa che si prestarono come manovali, imbianchini, aiutanti. Si arrivò a completarla alle due del mattino della domenica 2 ottobre, quando si doveva dare inizio al nuovo anno scolastico.
Don Enzo Mazzi e la parrocchia dell’Isolotto furono tra il 1967 e il 1969 l’esempio più clamoroso di contestazione nella Chiesa italiana.
MI339,63 [25/27-12-1970]
63. Un altro dono collettivo è «lo spirito che anima la Congregazione, conforme allo spirito evangelico, alle direttive della Chiesa e ai bisogni dei fratelli». Non so se ricordate un certo discorso fatto un giorno da Papa Giovanni. In casa allora uscì questo commento: «È stato lui a copiare da noi o noi da lui? Su certe carte, proprio con certe parole...». Quando nel Concilio si dissero certe cose sulla formazione dei preti, padre Mellinato ne parlò a scuola, poi mi prese in disparte e mi disse: «Lei sapeva che a Roma si diceva questo?». E voi, o almeno qualcuno di voi, ricorda questi particolari. Mi sembra che faccia una certa impressione notare che quello che noi dicevamo quindici anni fa non abbiamo dovuto cambiarlo perché è venuto un Concilio. Se a quel tempo avessimo avuti i registratori e registrato, forse allora il linguaggio sarebbe stato più figurato attraverso esempi e paragoni perché era necessario parlare attraverso i segni, ad esempio attraverso il segno del «calice, del bicchiere e della scodella», oppure della «candela e dello stoppino», però stringi, stringi, mi pare che non sia cambiato niente della nostra linea spirituale. Nessuno di noi può vantarsi di questo, né io, né voi, perché la maggior parte delle cose che sono state scritte e dette le abbiamo scoperte insieme ad Asiago, riuniti come adesso qui, discutendo, parlando, pregando. Certe frasi le abbiamo buttate giù insieme. Amici miei, questo è un altro segno che Dio è con noi. Infatti, se dobbiamo fare una cosa insieme, è evidente che il Signore deve aver preparato prima gli uomini. Ricordo, Giorgio, che tuo zio Ermanno , qualche giorno prima che fosse finita la chiesa dell'Immacolata e propriamente il venerdì sera, e la domenica successiva avremmo dovuto benedirla, venne a vedere lo stato dei lavori e mi disse: «È impossibile che sia ultimata per domenica, è impossibile!». Mancavano tutt'attorno alle pareti le immagini dipinte dei santi. Era un disastro. Alle due di notte abbiamo cantato il “Magnificat”. Quando la domenica successiva venne tuo zio esclamò: «No, non credevo che riusciste, non avrei creduto neanche per sogno». Ma perché non avrebbe dovuto credere? In fin dei conti si trattava di collocare le immagini dei santi che avevamo già pronte e bastava fissarle, e provvedere poi a tutte quelle piccole cose, come i lampadari, che fanno subito cambiare aspetto e danno un'altra tonalità. Ad un dato momento è stato un insieme di cose che in una giornata sono state sistemate, ma che erano già preparate in precedenza. Se il Signore vuol preparare una Chiesa nuova, lui stesso prepara e monta i pezzi, e li monta al momento opportuno. Per far rinascere, supponiamo, la vita spirituale dell'Isolotto, il Signore non ha cominciato a preparare i suoi uomini dopo la ribellione di don Mazzi, ma anni prima aveva cominciato a preparare don Pietro e al momento giusto l'ha messo là, nella sua nicchia.CONGREGAZIONE spiritualità
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CHIESA Concilio
DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
CONGREGAZIONE storia
DIO stile di...
Il riferimento è evidentemente al messaggio natalizio del Santo Padre.
Don Ottorino sembra interpellare in questo caso Mario Corato.
MI339,64 [25/27-12-1970]
64. Dovete pensare che la Congregazione ha una missione nella Chiesa di Dio e che il Signore non poteva aspettare il Concilio ecumenico per dirci: «Adesso incominciate di qua»; bisognava preparare prima. Ecco perché io sono convinto che ci sono nel mondo molte vocazioni adulte che stanno aspettando di entrare da noi. Il Signore deve averle già preparate, perché la Congregazione non può aspettare quindici anni, prendendo gli aspiranti in giovane età e formarli; il Signore non può aspettare questo. Bisogna pure che noi andiamo a cercarle queste vocazioni, non possiamo neppure attendere che vengano da sole perché c'è una parte che dobbiamo fare noi: andare alla loro ricerca. E quando ci accorgiamo che un'anima vibra come don Pietro De Marchi o don Giuseppe Rodighiero, cioè vibra con la Chiesa, allora domandiamoci se, per caso, Dio l'ha chiamata a venire tra noi. State certi che queste anime sono già preparate... È importante sentire che siamo con il Papa, e che ogni discorso del Papa ci conferma nel nostro cammino. Anche il discorso di ieri non mi pare che ci abbia invitato a cambiare parlando in modo diverso del nostro pensare. Mario, che ne dici tu? È una gioia per noi sentire che siamo con Cristo, che siamo con il Papa, che siamo con la Chiesa. II fatto che il Signore ci abbia guidato, anche nei particolari, ad essere con il Papa e la Chiesa, mi pare che sia per noi una gioia, un segno.CONGREGAZIONE missione
CHIESA Concilio
CHIESA Papa
Don Ottorino si riferisce alla traccia scritta che aveva preparato per trattare temi così importanti, allo scopo di evitare imprecisioni.
Cfr. Atti 17,32. Don Ottorino chiama scherzosamente fiaschi gli insuccessi nell’apostolato.
Nel testo registrato interviene a questo punto don Matteo, che aveva trascorso alcuni anni a Monterotondo durante i suoi studi universitari, dicendo: “A Monterotondo c’è un clima particolare!”.
Don Zeno Daniele aveva visitato le Comunità dell’America Latina accompagnando don Ottorino nel suo terzo viaggio, e il diac. Vinicio Picco accompagnando don Aldo.
Cfr. Gv 4,35-38.
MI339,65 [25/27-12-1970]
65. «Le prime esperienze apostoliche, - ho messo per iscritto queste parole perché avevo paura di dire delle bestialità come tante altre volte - sebbene segnino le inevitabili carenze umane, sono certamente positive». È un'affermazione che mi permetto di fare. Se volete aprire un contraddittorio, facciamolo. Per conto mio le prime sperimentazioni umane mostrano, evidentemente, la mancanza di esperienza È il caso anche degli Apostoli. Ricordate San Paolo ad Atene, quando la folla gli grida: «Ti sentiremo su questo un'altra volta». Penso che gli Apostoli, se sono stati furbi, non hanno resi pubblici tutti i loro insuccessi, che senz’altro devono aver fatto; qualche errore proprio palese l’hanno manifestato, ma non tutti quelli fatti di nascosto, e quando li hanno notificati, avranno pensato: «Piuttosto che li palesi un altro, meglio che li diciamo noi!». Penso che anche loro abbiano fatto i loro fiaschi! Non possiamo pretendere che iniziando una missione, per esempio a Crotone, non ci siano dei fiaschi... sarebbe pazzesco, audace, pensare che si inizi e non si faccia qualche fiasco! Così a Monterotondo, come ho visto anch'io, qualche errore iniziale c'è stato, per forza! Però facciamo un po’ di bilancio: possiamo dire che lì il lavoro non è stato efficace? Prima non c'era niente, assolutamente niente. L'ultima volta che ci sono stato, la settimana scorsa, alla Messa vespertina - si celebrava una Messa alla mattina, una alle cinque e una alle sette della sera per la novena del Natale - ho contato settantacinque persone: era giorno feriale, con la novena del Natale, ma anche se ci fossero state solamente dieci persone sarebbe consolante. Si può pretendere che in pochi anni ci sia già un fiorire di vita cristiana? Analizzate come gli Apostoli ci raccontano la storia della nascita di una comunità cristiana: se si trattasse di creare una comunità di esaltati, allora sarebbe diverso; ma per fondare una comunità di cristiani che abbraccino il cristianesimo ci vogliono anni e anni. È quello che ho notato a Monterotondo, dove ci sono alcuni cristiani che seguono realmente il cristianesimo. A Crotone sta succedendo la stessa cosa. Agli inizi c’è un momento di entusiasmo, poi l'allontanamento, finché non ne sono rimasti alcuni che seguono il cristianesimo con convinzione. Questo si può affermare anche per il Guatemala, l’Argentina e il Brasile. Voi, don Zeno e Vinicio, che avete visitato queste missioni, potete affermare che non si è fatto un vero e proprio lavoro? Anche se non avessimo raccolto niente, il sacrificio avrebbe apportato già un bene in altra parte del mondo. Ma il Signore ci ha benedetti anche sul piano del raccolto, e anche se è vero che alcuni seminano e altri raccolgono, per noi anche sul piano del lavoro apostolico e del raccolto i risultati sono stati fruttuosi.CONGREGAZIONE missione
PAROLA DI DIO Sacra Scrittura
CROCE fallimento
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
PASTORALE
MISSIONI vita missionaria
Cfr. Gv 6,67.
MI339,66 [25/27-12-1970]
66. Se noi vogliamo puntare l'obiettivo solo sulle carenze umane, solo sui fiaschi umani, che anche i più grandi santi hanno fatto e che non sempre, come Gesù Cristo per primo ce lo dimostra, sono fiaschi dovuti a una mancanza umana, ma tante volte sono permessi da Dio, in quanto ci vuole una volontà anche dall'altra parte... allora niente mai sarebbe perfetto. Il prete non è una ruspa che fa violenza, ma uno che invita, uno che stende la mano, per cui è necessario che ci sia una risposta dall’altra parte, un altro che allunghi la sua, perché il prete non può violentare le volontà. Quante volte il Signore ha parlato alle folle che poi lo hanno abbandonato! A Cafarnao a un dato momento ha detto agli Apostoli: «Volete andarvene anche voi?». Perciò mettiamo già in preventivo che anche il più bravo, sotto l'aspetto umano, degli apostoli, il più capace, il più attento ad ogni particolare e anche il più santo, può benissimo non raccogliere niente. Abbiamo l'esempio di Gesù Cristo e quello degli Apostoli. Ma restiamo fermi su questi particolari: «Le prime esperienze apostoliche, sebbene segnino le inevitabili carenze umane, sono certamente positive». Sapevamo infatti che, mandando don Pietro e confratelli, qualche sbaglietto l'avrebbero fatto. Bisogna acquistare esperienze, anime di Dio! Una mamma che si prende cura per la prima volta del suo neonato è brava se non lo manda in paradiso se non c’è accanto la nonna del piccino! Da sola si trova in difficoltà: giralo di qua, giralo di là, come si fa, come non si fa? Quando invece arriva il secondo figlio può dire: «Ormai ho imparato. Se il Signore me ne manda un altro... Ebbene, con il primo ho sbagliato, ma con il secondo e con il terzo... Ebbene, che il Signore ne mandi pure adesso». Una volta facevano così perché la mamma aveva imparato... Ricordo che a Crotone don Marcello mi disse: «Il primo anno è stato così. Però, se fosse adesso, non incomincerei allo stesso modo...». Tutti dovrebbero dire così. Anche noi, se si dovesse costruire adesso il Villaggio San Gaetano, lo faremmo così? Forse si approfitterebbe di qualche piccola esperienza nel modo di farlo, di organizzare i lavori; forse si risparmierebbe del tempo qua e là. In tutte le cose umane avviene questo. Ma questo significa che non abbiamo acquistato merito, che non abbiamo fatto la volontà di Dio, che abbiamo seguito il nostro capriccio? Questa è un'altra cosa! Sappiamo che nel campo apostolico tutto va a finire nelle mani del Signore. Perciò io direi, e penso che siate d'accordo anche in questo, che le nostre esperienze missionarie sono state sostanzialmente efficaci. Sei d'accordo, don Zeno? Osserviamo, per esempio... Beh, lo vedremo più avanti.CROCE fallimento
SACERDOZIO prete
APOSTOLO
CONGREGAZIONE appartenenza
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CONGREGAZIONE storia
VOLONTÀ
di DIO
Tipo di auto utilitaria, di 600 cm³ di cilindrata, che dopo le prime incertezze ebbe un enorme successo tra il 1955 e il 1965.
Forse don Ottorino ascoltò questa frase durante un viaggio in America Latina.
Il riferimento è al duro lavoro delle edizioni che stavano pubblicando l’edizione popolare illustrata del Vangelo e dell’Antico Testamento prolungando l’attività dell’associazione MIMEP di Pessano (MI).
Pio Reghellin e Giovanni Dalla Costa erano due amici di Bosco di Tretto, che si incontravano spesso per le strade della zona.
MI339,67 [25/27-12-1970]
67. E qui permettete un paragone, tanto per non smentire me stesso. «Anche le più attrezzate industrie, dopo avere studiato un prototipo di macchina, sanno che con l'esperienza dovranno apportarvi delle modifiche. Ciò non squalifica né la fabbrica, né i tecnici». Prendiamo come esempio la Fiat. Essa, nonostante tutta la sua esperienza e tutti i suoi tecnici, costruisce una macchina nuova e la lancia fuori seguendo il motto: «Modificheremo». Eppure i tecnici l'hanno studiata e provata, realizzato un prototipo, provato e collaudato. Quando la Fiat lancia una serie, credo sia un caso più unico che raro se non dovrà apportare delle modifiche. E molte volte, come è capitato per la «Seicento» , la prima serie è stato un disastro: hanno dovuto fare tante e grosse modifiche. Se questo avviene sul piano umano, perché l'uomo è uomo, cioè limitato, volete che noi non abbiamo il diritto che qualcuno di noi si ritiri? «Così nelle prime esperienze apostoliche era naturale la defezione di qualcuno dinanzi al rodaggio della dura realtà». Non bisogna meravigliarsene... era naturale. Quando, ad esempio, mi sono sentito dire da un confratello, ed io guardavo verso il crocifisso appeso alla parete: «Eh, missionario... Mi viene da ridere! Consegna del crocifisso e tante storie... Mi viene da ridere. Venga qui invece...». C’è chi dice che la vita missionaria è poesia: in che senso? Se non si capisce che vita missionaria è lavorare in officina come Vinicio dalla mattina alla sera, o insegnare a scuola o andare a Pessano o a Roma per trattare i Vangeli o recarsi qua o là, di qua o di là del mare, indifferentemente, se non ci sentiamo missionari noi, se crediamo che la missione sia varietà o poesia, è chiaro allora che non si resiste. Io devo sentirmi missionario: che cosa significa? Essere portatore del messaggio di Cristo: voi a me ed io a voi. Se esco di casa e incontro Pio devo sentirmi missionario, se trovo Giovanni gli dico una buona parola, e se vado a confessare sono missionario, e se dovessi andare a pranzo devo sentirmi missionario. Missionario o ti senti o non ti senti. Se ti senti missionario allora piangi dinanzi a quel crocefisso che porti appeso sopra il letto o in tasca, e dici: «Signore, non sono degno di essere tuo araldo». Se sei missionario solo esteriormente o per l'avventura, è una cosa che sbollisce dopo tre ore.ESEMPI esperienza
MISSIONI vita missionaria
APOSTOLO missione
APOSTOLO
Don Ottorino nomina alcuni giovani passati per la Casa dell’Immacolata: Adriano Pinton, Gianni Dal Moro, Romano Thiella, e più avanti anche Antonio Turato.
Il prof. Lino Zio era all’epoca assessore nel comune di Vicenza e grande amico di don Ottorino.
La parrocchia di Laghetto, nuovo quartiere residenziale alla periferia di Vicenza, è stata assunta dalla Congregazione nel mese di settembre 1970. I primi religiosi furono don Giuseppe Rodighiero, don Angelo Brugnolo, don Giorgio Girolimetto e Ugo Gandelli.
MI339,68 [25/27-12-1970]
68. Perciò rileggo la frase di prima: «Nelle prime esperienze apostoliche era naturale la defezione di qualcuno dinanzi al rodaggio della dura realtà». Comunque ne riparleremo più avanti. «Tuttavia è da notare l'assistenza particolare di Dio che ha dato la possibilità ai nostri religiosi, giovani ed inesperti, di vedere frutti veramente inaspettati», come a Crotone, a Roma, all'Istituto San Gaetano con gli ex-allievi... Quanti bravi figlioli ci sono tra gli ex-allievi: dei buonissimi giovani, dei papà che vengono a trovarci! Anche nella Casa dell'Immacolata, oltre ai religiosi che abbiamo, ce ne sono tanti che sono usciti, che sono andati via... e non hanno portato con sé niente dalla Casa dell'Immacolata? Non bisogna dimenticarlo! Alcuni giorni fa mi diceva uno di voi: «Sono rimasto io solo, io solo...». E gli altri che se ne sono andati hanno portato via niente? Vedi tuo cugino Adriano, ad esempio: durante i tre anni di sua permanenza nella Casa dell'Immacolata, non ha ricevuto nulla? E Gianni, il fratello di don Lino Dal Moro, e Thiella? Basterebbero tre o quattro di questi per giustificare il nostro lavoro. Ricordatevi bene che il Signore può far venire da noi per un po' di tempo qualcuno perché riceva del bene. Come è stato per qualcuno che era in seminario. Parlavo l'altro giorno con il prof. Zio che mi diceva: «Credo che molti entrino in seminario per ricevere qualcosa di più; però, quando si è stati in seminario, o si diventa più buoni dell'uomo comune o più cattivi, perché il cibo che si riceve in seminario o fa bene o causa indigestione». È una realtà! Si può notare che chi entra in seminario e ad un certo momento, onestamente, dice: «Non ho la vocazione», o sente il bisogno di masticare, di mangiare ancora quel cibo e di portarlo nella vita, o sente d'averne fatto un'indigestione e allora dice: «Ho già ascoltato Messe a sufficienza per tutta la vita! Adesso non ne ascolterò più». L'indigestione è così. Infatti anche nella Casa dell’Immacolata abbiamo Antonio Turato e altri, che si mantengono buoni, che hanno portato via qualche cosa, e lo stesso potrebbe dirsi di altri dell'Istituto San Gaetano. Del Guatemala, Brasile, Argentina e Isolotto ho accennato poco sopra. Guardate ai nostri cari amici del Laghetto, a don Giuseppe, a don Angelo, poveretto, che ha anche avuto la perdita del papà. E qui ci sarebbe da parlare dell'ultimo punto. Dei doni personali invece tratteremo stasera.CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CONGREGAZIONE appartenenza
FORMAZIONE
MISSIONI
E. mons. Italo di Stefano era all’epoca vescovo di Presidencia Roque Sáenz Peña nel Chaco (Argentina). Venne a conoscere la Congregazione per caso, il 13 gennaio 1966. Stava a Verona aspettando il treno per Venezia, quando lo vide un prete padovano, don Ferruccio Frassetto, amico di don Ottorino, il quale si offrì di accompagnarlo in auto per un tratto. Avendo saputo che il vescovo cercava sacerdoti per la sua diocesi, don Ferruccio gli parlò della Congregazione e lo condusse a Vicenza. Di lì l’invito a don Ottorino, che già aveva in programma il primo viaggio in Guatemala, di visitare la sua diocesi in Argentina.
Mons. Sebastiano Baggio, nunzio in Brasile, invitò don Ottorino a fare il suo secondo viaggio in America Latina nel 1966, e lo mise in contatto anche con il card. Agnelo Rossi, allora arcivescovo di San Paolo, dando inizio a un legame di reciproca stima e amicizia.
P. Ernesto Favero O.M.I. conobbe l’Istituto nel 1951, quando don Ottorino chiese agli Oblati un sacerdote per fare nei mesi estivi un’esperienza di noviziato al gruppo dei primi religiosi. Il corso si realizzò nella casa di Val Giardini ad Asiago (VI), e don Ottorino in seguito invitò più volte padre Favero per predicare corsi di esercizi e ritiri spirituali.
. Tutta questa catena di contatti avvenne nel 1962, quando era vescovo di Crotone S. E. mons. Pietro Raimondi.
Mons. Bruno Barbieri (1899-1952), molto legato a don Ottorino, era all'epoca dei fatti ricordati delegato diocesano dell’Azione Cattolica.
MI339,69 [25/27-12-1970]
69. Oltre a queste esperienze apostoliche osserviamo, ora, «la perenne presenza di Dio nella direzione della Congregazione». Guardando al passato in più occasioni mi sono chiesto se sarebbe stato meglio o sarebbe stato peggio se fosse accaduto diversamente. Dio è sempre stato presente anche attraverso circostanze apparentemente casuali, come la venuta di mons. Di Stefano. , l'incontro con il card. Baggio, allora monsignore, che volle farci incontrare con il card. Rossi, che ora è amico di casa. Direi che sono casi, ma senz’altro provvidenziali. E questi casi, come quello noto che ci ha portato don Zeno e don Giuseppe, per esempio, si ripetono un po' in tutte le circostanze. Se consideriamo con attenzione constateremo che le nostre missioni le abbiamo avute e iniziate per caso, le conoscenze con certe persone sono sorte per caso, però sono quelle che portano, poi, una certa tonalità nel lavoro e mettono in una certa situazione di attività. Per esempio, noi abbiamo iniziato la nostra opera a Crotone perché padre Favero venne ad Asiago e vi rimase per tre mesi a fare un po' di noviziato con un gruppo dei nostri, cioè un po' di istruzione sul noviziato. E allora iniziò la nostra amicizia con i Padri Oblati. Padre Favero ci mise in contatto con il padre provinciale di Firenze, il quale si incontrò con il vescovo di Crotone. Il vescovo chiese un aiuto agli Oblati, che gli risposero di non poterlo dare, e il padre provinciale disse al vescovo: «Perché non vi rivolgete alla Pia Società San Gaetano?» Ed ecco che indicò la nostra Congregazione, così, per caso. E perché abbiamo conosciuto padre Favero? Perché me lo aveva indicato mons. Barbieri. Tutto un insieme di circostanze! Il fatto che la nostra preoccupazione sia stata quella di essere a disposizione di Dio, mi suggerisce l'idea che Dio ha accettato la nostra buona volontà, anche se tarata da tante miserie. E che cosa ha fatto? Si può dire che lui stesso ha guidato la Congregazione.DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
CONGREGAZIONE storia
PROVVIDENZA
MISSIONI
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
FORMAZIONE noviziato
CONGREGAZIONE missione
Don Ottorino ricorda un episodio accaduto a Fongara (VI), quando ancora chierico si trovava ospite del vescovo Rodolfi con i ragazzi del seminarietto, fra i quali anche il giovane Rigo Triban, che don Ottorino confonde con il fratello don Giuseppe, parroco ai Ferrovieri di Vicenza, mentre don Rigo nel 1970 era parroco a San Marco di Bassano del Grappa (VI). La contessina Muttoni si trovava evidentemente in villeggiatura a Fongara e godeva dell’amicizia del vescovo Rodolfi.
MI339,70 [25/27-12-1970]
70. Ricordate la famosa partita a dama, giocata a Fongara tra don Triban, l'attuale parroco dei Ferrovieri, con la contessina Muttoni? C'era l'autista del vescovo, che era bravissimo in quel gioco, ma la contessina non voleva giocare con lui, dicendo che era un imbroglione: voleva un ragazzo semplice. Io mi son messo a sedere a capotavola, la contessina Muttoni di qua e Triban di là davanti al loro gioco di dama. Più in là sedevano l'autista del vescovo e un altro ragazzo, i quali giocavano per proprio conto. La contessina faceva una mossa e il ragazzo dell'altra coppia ripeteva la stessa mossa; l'autista del vescovo gliela soffiava e Triban, imitandolo, soffiava la pedina della contessina. Sicché, praticamente, la contessina ha giocato contro l'autista. All'inizio era tutta contenta, ma poi, dopo cinque o sei mosse, è finita con le ossa peste. E diceva: «Questo ragazzo è bravo, questo ragazzo è bravo...», e alla fine ha perduto la partita. Ne ha giocate due o tre, e sempre ha perduto. Ogni tanto l'autista chiedeva: «Come va?». E lei: «Mah, questo ragazzo!». «Noi - soggiungeva l'autista - abbiamo già fatto un paio di partite». La contessina insomma, senza saperlo, ha giocato con l'autista. Mi pare che il Signore faccia un po' così. Gli uomini hanno l'impressione di giocare con noi, di trattare con noi, ma se noi ci sforziamo di avere il contatto con Dio, gli uomini giocano la partita con Dio, non con noi. Noi abbiamo una tremenda responsabilità: possiamo rompere questo contatto con Dio perché se non facciamo le mosse stabilite da Dio, a un dato momento rompiamo l'incanto. Questa deve essere la nostra preoccupazione: essere in contatto con Dio per fare le mosse esatte. Gli uomini crederanno di giocare con noi, ma giocheranno con Dio, solamente però nella misura in cui noi saremo preoccupati di guardare là e di guardare qua, come il giovane Triban guardava l'autista e la sua scacchiera per cui la contessina giocava con l'autista. Non so se l'immagine possa andare. Secondo voi può andare? Secondo me, in questa forma, deve andare.ESEMPI Dio stile di...
CONGREGAZIONE appartenenza
DIO rapporto personale
Nel testo registrato don Ottorino cita il proverbio con una eloquente espressione dilettale veneta.
MI339,71 [25/27-12-1970]
71. c) I doni personali Dopo aver passato in rassegna i doni collettivi materiali e spirituali ricevuti da Dio, vediamo ora, ma senza la pretesa d'insegnarvi e scegliendo un pochino fior da fiore, per cui può darsi benissimo che omettiamo qualche dono importante, magari il più importante, com'era capitato per il segno di Grumolo nell'ambito dei segni materiali, vediamo ora qualche altro dono. Ci sono alcuni doni personali che noi abbiamo ricevuto e che certamente dovrebbero essere oggetto della nostra meditazione. Quando parlo dei doni personali, non intendo ora quelli che certamente ognuno sa di aver ricevuto, come potrebbe essere l'educazione in famiglia, la grazia di essere nati nei nostri paesi e di aver avuto vicino dei santi genitori, cioè tutti quei doni, insomma, che uno ha ricevuto proprio personalmente, direttamente da Dio; intendo, invece, quei doni personali che abbiamo ricevuto in relazione alla Congregazione: doni che abbiamo ricevuto personalmente, ma tutti, chi più chi meno. Il primo è la vocazione a questa Famiglia. Vi ripeto quello che io tante volte pensavo da giovane seminarista, mentre leggevo la storia delle famiglie religiose, in particolare quella dei Salesiani e dei Gesuiti. Quante volte ho pensato: «Che grazia sarebbe stata per me se fossi nato anch'io nel periodo della loro fondazione, quando grazie particolari segnano gli inizi di una famiglia religiosa!». Voi conoscete il proverbio: «Quando il noce fa noci, tutti possono facilmente mangiarne». Quando l’uva diventa matura, è facile mangiarne un grappolo. Agli inizi di una famiglia religiosa il Signore dà grazie particolari, come le ha date al collegio apostolico per spingere gli Apostoli ad imprese un po' eroiche. Perciò dicevo tra me: «Oh, fossi nato anch'io in qualche parte di Torino, fossi stato raccolto da don Bosco, avessi avuto la grazia di parlare insieme con don Rua, con tutti coloro che erano con loro, insomma... vivere sotto l'influsso di quello spirito iniziale, di quell'ondata di Spirito Santo!». Pensavo al tempo di Sant’Ignazio, a quel gruppetto raccolto insieme per un mese, il famoso mese passato in preghiera e in meditazione, digiunando e facendo penitenza; alla loro marcia fatta verso l'Italia per poi lanciarsi nel lavoro apostolico: quel gruppo di anime generose! E dicevo: «Fossi stato anch'io trascinato dalla santità degli altri, da questi doni particolari!», e non per il gusto dello straordinario, ma perché insieme con chi è buono è più facile essere buoni. Se ci fosse stato un gruppetto di persone impegnate, per me sarebbe stata una grazia.DIO bontà
di...
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CONGREGAZIONE fondatore
AUTOBIOGRAFIA seminario
Don Matteo Pinton aveva frequentato le scuole medie e il quarto anno del corso ginnasiale presso i Padri Giuseppini del Murialdo a Montecchio Maggiore (VI).
S. E. mons. Camillo Faresin fu alunno del seminario di Vicenza, poi si fece salesiano, fu inviato missionario in Brasile, dove fu consacrato vescovo nel 1954 a Guiratinga.
S. E. mons. Antonio Mistrorigo crebbe fra il clero vicentino, fu nominato vescovo di Troia nel 1955 e trasferito a Treviso nel 1958.
S. E. Mons. Giuseppe Zaffonato fu parroco di Araceli e dopo a Valdagno, e nel 1944 divenne vescovo di Vittorio Veneto e nel 1956 fu trasferito a Udine, ove rimase fino al 1972.
Il diac. Vinicio Picco conobbe la Congregazione attraverso il suo cappellano don Federico Evarelli, che nel 1936 faceva parte del gruppo dei ragazzi del seminarietto, come anche Giovanni Sartori, dei quali il chierico Ottorino era responsabile animatore.
MI339,72 [25/27-12-1970]
72. Ora anch'io sono qui nelle stesse vostre condizioni, e guardate che per me e per voi è una grazia eccezionale essere stati chiamati in questa Famiglia religiosa. Chi è vissuto in qualche altra parte può forse capire la grazia che noi abbiamo ricevuto. Tu, don Matteo, che sei stato un po' di tempo in un'altra famiglia religiosa, sei in grado di capire quello che il Signore ha dato e quello, insomma, che abbiamo avuto possibilità di ricevere qui dentro. Questi passaggi del Signore, questo vedere il Signore, questi miracoli della provvidenza sono tutte grazie particolari, sono tutte spinte verso la santità. Perché il Signore ha chiamato me? Quanti altri, che in seminario erano più buoni di me, potevano essere chiamati al mio posto, ad esempio, sacerdoti che sono diventati vescovi, come mons. Faresin , mons. Mistrorigo , mons. Zaffonato , con il quale ho mangiato il pane in seminario, pur lontani di classe, ma siamo stati insieme! Quante anime belle ho visto in seminario, e se non sono stati fatti vescovi, sono diventati dei santi sacerdoti! Tutti questi avrebbero potuto essere chiamati al posto mio; proprio a me questa vocazione! Quanti, caro don Matteo, fra i giovani studenti dei Giuseppini avrebbero potuto essere chiamati, e invece proprio tu, attraverso vie impreviste, sei stato chiamato dal Signore a questa vocazione! Altri sono stati chiamati attraverso strade impensate, come è capitato a Vinicio ad opera del suo cappellano, che in seminarietto è stato fra i miei ragazzi, compagno di scuola di don Giovanni Sartori; l'ho conosciuto allora, poi è divenuto sacerdote, è stato assegnato come cappellano a Valdagno e l'ha condotto qui attraverso circostanze che sembrerebbero casuali, occasionali. Eppure siamo stati chiamati! La grazia della chiamata alla Congregazione è un dono personale che io ho ricevuto e che sento di aver ricevuto, distinta dalla mia chiamata a seguire Cristo. Che poi io sia stato il primo o il secondo, sia stato lo strumento chiamato a portare un secchio d'acqua o un secchio di vino, non importa niente: siamo strumenti nelle mani di Dio. Però la Congregazione è un'opera di Dio e io sono stato chiamato, come sei stato chiamato tu, Marco, e tu, Vinicio; perciò tutti insieme dobbiamo sentire il dovere di ringraziare Dio, prescindendo dal posto che occupiamo nella Congregazione. Siamo stati chiamati in questa Famiglia.CONGREGAZIONE missione
CONGREGAZIONE carisma
CONGREGAZIONE appartenenza
AUTOBIOGRAFIA seminario
DIO riconoscenza a...
Don Ottorino ricorda con affetto il difficile momento della decisione finale di don Zeno Daniele per entrare in Congregazione.
Cfr. A. MANZONI, I promessi sposi, cap. XXXVI.
Don Ottorino ricorda un episodio che risale al suo primo anno di sacerdote ad Araceli, e da lui stesso narrato con il titolo “L’offerta della fanciulla”, in Scritti spirituali/2, pagine 358-359.
MI339,73 [25/27-12-1970]
73. Un altro dono personale è quello di aver detto di sì. Senza l'aiuto di Dio non siamo capaci di dire neanche «Gesù mio, misericordia!». Abbiamo bisogno di un aiuto del Signore per dire di sì. La grazia di essere chiamati è una cosa, ma la corrispondenza alla vocazione è un'altra. Ricordo che un giorno mi sono trovato a Mestre con un certo don Zeno, quando eravamo alle ultime battaglie per quel sì famoso. Ognuno passa quel momento: può essere a quindici o a vent’anni, ma anche se uno entra nella Casa dell'Immacolata da piccolo, arriverà per lui un certo momento in cui dovrà dire sì al Signore, dovrà conoscere la Congregazione, sentirne il peso e la gioia, e poi dire: «Signore, accetto e vengo!». Per dire quel sì ci vuole la grazia del Signore. Qui, forse, sarebbe il caso di ricordare le parole di padre Felice nel lazzaretto: «Diamo un pensiero ai mille e mille che sono usciti di là» , cioè ai tanti che sono morti. Quanti fratelli nostri, forse più buoni di noi, e anche senza forse, non hanno avuto la forza di dire di sì. Noi non vogliamo giudicare; può darsi che non avessero la vocazione. Però se noi abbiamo avuto la forza di rispondere alla chiamata del Signore, riconosciamo che non siamo stati soli; forse ci ha aiutato la nostra buona mamma, la Madonna, forse le nostre mamme che hanno pregato, forse c'è stato il sacrificio di qualche suora, di qualche ammalato, di qualcuno che si è immolato. Ce ne accorgeremo in Paradiso, come quel vecchio, che non si confessava da sessantatré anni, in Paradiso si sarà accorto chi è stato la causa della sua salvezza. Così noi sapremo in Paradiso chi ci ha aiutato a dire di sì. Ora vorrei proprio sottolineare il fatto che tutti abbiamo potuto dire di sì. Questa mattina vi parlavo della difficoltà che ho avuto in treno, mentre viaggiavo verso Verona, con la fronte appoggiata al vetro del finestrino e dicevo: «Signore, Signore, Signore!». Tutti abbiamo dovuto dire di sì e, riconosciamolo, da soli non avremmo potuto farlo.GRAZIA
CONGREGAZIONE appartenenza
MARIA la nostra buona mamma
NOVISSIMI paradiso
CONSACRAZIONE religioso
APOSTOLO chiamata
Don Ottorino scherza sull’età e sul peso: un po’ dei suoi anni e dei suoi chili li dona al diac. Vinicio Picco. In realtà nel 1970 don Ottorino aveva cinquantacinque anni e il diac. Vinicio quarantadue.
Don Ottorino continua con il tono scherzoso nominando Raffaele Testolin e Marco Pinton.
Il giorno prima, festa di Natale, era successo che le donne di cucina per un contrattempo non avevano potuto preparare il pranzo, per cui i religiosi stessi dovettero prepararsi da mangiare con un’ora di ritardo.
MI339,74 [25/27-12-1970]
74. Una terza grazia personale, sempre inerente alla Congregazione, è - chiamiamola un po' poeticamente - la tintarella particolare della Congregazione. A volte gli estranei dicono: «Che cosa avete voi, che cosa avete?». È qualcosa che non ha cambiato la nostra natura. Se uno pesa novanta chili, resta novanta chili; se un altro ne pesa ottantacinque, come Vinicio, resta ottantacinque; chi ha quarantacinque anni come Vinicio, resta con i suoi anni, e se ne ha cinquantatré come don Ottorino, resta con i suoi cinquantatré, anche se c'è sempre un compenso: si può prendere da una parte e mettere dall'altra. Chi porta gli occhiali, come Raffaele, resta con i suoi occhiali, e se invece ha il naso lungo, come Marco, resta con il suo naso lungo: non cambia niente. Però c'è qualche cosa che deve distinguere i cristiani: che cosa? Uno è meccanico, uno calzolaio; uno è intelligente, un altro meno intelligente, tuttavia hanno tutti in comune qualche cosa. Per noi l’elemento comune è lo spirito evangelico, lo spirito di gioia, quello spirito che è indefinibile, ma che il Signore voleva ci fosse anche nella nostra Famiglia; è quello spirito che deve attirare l'attenzione di chi non ha gioia per venire a cercare la gioia, di chi non ha fede per venire a cercare la fede. Questa, per così dire, tintarella non l'abbiamo data né io, né voi; ce l'ha data il Signore. È un modo di fare per cui dinanzi ad una disgrazia si dice: «Beh! Signore, sia fatta la tua volontà!», e dinanzi ad una difficoltà si presenta un sorriso, come ieri quando avete dovuto prepararvi da mangiare, prendere le pentole e darvi da fare; se foste stati sposati chissà quante imprecazioni sarebbero, forse, uscite contro la moglie! Il giorno di Natale, proprio il giorno di Natale, giorno di festa, abbiamo condotto con noi le donne di cucina perché ci facessero da mangiare e invece... abbiamo dovuto mangiare un'ora dopo. Vi ho osservati ad uno ad uno ieri, ho visto come avete accettato anche questo contrattempo. Non penso che abbiate pronunciato parole pesanti, a meno che non le abbiate dette dentro di voi, anzi ho visto che avete saputo reagire con senso di criterio, non avete imprecato contro nessuno. È capitato: pazienza! È questa pazienza, questo accettare le cose con semplicità, anzi rimboccandosi le maniche e cercando di rimediare agli imprevisti, che un domani farà impressione alla gente, poiché si accorgerà che siete così perché vivete uniti al Cristo e state compiendo una missione. È questa appunto, direi, la fisionomia che devono prendere i membri della Congregazione, ed essa non è né collo storto, né gambe storte, né svenire in chiesa perché si va in estasi come Gianni quest'oggi... è qualche cosa che non si può definire. Infatti, se uno volesse imitare Gianni dovrebbe svenire, e invece nessuno può copiare l'altro, ognuno deve arrivare rimanendo se stesso, con la sua natura, e avendo lo spirito della Congregazione.CONGREGAZIONE carisma
CONGREGAZIONE appartenenza
VIRTÙ
fede
VOLONTÀ
di DIO
CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE spiritualità
VIRTÙ
pazienza
GESÙ
Il riferimento è alla guerra del Vietnam che a quell’epoca infuriava molto intensamente.
MI339,75 [25/27-12-1970]
75. Un altro dono personale per noi, membri della Congregazione, è quello di occupare un posto speciale nel cuore della Madonna. Sappiamo che la Madonna è mamma, e che una mamma mostra un uguale interesse per tutti i suoi figli, ma se c'è un figlio ammalato sembra che in quel momento essa pensi solo a lui. Se in famiglia un figlio ha un bisogno particolare, o perché deve sostenere un esame o perché parte per la guerra o va nel Vietnam , o se un figlio è in pericolo o ha una missione da compiere, la mamma, senza diminuire l'amore per gli altri, lo concentra un po' su di lui. Anche la Madonna, la mediatrice di tutte le grazie, la madre della Chiesa e di tutti gli uomini, quando vede un fratello o un gruppo di fratelli che si sono riuniti per andare ad aiutare gli altri suoi figli, non diminuisce il suo amore per quelli, anche se ha cure particolari per questi perché, mentre aiuta costoro, aiuta anche gli altri. È chiaro? Una mamma che circonda di cure un figlio perché, supponiamo, sta raccogliendo cibo e medicinali da portare sul Summano dove un altro suo figlio si è rotta una gamba, non manca di affetto verso quelli che, eventualmente, si sono recati lassù o verso gli altri: sta lavorando per tutta la famiglia. Perciò quanto più grande sarà domani la nostra missione nella vita della Chiesa, tanto più la Madonna sarà interessata a prepararci nella vita intima o spirituale ed aiutarci anche materialmente, dandoci quegli aiuti che ci sono necessari per poter camminare sulla strada di Dio! Perciò - e questo potrebbe sembrare un po' offensivo per gli altri - dire che noi occupiamo un posto speciale nel cuore della Madonna non è un'offesa agli altri; significa anzi che noi sappiamo che la Madonna si interessa di tutti e in modo particolare dei più bisognosi, e noi ci mettiamo a disposizione di Dio, che sta facendo qualche cosa per essi. Dunque la Madonna è con noi, sta lavorando con noi e, lavorando con noi, non fa offesa a nessuno, sta anzi interessandosi dei più bisognosi.MARIA madre della Congregazione
MARIA mediatrice
MARIA madre della Chiesa
CONGREGAZIONE missione
MI339,76 [25/27-12-1970]
76. Un grande dono, del quale non dobbiamo insuperbirci, ma stare attenti per non abusarne, è la stima, anche umana, che deriva ai singoli per l'appartenenza a questa Famiglia. Nessuno può dire che la Congregazione è stimata dalla gente per merito suo: né per il mio, né per quello di ciascuno di voi. È il Signore che oggi vuole che la nostra Famiglia sia stimata. Può darsi che un domani scoppi una persecuzione e veniamo gettati in Arno, soppressi come i Gesuiti, o ci capiti qualcosa del genere. Allora, come il singolo deve essere pronto ad accettare la croce, così deve esserlo collettivamente anche il gruppo. Oggi stiamo passando un momento in cui la nostra Famiglia gode di una certa stima, viene apprezzata sia da parte ecclesiastica che da parte civile; questi forse la stimeranno solo per la sua forma di apertura. Anche don Aldo, giorni fa, a Torino si è sentito dire: «Così mi piace: questo vostro modo di fare...». Molti partiranno dall'ammirazione per l'opera sociale che si sta compiendo nel Guatemala o con le scuole professionali in Argentina e in Brasile, e intanto, o per un motivo o per un altro, noi incontriamo il favore, direi anche la stima della gente. Questo è un dono del Signore perché, incontrando la stima della gente, noi abbiamo già pronto il terreno per poter incominciare il lavoro apostolico. Quando noi ci presentiamo in una famiglia o incontriamo una persona, se diciamo: «Siamo della Pia Società San Gaetano», siamo già bene accolti, in genere, e questo ci dà la possibilità di dire una parola da sacerdoti, da diaconi, da religiosi. Se, invece, fosse successo qualche fatto grave nella nostra Famiglia, come dicevamo questa mattina, e avessimo perso collettivamente la stima, ci sarebbe da masticare qualche bel pezzo di pane prima di riacquistarla. Ci sentiremmo dire: «Ah! Siete di quelli... basta!». Avremmo già i ponti tagliati in partenza e questo costituirebbe una difficoltà non indifferente per poter fare il bene.CONGREGAZIONE appartenenza
CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE missione
CONGREGAZIONE spiritualità
APOSTOLO F.A.
Don Ottorino allude ai parroci della zona dei Tretti dove sorge il Villaggio San Gaetano: San Rocco, San Ulderico, Santa Caterina, Santa Maria, parrocchie piccole, con meno di cinquecento abitanti, in mezzo ai monti.
Fric-Froc è il protagonista di alcuni libri burleschi scritti in dialetto veneto da mons. Benigno Flucco, arciprete di Thiene (VI), e molto in voga nel vicentino tra il 1920 e il 1950. Don Ottorino lo cita per dare un esempio della povera vita dei sacerdoti soli e in ambienti dislocati e culturalmente poveri.
Allusione arguta all’invadenza crescente della domestica di qualche parroco, a tal punto che finisce con il sentirsi padrona della casa parrocchiale.
Nel testo registrato ci sono a questo punto due interventi molto brevi di don Matteo Pinton e di Gianni Sarzo, entrato da poco come vocazione adulta e all’epoca in preparazione all’anno del noviziato, e le brevi risposte di don Ottorino che non aggiungono nulla di importante.
MI339,77 [25/27-12-1970]
77. C'è ancora un'altra grazia, sempre personale, singola, ma inerente alla Congregazione: la grazia immensa di poter avere dei fratelli dello stesso spirito. Pensate un momentino ai nostri poveri preti, che vivono quassù. Li chiamo «poveri preti» non perché siano materialmente o spiritualmente poveri, ma per la solitudine in cui vivono. Pensate, per esempio, al parroco di San Rocco. Diceva Fric-Froc: «Fagioli al mattino, fagioli a mezzogiorno e fagioli alla sera». Una volta è andato in osteria e ha notato che agli altri veniva servito un cibo diverso. Si mise attento, e sentì che gli altri dicevono: «Replica!», e vide che veniva portato loro un altro pezzo di pollo. Pensò allora: «Anch’io voglio mangiare lo stesso», e ordinò: «Replica», ma gli servirono un altro piatto di fagioli. Pensate un attimo a un povero prete che si trova solo, con una donna in canonica che non è certamente né un cappellano né una religiosa, a meno che egli non abbia la grazia di avere la mamma o una sorella, ma anche la mamma o la sorella non sono proprio né parroco né cappellano; e nella maggior parte dei casi questi poveri preti hanno donne come quella famosa che in un primo tempo dice: «Le galline del parroco», poi: «Le nostre galline», infine arriva al punto di dire: «Le mie galline». E allora la gente commenta: «Lui è anche un buon prete, peccato che c’è quella dona; è lei che comanda in canonica!». Con chi può scambiare una parola e di che cosa può parlare quel povero prete? Che aiuto può avere da quella donna o da quelle due o tre persone che frequentano la canonica per giocare una partita a carte? Che grazia, invece, abbiamo noi di essere uniti e stare insieme, di avere fratelli dello stesso spirito in modo che, se oggi, per caso, io ho una gamba rotta, mi sollevano tra le braccia e mi portano in casa! Può darsi benissimo che un giorno un fratello sia giù di tono; quando viene a casa, gli altri se ne accorgono subito. Il giorno dopo è giù di tono un altro... e lo si aiuta. Questo sapersi aiutare, questo sapersi comprendere nella vita in comune, è una grazia immensa; e penso che bisogna rendersene conto, perché non capiti proprio che abbiamo ricevuto delle grazie e quasi quasi ci dimentichiamo di ringraziare il Signore, ricordandoci solo di quello che ci manca e non di quello che abbiamo. Con queste considerazioni, in linea di massima, io avrei terminato questa prima parte. Se volete, apriamo una discussione, altrimenti passo alla seconda parte. Vi cedo la parola.CONGREGAZIONE appartenenza
ESEMPI vari
SACERDOZIO prete
COMUNITÀ
unità
nella carità
Romano Thiella era un ex allievo della Casa dell’Immacolata, alla quale rimase sempre legato da vincoli di amicizia e di riconoscenza.
Parole mnemoniche in uso nella filosofia scolastica per distinguere alcune forme di ragionamento logicamente esatto.
Nome di una delle case prefabbricate che costituivano il Villaggio San Gaetano a Bosco di Tretto.
MI339,78 [25/27-12-1970]
78. Nella prima parte, naturalmente, ho fatto delle chiacchiere, ma sull'argomento che tratteremo ora vi pregherei di fare, poi, una discussione vera e propria. Perché quando si trattava di dirvi che è venuta una donna a portare cento lire, non c'era nulla da aggiungere: erano cento lire. Se adesso vi comunico che è venuto Thiella a portarmi un'offerta e vi dico: «Ecco qui, Thiella mi ha portato un'offerta», ed estraggo la busta, la apro e vedo che mi ha consegnato cinquantamila lire... non c'è da discutere per niente: è un'offerta. Non potete dire che sono diecimila e neanche centomila: sono cinquantamila, ricevute in chiesa attraverso un'offerta. Non abbiamo che da prenderne atto. Questa è la realtà di ogni giorno, di ogni momento: viviamo da parte di Dio, siamo i mantenuti di Dio; come la mantenuta è a disposizione di colui che la mantiene, anche se il termine si usa in senso cattivo, così noi siamo mantenuti da Dio, fisicamente e spiritualmente, e dobbiamo essere totalmente a disposizione di Dio. Sant’Ignazio arrivava al punto di dire «come un cadavere...», ma vivo, perché dobbiamo apportare anche qualcosa di nostro. Adesso domandiamoci: perché alcuni perdono quota? Portate pazienza: ho buttato giù in fretta alcune note, perciò non pretendete di avere un sillogismo in «barbara», sarà in «celarent». «Il filo della tela del ragno che scende dall'alto. Tagliato il filo, casca la tela». Ricordate quando quest'estate osservavamo quel famoso filetto, costruito da un ragno, che scendeva, davanti alla chiesa, vicino alla casa San Pio X? Se si taglia il filo, casca tutta la tela. Perciò teniamo presenti queste cose.PROVVIDENZA benefattori
CONSACRAZIONE offerta totale
CONSACRAZIONE mediocrità
Nell’esempio don Ottorino nomina dapprima don Matteo Pinton, e poi don Antonio Bottegal che era l’incaricato dell’auto di don Ottorino.
MI339,79 [25/27-12-1970]
79. a) «Dio è il fondatore, il superiore, l'organizzatore ed il giudice nella Congregazione». Bisogna tener presente che il fondatore della Congregazione è Dio. Portiamo come esempio un caso concreto. Io dico a don Matteo: «Fammi un piacere, porta fuori dal garage la Fiat 1100 e mettila qui davanti». Viene don Antonio e domanda: «Chi è stato a portare fuori la Fiat 1100?». Risponde don Matteo: «L'ho condotta fuori io perché me l'ha ordinato don Ottorino ». Dice don Antonio: «Beh! Si capisce che don Ottorino deve partire. Va bene». Giusto? Non si deve fare così? Se il fondatore è Dio, noi dobbiamo essere preoccupati di portar fuori la Fiat 1100 quando lo vuole e come lo vuole Dio, e basta. Perciò non deve esserci solo la preoccupazione della prima azione, cioè dell'inizio della Congregazione, ma una continua preoccupazione di tutti: mia, ma anche vostra. Non siete a posto quando avete domandato il permesso a me; dobbiamo vedere insieme che cosa vuole Dio. Qualche volta dovete voi stessi tornare indietro a riesaminare la cosa e proporre: «Senta: pensandoci bene... non sarebbe meglio... Che cosa le pare?». Perché il fondatore della Congregazione è Dio. Lui è anche il superiore della Congregazione. Il superiore esterno che cosa fa? Cerca, si sforza di interpretare la volontà di Dio e, naturalmente, risponde dinanzi a Dio degli ordini che dà. Ma voi dovete ricordarvi che, obbedendo a questo superiore, per quanto canaglia egli sia, dovete cercare di metterci subito l'atto di fede di obbedire a Dio. Perché? Perché il fondatore è lui, il superiore è lui, stiamo compiendo un'opera che è sua, una missione che è sua. Se durante la guerra il generale sceglie un gruppo di soldati e un capitano e li invia, supponiamo, sul Summano, e lui rimane a Bosco ad osservare con il binocolo, anche se il capitano ordina: «Andiamo di qua, andiamo di là», è sempre il generale che ha mandato quella spedizione ed è a lui che il capitano e i soldati devono pienamente rispondere. I soldati devono obbedire al capitano in quanto il generale ha dato quest’ordine e si deve andar su. Se i soldati dicessero: «Ah, io vado di qua, io vado di là...», il capitano direbbe: «Sentite: andiamo insieme, altrimenti il generale ci spara».CONGREGAZIONE fondatore
VOLONTÀ
di DIO
CONGREGAZIONE superiore generale
CONSACRAZIONE obbedienza
DIO Spirito Santo
Don Ottorino ricorda le due espressioni prese dalla liturgia in latino: “Cunctas bonas actiones agimus... Veni, Sancte Spiritus”.
Allusione a una macchina che da poco era stata installata nella legatoria della Casa dell’Immacolata.
Cfr. Mt 28,20.
MI339,80 [25/27-12-1970]
80. Il Signore è anche l'organizzatore. Ecco perché non possiamo organizzare alcuna cosa se non invitiamo anche lui: «Facciamo buone tutte le azioni... Vieni, o Spirito Santo». Dobbiamo sforzarci che questa presenza di Dio, anche nei nostri incontri, sia un fatto personale, non una cosa accademica e formale. Quando eravate più giovani io vi facevo certe domande. Ricordate quante volte vi chiedevo dopo un'azione o un incontro: «Abbiamo pensato alla Madonna? Vi abbiamo pensato o no?». Ricordate quante volte lo facevo? Il fatto che adesso non lo faccia per non offendere certe personalità che ci sono, non toglie il dovere di pensarci. Bisogna pensarci! Quest'oggi, per esempio, sono stato cattivello: in chiesa ho voluto osservare chi, entrando, pensava o non pensava a che cosa stava facendo, chi ha pensato a Gesù facendo la genuflessione e chi non ha pensato. A volte si nota chiaramente e si conclude: non ha pensato. Che male c'è? Nessuno, per carità! Se si entra in chiesa per pregare, dobbiamo sentire la presenza di Dio, non per farci notare perché la gente, poi, se ne accorgerebbe subito, ma bisogna che ci sforziamo di sentirla: è lui l'organizzatore, è lui! Bisogna sentire la presenza di Dio anche nelle nostre riunioni, anche in quello che adesso stiamo facendo. Quando ci troviamo riuniti in quattro o cinque e ci domandiamo: «Che cosa facciamo? Che cosa non facciamo?», diciamo un'Ave Maria alla Madonna, diciamo una preghiera al Signore perché ci illumini e ci aiuti. Insomma, non si può fare alcuna cosa senza di lui. Questo anche nelle cose materiali, come ad esempio nel regolare la cucitrice... in tutte le nostre cose insomma. Stiamo lavorando con lui: che ci consigli, che ci aiuti! «Sarò con voi fino alla fine dei secoli» . Ed egli sarà con noi anche quando faremo una partita a carte. Una sera stavo giocando a carte e dicevo tra me: «Signore, non ti dico, per carità, che le carte mi vengano belle», ma la tentazione c’era. Poi ho detto: «Signore, no! Altrimenti faccio torto ai miei fratelli che sono qui». Può darsi che venga quasi la tentazione di domandare anche queste cose... Noi dobbiamo insegnare agli uomini come vivere sulla terra, ma pensando al cielo e camminando verso il cielo. Ora, scusate: se non riusciamo noi, come potremo farlo?DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
MARIA devozione a ...
GESÙ
PREGHIERA
NOVISSIMI eternità
Don Ottorino cita l’espressione paolina di 1ª Cor 4,4 in latino: “Qui iudicat me Dominus est”.
Cfr. Gal 6,7 e Atti 5,1-11.
Cfr. Mt 15,7-9.
MI339,81 [25/27-12-1970]
81. Egli è il giudice della nostra Congregazione. Non basta far bella figura, non basta trionfare dinanzi agli uomini, non basta non ricevere un rimprovero dagli uomini, farla franca. «Chi mi giudica è il Signore», diceva San Paolo. Perciò, sapendo che lui è il superiore e lui vede, che cosa serve farla in barba al superiore compiendo quella determinata azione? Se il superiore è Dio, Dio non può essere ingannato, Dio non può essere illuso, a Dio non si può mentire. Perciò, dal momento che io mi sono donato a Dio nella Congregazione, che cosa interessa a me se gli altri vedono o non vedono che io faccio un'azione, che faccio o no la Via Crucis, l'ora di adorazione? Io so, però, che al Signore non posso fargliela. Lui può dirmi: «Tu sei interamente nella Congregazione», oppure: «Tu sei nella Congregazione soltanto con il tuo corpo». «Questo popolo mi onora solo con le labbra» , ha detto Gesù, e noi possiamo essere nella Congregazione solo con il corpo, e magari esternamente essere considerati i migliori della Congregazione o essere lodati: «Ah, quello... Se tutti fossero così!». No, no! Dio soltanto può dire quello che noi siamo. Perciò dobbiamo sentire lui fondatore, superiore, organizzatore e giudice della Congregazione, e anche giudice mio.VOLONTÀ
di DIO
CONSACRAZIONE offerta totale
CONGREGAZIONE superiore generale
Noto industriale vicentino che con coraggio e spirito di iniziativa aveva dato vita a una importante industria meccanica.
Don Ottorino sceglie un esempio molto familiare, perché nella storia dell’Istituto spesso si dovette spostare qualche laboratorio per necessità concrete.
MI339,82 [25/27-12-1970]
82. b) Continuare la costruzione della Congregazione «I singoli membri sono chiamati a continuare la costruzione e non a distruggerla per farne una di nuova. Perciò ognuno, in ginocchio e in ascolto, deve riferire ciò che Dio gli suggerisce e mettere a disposizione tutti i doni ricevuti da Dio, non per criticare, ma per collaborare nel continuare il lavoro, ed eventualmente per correggere, col proprio sacrificio, errori commessi da confratelli e superiori». Non so se sono riuscito a spiegare bene. Permettete che ve la rilegga, perché penetri meglio: «I singoli membri sono chiamati a continuare la costruzione e non a distruggerla per farne una di nuova». Dicevo la prima sera - mi pare sia stata la prima sera o ieri - che se uno comincia, come ha fatto per esempio Pellizzari , una piccola officina e poi la ingrandisce e la ingrandisce, a un dato momento può darsi che sia costretto anche a demolirla tutta per trapiantarla in un'altra parte e farne una di nuova. Ma questo non può farlo un singolo da solo; il singolo non può un bel giorno svegliarsi e buttare in aria tutto dicendo: «Adesso basta: quella è vecchia; ne facciamo una nuova!». Hai già pronto il disegno? Hai già pronta la costruzione? Di solito, prima si fa la costruzione e dopo si trasporta l'attrezzatura nel nuovo edificio: bisogna fare in modo che tutto proceda con ordine. Il responsabile della parte commerciale l'hai consultato? Così per la tipografia, ad un dato momento uno non può dire: «Portiamo via tutto, anche la legatoria, perché ci è molto più comodo». Hai impegni di lavoro per un anno? E il trasporto delle macchine? «Ah, facciamo in un'altra parte!». Ci vuole l'accordo di tutti; non può uno solo; neanche il superiore, da solo, può decidere. Il trasporto di un'officina non può essere fatto da uno solo; il trasporto della tipografia e della legatoria non posso deciderlo io da solo, né don Girolamo da solo, né tu da solo; ci vuole l'accordo di tutti: parte commerciale, parte tecnica, parte meccanica, parte edile, parte elettrica, parte termica. Perché? Perché si deve perdere il minor tempo possibile, accontentare i clienti...CONGREGAZIONE appartenenza
ESEMPI Congregazione
Imprese edili del Veneto di sicura garanzia, i cui proprietari erano conosciuti da don Zeno Daniele, che don Ottorino ha preso come esempio.
MI339,83 [25/27-12-1970]
83 E questo vale anche per quanto riguarda una costruzione com'è una Congregazione. Perciò è da matti mettersi in mezzo al cortile e gridare: «Bisogna cambiare, bisogna fare!». Scusa, partecipa all'assemblea! Alla prossima riunione del personale della tipografia farai le tue proposte: «Non sarebbe il caso che facessimo così e così?». Se hai un'idea nuova, benissimo! Abbiamo da fare una costruzione nuova? Benissimo! Ma esaminiamo i motivi favorevoli e quelli contrari; ognuno dica il suo parere, calcoliamo la spesa, eccetera. Può darsi che al primo incontro, sentite le difficoltà concrete degli altri, tu dica: «Ah, io non pensavo, non prevedevo...». Può darsi, invece, che gli altri dicano: «È una bella idea: cominciamo, discutiamo, trattiamo!». Ma... è necessario operare insieme, discutere insieme. Sarebbe un errore enorme dire: «L'ha detto don Ottorino, perciò bisogna far così». Nossignore! È sbagliato anche che uno si metta sopra il campanile e continui a criticare, oppure inizi un'attività per conto suo senza averne parlato con gli altri. Questa sarebbe un'offesa che non verrebbe fatta a don Ottorino solo, ma a tutti i confratelli. È giusto o non è giusto questo? Avete capito? Se io un domani dovessi difendere certi diritti violati da qualche confratello, direi a costui: «Tu stai offendendo tutti gli altri». Così, un domani tu, don Zeno, non puoi impiantare una tipografia per conto tuo, in un altro cortile... né io, né tu, né don Girolamo. Insieme possiamo farlo. Perché? Perché abbiamo delle responsabilità in comune e dobbiamo vedere un po' insieme: trattiamo, esaminiamo. È giusto o no? Questo è un paragone materiale per capire quello che deve essere il lavoro d'altro genere, quello spirituale. Perciò «i singoli membri sono chiamati a continuare la costruzione e non a distruggerla per farne una nuova di nuova», da soli, s'intende! «Perciò ognuno, in ginocchio e in ascolto, deve riferire ciò che Dio gli suggerisce». Teniamo fisso il paragone della tipografia. Tu, don Zeno, vai in chiesa, rimani in preghiera, rifletti, fai i tuoi calcoli: «No, non possiamo andare avanti così. Forse quella macchina è meglio venderla, forse è meglio rinnovare, forse è meglio cambiare quell'operaio...». E ci pensi sopra. Hai il dovere di farlo, e non solo per quanto riguarda la tipografia, ma anche la legatoria, anche per tutto quello che è l'insieme. È giusto? Ma devi metterti lì e pensarci sopra. Perciò il singolo «in ginocchio e in ascolto, deve riferire ciò che Dio gli suggerisce e mettere a disposizione tutti i doni ricevuti da Dio...». Non può soltanto parlare e criticare, ma deve fare: non andarsene dicendo: «Fate!». Deve mettere a disposizione tutte le sue doti: «La parte mia, io la metto tutta. Volete che facciamo questo? Va bene. Guardate che io non posso trasportare le montagne, ma nella parte amministrativa - dice, ad esempio, don Zeno - io ce la metto tutta; per la questione economica si potrebbe far questo... quello; per la costruzione interpello Grassetto o Maltauro. Insomma, per quello che dipende da me, io ce la metto tutta». Allora puoi fare le tue proposte..CONGREGAZIONE appartenenza
ESEMPI Congregazione
CONGREGAZIONE missione
CONGREGAZIONE fondatore
MI339,84 [25/27-12-1970]
84. «... non per criticare, ma per collaborare nel continuare il lavoro, ed eventualmente per correggere col proprio sacrificio errori commessi da confratelli e superiori», perché si possono commettere anche degli errori. Fai una costruzione e t'accorgi che è troppo piccola, ma t'accorgi dopo: «Potevamo pensarci prima!». Tutto quello che vuoi, ma ormai l'errore è stato fatto. E allora sentiamo... c'è da correggere: «L’hanno fatta loro; che si arrangino!». Non è corretto dire così perché tutti abbiamo sbagliato. «Se io non parlavo, non s’accorgevano...». Beh, senti, è inutile che domandiamo chi è stato e chi non è stato. È troppo piccola? Bisogna ingrandirla? Mettiamoci tutti all'opera e ingrandiamola. Bisogna cambiare sistemazione? «Bisogna pensarci prima!». Sì, tutto quel che vuoi, ma ormai quel che è stato, è stato, basta, cambiamola! Ieri il pranzo non era pronto: «Di chi è la colpa? La pentola...». È così la realtà? Domani staremo più attenti. Viene a mancare il liquigas: «Chi ne è la causa?». È inutile che perdiamo la pace; un'altra volta staremo più attenti, adesso andiamo avanti! Vi sembra sbagliato questo modo di procedere? Adesso manca la nafta: «Chi è stato? Perché è successo?». Senti, adesso manca la nafta: che cosa si può fare? Farla arrivare perché è necessario riscaldare. Un'altra volta staremo più attenti; organizziamoci in modo che non capiti più. Questo inconveniente può essere avvenuto per causa mia non avendo ordinato a uno di essere sul posto, può essere per causa di Vinicio, ma è inutile che indaghiamo per conoscere il colpevole: adesso cerchiamo che non capiti un'altra volta. Non siamo qui per condannarci, siamo qua per aiutarci in modo che non capiti più.COMUNITÀ
critica
COMUNITÀ
condivisione
COMUNITÀ
fraternità
COMUNITÀ
Il riferimento è a Sergio Franceschi che per molti anni fu generoso e fedele maestro nella scuola di meccanica dell’Istituto San Gaetano, con particolari doti di educatore, fino alla morte avvenuta nel 1976.
MI339,85 [25/27-12-1970]
85. c) Il fallimento «I1 figlio di un grande industriale che ha iniziato una azienda - e a questo proposito abbiamo degli esempi che quadrano molto - si rovina quando vive alle spalle dell'azienda, con la testa tra le nuvole, senza considerare le enormi difficoltà sostenute dal padre, e spende il denaro paterno in gite e divertimenti, con la scusa di visitare mostre estere inerenti all'azienda». Alludo con questo in modo particolare al caso di Pellizzari, il quale ha iniziato la sua attività come perito tecnico e costruendo motori, e poiché anche noi abbiamo incominciato la costruzione di motori sappiamo che cosa vuol dire questo. Il maestro Sergio , quando veniva a lavorare di sera, e si fermava tutte le sere dalle otto fino a mezzanotte, alle una, alle due, anche fino alle tre, mentre io gli stavo vicino a fargli compagnia, per costruire uno stampo per tranciare i lamierini ci impiegava un mese, un mese esatto. Ricordo che una volta mi disse: «Don Ottorino, mi permetta che lo temperi domani, giorno di festa». «No, Sergio, - gli risposi - no, Sergio». Aveva lavorato un mese; era una trancia, mi pare, di mezzo cavallo. «Senta, solo per temprarlo, solo per temprarlo, perché così può essere pronto per lunedì». E io gli ripetei di no perché di festa non si deve lavorare. E allora si portò, di nascosto, lo stampo a casa per temprarlo; a casa suo papà aveva un piccolo forno e, mentre stava temprandolo... paf, si spaccò in due. Il lunedì, appena arrivato in officina mi disse: «Don Ottorino, le domando scusa; vedrà che non lavorerò più il giorno di festa, io... non lavorerò più!», e si fece il segno della croce. Quando riuscimmo a costruire i primi motori bisognava tenerli fissi in due persone perché si muovevano sul tavolo: era necessario trovare la causa per cui erano sbilanciati. Chi ha iniziato una certa attività sa che cosa essa costa e quanti sacrifici richieda portarla a buon punto. Pellizzari ha cominciato così ed è riuscito a lanciare la sua officina. Sognava di avere un figlio maschio e invece sono nate delle figlie. Gli è morta la moglie e si è sposato un'altra volta per avere un figlio. È riuscito ad averlo, lo ha fatto studiare perito tecnico facendogli seguire il suo stesso indirizzo di scuola. E quando arrivò il momento in cui il figlio avrebbe potuto essere di aiuto al padre, il giovane cominciò invece a criticare: «Uh, quelle macchine! Non ti vergogni?», anziché dire: «Papà, non sarebbe il caso che prendessimo macchine più moderne?». Insomma il figlio si è dato alla passione per i quadri spendendo milioni e milioni di soldi per allestire una pinacoteca, poi per la musica e poi per le donne; dell'industria paterna non si è più interessato. Lui era il padrone, ma non se ne interessava. Naturalmente il padre è morto con un terribile sconforto nel cuore.CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE fondatore
ESEMPI volontà
di DIO
Adelina e Pulcheria Meneghini, grandi benefattrici dell’Opera, avevano la loro abitazione e la loro conceria ad Arzignano, grosso centro industriale a circa venti chilometri da Vicenza, e quindi conoscevano la famiglia Pellizzari che era della stessa località.
MI339,86 [25/27-12-1970]
86. Ero al corrente della situazione per quello che mi raccontava la figlia Maria, che andavo spesso a trovare e che veniva spesso da noi. Me l’avevano presentata le signorine Meneghini e l’avevano condotta all’Istituto. Viveva fuori, in una villetta, perché non voleva rimanere in casa con i suoi. Il padre si recava ogni tanto da lei a sfogarsi. Maria portava a casa le calze dei nostri ragazzi, che mia mamma prima lavava, e lei le rammendava e le riassettava. Io andavo ogni settimana, con il trenino, a ritirarle, a prendermi il sacchetto degli indumenti per i ragazzi, e naturalmente Maria ci regalava sempre qualche paio di calze nuove o metteva qualche indumento nuovo in mezzo; insomma questa provvidenza durò due o tre anni. Maria lavorava tutta la settimana per noi, e fu durante questo periodo di tempo che lei mi raccontò tutto il retroscena. Quante lacrime versò il povero Pellizzari vedendo che il figlio lo condannava invece di aiutarlo ad andare avanti! E, quando morì, il figlio prese in mano tutto e sperperò ogni bene. Ora pensate a questo figlio che «al ritorno, invece di passare le notti insonni a studiare progetti e a costruire prototipi, si ferma nei salotti con gli amici a criticare l'azienda paterna dicendola sorpassata, e intanto mangia e beve alle spalle della sorpassata azienda. L'esperienza dimostra che questi figli, alla morte del padre, fanno fallimento».PROVVIDENZA
Don Ottorino sembra interpellare don Matteo Pinton, che all’epoca insegnava filosofia e aveva pubblicato alcuni fascicoli di spiritualità sotto l’ispirazione di don Ottorino stesso.
La registrazione è interrotta a questo punto, per cui vengono riportati gli altri punti dalle note scritte di don Ottorino e quindi in corsivo.
Il punto al quale don Ottorino allude e che poi non ebbe tempo di trattare il giorno seguente è così riassunto nelle sue note scritte: “Ci sono poche vocazioni? 1. Si sente poco la vocazione della Congregazione; si sente di più la propria vocazione personale, egoistica, anche se apparentemente spirituale. 2. Si prega poco e ci si sacrifica poco per chiedere vocazioni. 3. Si lavora troppo poco per le vocazioni. N. B. Se io non mi fossi curato di cercare voi, non avrei creduto niente alla mia vocazione. E voi?”.
MI339,87 [25/27-12-1970]
87. d) «Quando uno perde quota?» 1) «Quando prega poco». Il primo segno è quando comincia a pregare poco, a tralasciare certe preghiere che ritiene sorpassate come il breviario, per esempio, la meditazione che reputa non necessaria, l'ora di adorazione, l'incontro personale con il Cristo. 2) «Quando nella preghiera non si mette completamente a disposizione di Dio come Gesù». A volte si dice di qualcuno: «Come mai quel tale, che pregava tanto, ha fatto fiasco?». Io posso recitare tante preghiere, ma se nella preghiera non mi incontro con Dio e non mi metto a disposizione di Dio come Gesù, non ho pregato. Se dico il Padre nostro senza recitarlo con il cuore, che preghiera ho fatto? Tu, don Matteo, maestro di ascetica, sei d'accordo? Maestro di filosofia, è lo stesso. Non si può dire parole e parole. Non ti pare? 3) «Quando cerca nell'apostolato la sua integrazione ed il suo sostegno». 4) «Quando non può vivere senza i suoi amici, il suo lavoro, le sue iniziative». 5) «Quando, piano piano, dimentica la Congregazione, gli inizi di essa, i doni, lo spirito, i confratelli, la missione della Congregazione, ed è contento e soddisfatto solo nel proprio lavoro. Ometto ora un punto, che tratteremo domani mattina.CONSACRAZIONE mediocrità
PREGHIERA unione personale con Dio
APOSTOLO attivismo
A questo punto interviene Mario Corato con la seguente domanda: “Io credo che tutto il filo della sua conversazione, almeno così mi pare, potrebbe essere dato per scontato, ma c'è un punto sul quale vorrei chiederle un approfondimento: quello della preghiera fatta senza una completa donazione a Dio. In particolare: come mai può capitare questo, e come mai è anche un fenomeno molto facile?”.
MI339,88 [25/27-12-1970]
88. e) «Come si muore?» 1) Prima fase. «Ci si tuffa nel lavoro apostolico, dando per scontato che si sta lavorando per la Congregazione e che si sta realizzandone il programma». Naturalmente questo avviene dopo aver tralasciato di pregare. 2) Seconda fase. «Si resta accecati dalle lodi e si accettano senza forti reazioni i confronti». Uno potrebbe sentirsi dire: «Lei sa fare molto bene!», e non reagisce con forza. «Beh, insomma...», risponde con compiaciuta modestia. E si accettano i confronti: «Ah, sono venuti qui a predicare alcuni, ma lei, don Matteo, è il migliore. Ah, perché non è venuto lei domenica a predicare? È venuto don Venanzio, che pure è bravo, ma... ma...», e si accettano le lodi senza forti reazioni e si accettano i confronti. 3) Terza fase. «Si stabilisce una vita libera e autonoma e si passa alla critica dei confratelli, che non sanno fare, che potrebbero... guardino me». 4) Ultima fase. «La Congregazione ha fatto il suo tempo, non è più all'altezza del suo compito; solo una categoria media di persone la può seguire. C'è incompatibilità di carattere; manca la carità. È uscita di strada. Mi ha sempre sacrificato; la mia voce non è mai stata ascoltata. Sento il dovere di coscienza di andare per la mia strada». Ecco come si muore. «Un ladro comincia col rubare un ago. Il religioso o è un consacrato totalitario o è uno che ha già cominciato la discesa». Il dibattito è aperto. Prima di tutto direi questo: siamo in una casa di Dio, dove Dio è presente, e non si può scherzare. È giusto mettere questo alla base della nostra conversazzione. In un ambiente così è logico che dovremmo essere tutti santi, che dovremmo arrivare tutti alla santità. Tempo addietro vi dicevo: «Guardate che la nave arriverà, ma quelli che vi sono sopra non sono sicuri di arrivare: nessuno, neanch'io».APOSTOLO
COMUNITÀ
critica
CONGREGAZIONE missione
DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
CONSACRAZIONE santità
Nel testo registrato don Ottorino a questo punto aggiunge in tono scherzoso alludendo a don Matteo Pinton: “... come don Matteo che ha raccontato la barzelletta dei monsignori”.
MI339,89 [25/27-12-1970]
89. In che modo si prende il raffreddore per strada? Innanzitutto uno che prega non prende il raffreddore. Uno può dire: «Ma io prego tanto». Adagio! È preghiera o illusione di pregare? Perché se uno prega e poi critica, brontola, dice male di tutto e di tutti, io credo poco che preghi. Non è vero? Chi prega veramente davanti al Signore dice: «Signore, ti ringrazio dei doni che mi hai dato, però ammetto e riconosco che sono un peccatore», e si mette con umiltà davanti a Dio, non per disconoscere i doni ricevuti da Dio, ma per dire: «Signore, mi hai dato una bella Fiat 1100, la apprezzo, è una cosa bellissima, però scusami se le ho fatto qualche sfregio». Questo significa che apprezzi la Fiat 1100. Se dico: «Signore, mi hai dato il dono dell'intelligenza, il dono dell'amore, il dono del cuore, la possibilità di ragionare e di parlare. Qualche volta, però, mi esce qualche stupidaggine, forse qualche barzelletta non troppo pulita, qualche parola esagerata. Tu mi hai dato il dono di riflettere, e vedi ora quante stupidaggini sto facendo, il dono di amare, che è una cosa bellissima e santa, ma qualche volta è andato un po' fuori posto». Ora non mi direte che questo atteggiamento sia umiliare l'uomo; secondo me è rendere grande l'uomo. È umiliarsi, al mattino, quando uno si lava e si toglie lo sporco che ha sul viso? Anzi, direi che si fa bello uno che si lava un po' e si profuma. Per conto mio, l'atto di umiltà dinanzi a Dio è un purificarsi un pochino da quello sporco che abbiamo contratto, per averlo voluto noi, altrimenti non sarebbe peccato. Chi è che non si sporca qualche volta, magari un poco, proprio perché vuole? L'umiltà è la base della nostra preghiera. Se la preghiera viene fatta bene, allora ci si mette a disposizione di Dio, completamente; ma veramente a disposizione di Dio. Volevo aggiungere un altro punto, ma non ci sono riuscito; volevo presentare questo modo di vedere le cose, per esempio considerando l'apostolato. Qualcuno potrebbe dire: «Beh, a me piace tanto fare il missionario». Mi diceva un giovane ultimamente: «Il mondo mi attira; la vita missionaria non mi attira più come una volta, e non so neanch'io perché». Non si può pretendere che la vita missionaria attiri come a vent'anni attira una ragazza: a vent'anni una ragazza attira qualche volta in modo bestiale, ma la vita missionaria è diversa. Naturalmente non è vita missionaria quella che fa pensare ai banditi, agli orsi, ai laghi, alle avventure: questo è sentimentoPREGHIERA
COMUNITÀ
critica
VIRTÙ
umiltà
CONVERSIONE esame di coscienza
CONSACRAZIONE disponibilità
Cfr. 2ª Cor 7,6.
“Dammi le anime (= le persone) e prenditi tutto il resto” (Gen 14,21). Con queste parole il re di Sodoma offrì ad Abramo come ricompensa tutti i beni acquistati, contento di ricuperare le persone che il patriarca aveva appena liberato.
MI339,90 [25/27-12-1970]
90. Si può guardare alla vita apostolica in modo solamente umano e dire: «Mi piacerebbe fare l'apostolato così», o invece in una forma veramente soprannaturale, di autentica donazione, e dire: «Signore, a me non interessa... Io mi faccio prete perché voglio salvare anime. Adesso mandami in questa o quell'altra parte del mondo, dove vuoi tu», come San Paolo e gli Apostoli. È logico che quando si va in un posto ci si affeziona a quell'ambiente; se non avvenisse uno non sarebbe neanche uomo; io mi meraviglierei, che uno non si affezionasse. San Paolo dice: «Signore, tu consoli tutti, hai consolato anche me inviandomi Tito: ti ringrazio». Anche gli Apostoli avevano la parte umana perché, quanto più uno ama, tanto più sente anche l’affetto naturale, però la disponibilità deve essere totale. Il miraggio dell'apostolo, il suo ideale è la salvezza del mondo, la salvezza dei fratelli. Mi ha commosso vedere con quale semplicità il card. Rossi ha lasciato, alla sua età, la diocesi di San Paolo del Brasile per assumere l'incarico di prefetto della Sacra Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli. E faceva compassione alla gente vedere quest'uomo, poveretto, praticamente in gabbia. Non è commovente vedere questo? Passare da una vita apostolica a una vita, per così dire, di ufficio... Quelli sono uomini! Uomini che si sono veramente donati al sacerdozio nella santità. Non si sono dati all'ufficio, non sono entrati nella Congregazione perché attirati dalle sue opere, ma hanno detto: «Mi piace lo spirito che anima la Congregazione». Infatti non devono essere le opere che attirano uno, ma lo spirito deve spingere alla donazione. Per cui che si vada missionari in Africa o in America o si resti qui, si è ugualmente contenti. Anche don Pietro Martinello ha fatto un salto dalla gioia quando gli ho detto che sarebbe andato in America, ma se gli avessi detto: «Resta qui», «Beh, resto qui», mi avrebbe risposto. Proprio nella preghiera deve esserci questa donazione. Io non posso pensare a un prete, a un religioso, che non continui nella preghiera a offrirsi continuamente al Signore dicendo: «Signore, fa’ di me quello che vuoi, però dammi anime: da mihi animas et coetera tolle»: la frase di San Giovanni Bosco, il suo «dammi anime». Il «sitio» di Gesù in croce deve divenire: «Ho sete di anime». Lasciamo da parte l'interpretazione biblica, qui esaminiamo le cose con semplicità. «Ho sete di anime!».APOSTOLO salvezza delle anime
PAROLA DI DIO Sacra Scrittura
CONSACRAZIONE offerta totale
SACERDOZIO prete
CONGREGAZIONE spiritualità
CONSACRAZIONE religioso
Il riferimento è forse a Renzo Dabionelli, che all’epoca stava trascorrendo un periodo di discernimento vocazionale.
Il riferimento è a San Leopoldo Mandic, cappuccino, che a Padova dedicò gran parte della sua vita per le confessioni, canonizzato nel 1983.
Don Ottorino parla di un’osservanza esteriore, fatta solo per adempire la legge. Per questo cita la frase evangelica di Mt 26,56 e Mc 14,49 in latino: “... ut adimplerentur Scripturae”.
È chiara l’allusione alla preghiera del fariseo di Lc 18,11-12.
Nel testo registrato interviene a questo punto don Zeno Daniele il quale dice: “Penso che un altro modo di avvertire come possiamo andare facilmente fuori di strada si ha quando nella preghiera contempliamo noi stessi, anziché i doni che il Signore ci ha fatto, come per esempio quello della vocazione e anche tutti quelli che abbiamo esaminato adesso. La preghiera, invece, è contemplazione di Dio. Molte volte possiamo fermarci soltanto su noi stessi e continuare a dire a Dio: «Vorrei questo, vorrei quello...», cioè continuare a domandare anche cose buone, mezzi e aiuti per l'apostolato, ma fermarci solo su questo aspetto. Allora credo che non sia una preghiera buona”.
Don Zeno aggiunge ancora: “Credo che sia molto facile pregare così. Tante volte si crede di avere pregato e invece non si ha pregato affatto”.
MI339,91 [25/27-12-1970]
91. Il prete dev'essere un assetato di anime, uno che vorrebbe avere cento vite, come Santa Teresina del Bambino Gesù, per essere missionario, restare in clausura, essere tutto. Se, per esempio, chiedessi: «Che cosa piacerebbe essere a te, Renzo? », lui dovrebbe rispondermi: «Mi piacerebbe essere in clausura e pregare continuamente; mi piacerebbe essere un confessore, come padre Leopoldo , sempre dedito alle confessioni, alla santificazione delle anime; mi piacerebbe essere un predicatore, avere il dono della parola, come Sant’Antonio, per convertire anime; mi piacerebbe essere missionario nella steppa, mi piacerebbe essere vescovo per potere riunire intorno a me tanti preti e portarli alla santità; vorrei essere Papa...». Un uomo di Dio dovrebbe volere tutto, come un bambino che vuole tutto, ma nel senso del servizio, dell'amore, della salvezza delle anime. Un uomo di Dio dovrebbe dire al Signore nella sua preghiera: «Signore, io voglio tutto e voglio niente». Non so se è sbagliato dire così. Quando uno prega così, riesce a stare al suo posto. Potrà capitargli di commettere qualche marachella, anche qualche peccato; capiterà qualche momento o qualche mese difficile; andrà anche fuori di strada, ma poi rientra, se prega così. A un dato momento avrà nostalgia di questa preghiera, sentirà il bisogno di pregare e dirà: «Mea culpa!», ma bisogna crearla questa preghiera e stare attenti a non illudersi e dire: «Io prego» perché recito delle formule “affinché siano adempiute le Scritture” : «Ho fatto... faccio tutto... pago le decime... io non sono come quello là; io... io... io...» . E allora crolla il palco. Allora è come attaccare i cerotti sul vetro.ESEMPI santi
APOSTOLO uomo di Dio
PREGHIERA
PECCATO
Interviene a questo punto Mario Corato con una considerazione abbastanza sviluppata: “Mi sembra che qualche volta sia facile l'illusione... Tutte queste cose, che abbiamo esaminato insieme con animo riconoscente, qualche volta ce le attacchiamo addosso come se fossero delle etichette. Tanti doni di Dio e della provvidenza, tante grazie spirituali ce le attacchiamo a modo nostro, e allora caschiamo nel vero trionfalismo. Quando poi ci troviamo a contatto con la vita concreta, crediamo di avere in noi tutte queste realtà, di possedere bene tutti questi doni, e invece sono etichette che vengono strappate via. Io direi che, forse, in qualche caso - non so... sono idee mie - non si tratta che uno sia passato attraverso la trafila dell’abbandono della preghiera e tutto è perduto. In campo apostolico egli si trova di fronte ad altre idee, ad altre cose... Egli aveva attaccato tutti i suoi doni come etichette, che poi gli vengono stracciate, e allora egli si trova indifeso”.
Il riferimento è al diacono Giovanni Battista Zorzo che per molti anni svolse il servizio di sacrestano della cattedrale.
Don Ottorino cita l’espressione di Geremia 1,6 in latino: “A, a, a... nescio loqui”.
Intervengono a questo punto dapprima don Matteo Pinton e poi il fratello Marco. Don Matteo dice: “Nel Vangelo troviamo una illuminazione su questo. Porto un esempio tratto dalla storia della filosofia. Socrate, morto da un pezzo, poveretto, diceva che la vera sapienza è quella di convincersi che non si sanno tante cose. Così anche nel Vangelo si legge che il Signore raccontò una parabola a coloro che si ritenevano giusti: è la famosa parabola del fariseo e del pubblicano. Dove il Signore vede la giustizia o la non giustizia di uno? Nel modo di pregare. Non è giustificato chi, come diceva anche don Zeno prima, prega dicendo: «Signore, ti ringrazio di non essere come gli altri», o anche: «Signore, io voglio questo, voglio quest'altro, voglio quest'altro ancora », per essere sempre o incensato o sul piedistallo o, insomma, per trionfare. È invece giustificato chi si mette in un angolo, in fondo alla chiesa, avendo paura di alzare perfino gli occhi. Però anche costui corre un rischio, l'altro rischio, quello di inginocchiarsi pubblicano e di alzarsi fariseo e di dire: «Signore, ti ringrazio di non essere come quel fariseo!». Allora è lo stesso. Bisogna, insomma, tener sempre la testa bassa e quindi, se abbiamo commesso qualche peccato nella vita, qualcosa, bisogna ricordarselo. Se il Signore lo dimentica, noi non abbiamo il diritto di dimenticarcelo, ma dobbiamo tenercelo caldo caldo, altrimenti si corre il rischio di inginocchiarsi pubblicani e di alzarsi farisei: «Ti ringrazio, Signore, di non essere come quel fariseo!». Ma si è sullo stesso piano”. A continuazione Marco aggiunge: “Mi sembra che, oltre all’impegno della preghiera, del contatto con il Signore, ci debba essere anche un lavoro un po' pratico, cioè quello della direzione spirituale. Non so se lei ne parlerà domani, in un altro punto della conversazione. Mi sembra, insomma, che se non si è guidati da una persona che ha un po' più esperienza di noi nel campo della vita spirituale oppure da un fratello con cui ci si confida e dal quale si può avere un consiglio, tante volte sarà possibile trovarsi in grave difficoltà. Parlo un po' per esperienza personale”.
MI339,92 [25/27-12-1970]
92. Se, quando vai a pregare, tu dici: «Signore, aiutami perché devo fare la predica... aiutami per questo, aiutami per quello...», praticamente domandi aiuto per apparire tu; invece dovresti dire: «No, è per le anime, Signore; fa’ che io compia quello che vuoi tu». La preghiera dovrebbe sempre concludersi così: «Signore, voglio essere quello che vuoi tu. Signore, adesso tu mi mandi a predicare... non mi interessa ottenere o no trionfi». Se uno prega nella forma di cui si parlava prima, allora non ci sarà alcun problema. Porto un esempio concreto. Vado in chiesa e vedo Marco che prega, e allora dico: «Signore, io sono indegno! Questi figlioli sono veramente bravi». Gli altri diranno: “Come ha educato bene questi ragazzi! ». E io invece dirò: «Che meraviglia, nonostante le mie deficienze! Signore, per carità!». A un dato momento ti senti quasi svergognato dinanzi agli altri che pregano, agli altri che fanno un atto di generosità, per cui dici: «Signore, e a me tocca occupare questo posto e svolgere questo ruolo». Un giorno abbiamo portato l'esempio, se vi ricordate, di Battista che prestava servizio in cattedrale. Se a un dato momento il vescovo, durante un pontificale, avesse avuto bisogno di ritirarsi per un istante e avesse detto a Battista: «Per piacere, finché si canta il credo indossa tu il mio piviale», Battista sarebbe rimasto con il piviale al posto del vescovo. Se, verso la fine del credo, il vescovo non fosse arrivato e, supponiamo, che dovesse fare una predica o intonare o cantare il prefazio o qualcos'altro il povero Battista avrebbe sospirato: «Chissà che arrivi!», e, rivolto a qualcuno, gli avrebbe detto: «Va’ a vedere... chissà che arrivi!». Noi siamo messi nelle stesse condizioni. Bisogna che sentiamo che tutto quello che è stato fatto, è stato lui a farlo, e che noi stiamo occupando un posto per cui certamente dovremmo dire come il profeta: «Ahimè... non so parlare». E allora il Signore ti dice: «Tutto quello che hai da dire, lo devi dire, purché tu stia unito a me». Questo lo si sente in modo particolare quando si comincia il contatto con le anime, quando ci si domanda: «Che rispondo adesso? Che cosa dirò a quest'anima? Come la devo guidare?». E allora si sente il bisogno d'invocare il Signore, di invocare la Madonna; allora si sente che si è strumenti. Noi non possiamo dimenticarci di questo.PREGHIERA
VIRTÙ
umiltà
PAROLA DI DIO Sacra Scrittura
DIO rapporto personale
APOSTOLO missione
APOSTOLO chi è
l’
Don Matteo Pinton aggiunge a questo punto: “Nel Vangelo è scritto che sono tornati tutti contenti perché avevano fatto miracoli”.
MI339,93 [25/27-12-1970]
93. I mezzi ai quali tu accenni sono meravigliosi e necessari. Io, però, stavo presentando solo la linea fondamentale. La direzione spirituale è un mezzo, ma non indispensabile, perché un domani, anche nella vita apostolica, può essere un confratello il nostro confidente: cioè dobbiamo dubitare un po' di noi stessi, e allora con il fratello possiamo edificarci a vicenda parlando delle cose nostre e di Dio, e poi sentire una parola per cercare l'interpretazione della volontà di Dio in modo da non metterci nel pericolo di fare la volontà nostra. Non pensavo di entrare ora nei vari particolari, ma possiamo accennarne. Alla fine è sempre l’egoismo che fa cadere un apostolo: al posto di Dio resta «io», tiri via la «D» e resta l’«io». All'origine c'è sempre l'egoismo che fa dire: «Io non ho più bisogno di Dio; per me è sufficiente questo, mi basta questo». E così si comincia ad accontentarsi di trovare una soddisfazione nella vita apostolica. Mi diceva una volta un confratello: «La pianta si conosce dai frutti. Io vedo che ci sono dei frutti meravigliosi sul mio cammino, perciò sono convinto di essere sulla buona strada, e non sono d'accordo con lei». Potrebbero essere anche frutti marci! E poi non è detto che anche Giuda non abbia compiuto dei miracoli, non abbia prodotto dei buoni frutti. È giusto o no?APOSTOLO vita interiore
VOLONTÀ
di DIO
CONSACRAZIONE mediocrità
Don Ottorino parla avendo presente il caso di un prete che aveva lasciato il sacerdozio e che cita con il solo nome, don Giuseppe. Anche per mezzo di un prete indegno Dio può dare le sue grazie, ma ciò non toglie l’eventuale cattivo comportamento e la responsabilità del ministro.
Don Ottorino cita in latino il detto sapienziale: “Abissus abissum invocat”.
A questo punto c’è una interruzione nella registrazione, per cui l’ultima frase rimane incompleta e sospesa. Poi si ascolta don Zeno Daniele che dice: “Naturalmente la Congregazione è il mezzo, direi, forse più visibile, il segno più chiaro attraverso il quale il Signore si è manifestato a noi; quindi il mettersi in un atteggiamento di critica...”.
Il comm. Mario Volpi fu il primo benefattore dell’Opera, che pagò l’acquisto del terreno e la costruzione della prima casetta. Negli anni successivi continuò ad essere accanto a don Ottorino con il consiglio, l’amicizia e l’aiuto. In questo esempio don Ottorino ne mette in risalto l’innato spirito commerciale che lo caratterizzava.
Il comm. Gresele era un noto industriale della città, che nell’esempio avrebbe voluto offrire all’Istituto un’occasione di facile guadagno.
MI339,94 [25/27-12-1970]
94. D'altra parte che colpa ne hanno i fedeli, se il ministro è indegno? Per esempio, supponiamo che un sacerdote di una certa parrocchia - ne ricordo uno che è stato ridotto allo stato laicale - prima di andarsene abbia un scomportamento scandaloso. Supponiamo dunque che l'ultima domenica in cui ha predicato in chiesa fosse magari in peccato mortale. È possibile? Portiamo un esempio veramente estremo. In tale situazione non si può dire: «Dai frutti si conosce la pianta», perché il Signore può servirsi del suo ministro, anche indegno, per compiere qualche volta prodigi di grazia; ma ad un dato momento potrebbe dire: «Basta! Ti avevo chiamato per aiutarmi a distribuire il pane del miracolo; basta, adesso io mi ritiro». E allora «la caduta chiama un’altra caduta». Dico male? Ricordo che un giorno il commendator Volpi mi prese in disparte e mi disse: «Don Ottorino, ci sono adesso continue malattie che intaccano le galline e i polli. Io ho scoperto una medicina che le combatte; potremmo lanciarla con la denominazione “Astichello”. È merce che costa centocinquanta lire il quintale e si può venderla a millecinquecento lire l'etto; la si confeziona in bustine abbastanza facilmente. Ci mettiamo in società, e la reclamizziamo come: “Toccasana per i polli”. Io ho già confezionato alcune bustine e ne ho già vendute parecchie: sono ricercate, e la gente continua a venire dalla campagna per farne richiesta. Io le cedo facendo intendere che per me è fatica averle, che c'è questa e quest'altra difficoltà, però esigo in cambio frumento». E in questo modo è riuscito, con la vendita di ingredienti e di polverine, ad ammassare centocinquanta quintali di frumento «per i poveri orfanelli dell'Istituto San Gaetano». Nei granai di una casa che si trova alla fine di viale Astichello c'erano centocinquanta quintali di frumento «per i poveri orfanelli dell'Istituto San Gaetano», diceva lui. Mettendo in vendita merce di questo genere, i rivenditori correvano da lui, che rispondeva: «Non posso dargliela». Gli altri insistevano: «Soltanto un po', ci faccia il piacere: tutta la gente ce la domanda». Un'altra volta si è presentato da me il commendatore Gresele in compagnia di una persona, con una penna biro, e mi propose: «Don Ottorino: questa è una penna biro, che costa così e così e si potrebbe produrre con una certa attrezzatura limitata, venderla e guadagnare molto».ESEMPI prete
ESEMPI disonestà
Don Ottorino vuol dire che i fondamenti della spiritualità della Congregazione sono da ricercarsi nel Vangelo, accolto e attualizzato dal Concilio Vaticano II e dal magistero del Papa.
Strumento necessario che serve a misurare in modo preciso e fa scartare ciò che non è secondo misura.
MI339,95 [25/27-12-1970]
95. A quel tempo erano molti i debiti e non si riusciva a trovare i soldi: poteva essere una tentazione tremenda una proposta del genere, ma bisognava avere la forza di dire di no. «Ma, sa...», diceva il commendator Volpi. Non mi ha più dato soldi per alcuni mesi, anzi, vorrei dire, per qualche anno: si era arrabbiato perché non avevo accettato. Se l'era presa con me, diceva, perché non capivo niente. Credo che la stessa tentazione possa sorgere nel campo apostolico: si esce di casa, si sente dire che si potrebbe far questo... anzi si sente esaltare una certa iniziativa, e si torna dicendo che bisogna fare così, fare cosà. Amici miei, bisogna stare attenti. L'idea può essere portata a casa, esaminata e analizzata insieme. Si può vendere a millecinquecento lire l'etto ciò che costa centocinquanta lire il quintale? Onestamente no! E allora non vendiamolo. Si presenta invece un caso possibile? Va bene: può trattarsi di iniziative apostoliche, di qualcosa che può favorire delle aperture... Esci di casa e capti una determinata idea? Portala a casa, discutiamone nell'assemblea e vediamo un po'. Se possiamo arricchire la Congregazione con qualche cosa, con qualche programma, benissimo! Ma dire: «Io realizzo qualcosa», e poi mi arrabbio perché mi condannano dicendo che non va bene averla fatta da solo... mi pare che questo non si possa fare, non è il modo corretto di pensare. Una delle tentazioni tremende è proprio questa, e io l'ho già indicata ancora con altre parole: noi non possiamo andare a cercare la figura del prete della nostra Congregazione nelle riviste o desumerla da quello che si dice a destra e a sinistra. La troviamo nel Vangelo, nel Concilio e nel Papa. È chiaro? Poi ognuno di voi deve renderla viva questa figura, ma sempre e solo con questo «passa o non passa». Se siamo d'accordo con il Vangelo, con il Concilio Vaticano II e con il Papa, allora certamente progrediremo, ma se viene meno per noi uno di questi tre punti di riferimento, andiamo fuori strada. Nessuno dei tre può essere calpestato: non è possibile dire che il Papa è vecchio e non capisce niente, che il Concilio è già sorpassato, che il Vangelo è superato e che vi è qualcosa di più valido come, per esempio, «Le lettere di Mao».CROCE tentazioni
APOSTOLO attivismo
APOSTOLO chi è
l’
apostolo
CONGREGAZIONE spiritualità
Don Ottorino richiama ora, con qualche evidente differenza, l’episodio già raccontato da don Pietro De Marchi nella meditazione del 25 novembre.
Interviene a questo punto ancora don Matteo Pinton, il quale aggiunge: “In concreto, la prima esperienza che si fa nella vita apostolica può essere validissima da un lato, ed essere vista con molta relatività da un altro. Supponiamo di essere immersi in una determinata realtà, in una parrocchia, e di svolgere una certa attività. All'inizio si parte mettendoci anima e corpo, e gli altri confratelli non stanno proprio a giudicare se si sbaglia o non si sbaglia. Io credo che sia proprio necessario partire personalmente con questa mentalità, relativizzare anche le proprie attività apostoliche, altrimenti a un dato momento si fa della propria attività apostolica il principio su cui bisogna giudicare tutti gli altri, oppure il filtro di ogni giudizio che gli altri fanno di noi. Per cui a un dato momento non si riesce più a captare, per esempio, la correzione, ma la si giudica solo come critica a noi”.
MI339,96 [25/27-12-1970]
96. Ricordate quello che mi ha raccontato la signora dell'Isolotto che mi ha donato i dodici milioni? Un giorno la signora e don Mazzi andarono in montagna con un gruppo di ragazzi. «E la Messa?», chiedeva di tanto in tanto la signora. «Beh, oggi non posso; vedremo...». Insomma, dopo due o tre giorni, lei tornò a dire: «Beh, e questa Messa?». «Stasera la diremo...». La sera i ragazzi si ritirarono a vedere la televisione o a giocare, mentre loro due, alle nove, dopo cena, sulla stessa tavola cominciarono la Messa. Potete immaginare il disagio di quella donna: loro due soli, uno di qua e l'altra di là, e il sacerdote cominciò: «Nel nome del Padre...», e procedette con la Messa. Arrivato al Vangelo chiuse il libro e disse: «Signora, non le pare che questo libro sia sorpassato? Non le sembra che ormai abbia fatto il suo tempo e non risponda più alla mentalità moderna?». «Che dice?». «No, signora, ormai sono convintissimo che la verità viene da un'altra parte. Questo libro ha già fatto la sua storia; la verità viene da un'altra parte. Per conto mio, oggi, ci sono le “Lettere di Mao” che indicano molto meglio la via della salvezza, la via della luce...». Un passettino alla volta, un passettino alla volta, si può veramente arrivare a questo punto.SACERDOZIO prete
ESEMPI orgoglio
Don Matteo Pinton interviene un’altra volta dicendo: “Vorrei portare un caso concreto, che ha fatto impressione ad alcuni con i quali ne abbiamo parlato. Una volta siamo andati a Malo con don Pietro De Marchi e, durante il ritorno, abbiamo discusso di una certa situazione della nostra Congregazione. Don Pietro diceva: «L'automobile ha anche la retromarcia e ciò è essenziale. Infatti, se vai all'ispettorato della motorizzazione per la revisione della macchina e la retromarcia non funziona, non ti lasciano circolare, perché saresti un pericolo pubblico. Se imbocchi una strada e intralci il traffico, senza retromarcia non riesci a liberare la strada, crei un disastro». Ed ha aggiunto: «Anche nella nostra vita bisogna saper fare la retromarcia. Un uomo che non ha retromarcia, non è uomo. Certo, non si va sempre indietro, con la retromarcia: si va avanti, naturalmente, ma qualche volta è necessario usarla».
Allusione alle ceramiche della Casa dell’Immacolata, sulle quali don Ottorino aveva fatto scrivere alcune frasi forti perché servissero di richiamo alla spiritualità della Congregazione. Per una di queste aveva dettato: “Cerca l’ultimo posto e troverai la pace”, ma per errore fu scritto: “Cerca l’ultima porta...”. C’è qui un’allusione a quello sbaglio.
Interviene a questo punto don Zeno Daniele che sottolinea: “È un'idea, anche come immagine, molto importante, perché a volte si imboccano certi vicoli ciechi dai quali non si può uscire se non con la retromarcia”.
A questo punto don Matteo Pinton dice di aver composto anche una preghiera con il titolo: “La preghiera della retromarcia”.
Il cedro nella Bibbia è sinonimo di potenza e di forza: cfr. Is 10,33-34; Ezech 31,1-18; Zac 11,1-2.
Medico dentista di Vicenza, amico di don Ottorino e della Congregazione.
A questo punto interviene don Matteo Pinton per leggere la sua preghiera, e tutte le sue parole vengono riportate in corsivo.
MI339,97 [25/27-12-1970]
97. Quante volte ho detto ad uno: «Scegli dieci persone a tuo piacimento, e confronta l'ora dei loro orologi con quella del tuo». Ma non c'è nulla da fare; quando si è totalmente accecati non c'è proprio nulla da fare. Don Matteo, mi fai un favore? Possiamo preparare una targhetta da esporre con queste parole: «Un uomo senza la retromarcia non è un uomo» o con una espressione simile. Non si potrebbe esporre questa frase? Potrebbe essere più efficace dell'altra: «Cerca l'ultima porta...». Potremmo esporla bene alla vista di tutti e, magari, anche stampare sul bollettino per gli Amici un disegno con la parola: «Retromarcia». Ma bisogna metterla bene in rilievo. Può essere un motivo che suscita in chi legge la domanda: «Che cosa vuol significare questo?». L'immagine del tassello fuori posto fa impressione alla gente, che si chiede: «Che cosa vuol dire questo?». E allora nasce l’occasione per una spiegazione. II pensiero che ho espresso prima è proprio questo. Ognuno ha l'impressione che il suo orologio sia esatto e che tutti gli altri, che non concordano con il suo, siano inesatti. La caduta di un «cedro del Libano» avviene proprio così. Qualche volta ho detto a qualcuno: «Non ti è mai passato per la testa il dubbio che sia tu a sbagliare?». Don Matteo, hai la preghiera della retromarcia? Dov'è? È meglio che tu vada a prenderla. Chiuderemo, poi, con la recita di questa preghiera. Se una frase di questo genere è esposta in pubblico, la gente domanda: «Che significato ha?», e allora nasce l’occasione per spiegare: «Nella vita può capitare questo e questo... e si sbaglia, e tante volte per puntiglio ci si ostina e non si ammette d'avere sbagliato. Se, invece, si cominciasse a dire: “Sì, ho sbagliato”, e lo si dicesse in famiglia, con la moglie, con i figli... Mi ha fatto impressione in una circostanza il fatto del dott. Tresso il quale mi ha raccontato d'avere dato uno schiaffo al figlio e di avergli poi chiesto scusa: «Gli ho chiesto scusa io, per carità!». Questo lo ha fatto crescere nella stima da parte del figlio. Il saper dire: «Ho sbagliato» non ci fa perdere, ma guadagnare la stima degli altri. Pensate che predica si potrebbe fare con una simile scritta alle persone che entrano in casa nostra! Potrebbe essere un'idea efficace per la nostra santificazione, ma anche un mezzo valido, oltre che per la nostra formazione in casa, anche per le persone esterne. Che cosa ne dite? Questo ci servirebbe come motivo per intavolare una conversazione con qualche persona.SLOGANS
APOSTOLO
VIZI
VIRTÙ
PREGHIERA
MI339,98 [25/27-12-1970]
98. «È avvenuto domenica scorsa: ho letto la preghiera della retromarcia alla fine della Messa nella chiesa dei Servi. Ci fu un grande silenzio. Ho detto: «Sono fuori tempo massimo, ma... sarebbe bello...». Era la IV domenica di Avvento; bisognava parlare proprio della preparazione alla venuta del Messia, quindi della conversione dai peccati. Si è parlato per tutto il tempo della predica di automobile e di retromarcia. Alla fine ho detto: «Bisognerebbe che facessimo insieme la preghiera in preparazione al Natale». Allora ho letto questa preghiera della retromarcia. C'è stato un profondo silenzio. Alla fine Girolamo, l'organista, mi ha detto: «Bisognerebbe che me ne desse una copia, perché ho una persona che ne ha bisogno». «O Signore, la mia macchina è senza retromarcia; la mia vita è senza riflessione e senza umiltà. Non sono capace di tornare indietro. Sento che ho imboccato un vicolo cieco, il mio egoismo mi ha accecato. Cerco solo le mie ragioni, i miei interessi. Sono bloccato e molti strombazzano attorno a me perché intralcio la strada. Ma non ho la retromarcia. E continuo a credere che sia personalità sfondare, fracassare, lasciar gridare gli altri. Siamo molti, Signore, a essere senza retromarcia, e la nostra vita è un groviglio indescrivibile: ci tamponiamo a vicenda e rimaniamo lì fermi, arrabbiati gli uni con gli altri. O Signore, tutto perché siamo senza retromarcia.PREGHIERA
MI339,99 [25/27-12-1970]
99. La reputiamo viltà, mancanza di personalità, e invece, Signore, sta proprio lì il segreto della nostra salvezza, della nostra conversione. O Signore, dammi tanta semplicità e umiltà, tanto senso del mio dovere e tanto coraggio, perché nella gran parte dei casi la vera personalità e la salvezza stanno nel riconoscere i propri errori, nel chiedere perdono e nel ricominciare da capo con il tuo aiuto e con la tua parola di speranza». A volte si parte da situazioni magari banali, futili, che creano in seguito un complesso di cose, e dopo, al momento in cui ci si accorge, perché prima o poi arriva questo momento per la luce che presto o tardi il Signore manda, proprio in quel momento bisogna essere tanto pieni di coraggio e dire: «No, ho sbagliato, ho sbagliato, e mi assumo tutte le mie responsabilità». Sarebbe importante riflettere sulla seconda parte della preghiera. Possiamo essere in tanti a sbagliare, e credere invece che sbaglino coloro che vanno diritto. Il vigile deve essere sempre presente se c’è il contatto con il Vangelo, con umiltà e nella preghiera. Prima Mario si chiedeva: «Che cosa...?», e successivamente don Ottorino ha richiamato quell'affermazione secondo cui adesso neanche più il Vangelo è in linea con i tempi. Insomma, a un dato momento, si vedono certe cose inconcepibili. Io ho anche discusso con qualche persona e ho chiesto: «Adesso lei parla tanto... Ha mai letto il Vangelo intero, una volta almeno?». Bisognerebbe leggerlo tutto in una settimana. Macché! Rispondono: «Sì, l'ho letto, lo abbiamo letto in chiesa, l'abbiamo predicato in chiesa».PREGHIERA
MI339,100 [25/27-12-1970]
100. Nessuno, però, lo ha letto tutto, perché ci sono certe pagine che sconvolgono dentro, ci sono affermazioni che fanno paura. Per esempio, quella frase che lei, don Ottorino, ha commentato lo scorso anno: «Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, voi lo ricevereste. E come potete credere, voi che mendicate gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo? Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza». E ce ne sono tanti di simili passi, cominciando dalle beatitudini, che certamente non portano sulla linea delle citazioni del presidente cinese Mao, ma su quella indicata anche dal Papa nel messaggio di questo Natale, nel quale il regno di Dio comincia con l'umiltà. Quando Cristo entrò nella vita terrena, non venne armato di parabellum: avrebbe potuto farlo... oppure avrebbe potuto dare agli Apostoli delle mitragliatrici, e con una mitragliatrice ciascuno i dodici Apostoli avrebbero potuto far saltare in aria l'impero romano. Il Signore avrebbe potuto farlo; sapeva che duemila anni dopo le avremmo inventate noi queste armi. Invece disse: «Lavatevi i piedi gli uni gli altri», che, insomma, è tutt'altro ragionamento. E questo è molto difficile dirlo perché, prima di tutto, è difficile praticarlo noi e poi, anche, farlo comprendere agli altri. Ed è, appunto, quello che si diceva parlando con Gianni, con i ragazzi, con il gruppo del Vangelo; si vede cioè che a un dato momento anche certe persone si sfaldano e ne rimangono tre o quattro. Ma se ne rimanesse anche uno solo, il Signore non cambierebbe la sua proposta. È bello vedere - qui mi sono scritto una nota - come «Gesù fugge gli equivoci terrestri», ed è tremendo pensarci, vedere nel santo Vangelo le varie volte che egli fugge questi equivoci. Ad esempio, nell’episodio delle tentazioni il demonio gli dice di trasformare le pietre in pane. Il Signore avrebbe potuto fare una bella montagna di pane fresco per tutti gli uomini e risolvere il problema del terzo mondo in anticipo, prima che questo problema esistesse: infatti allora era tutto terzo mondo... e invece non l'ha fatto, perché ha predicato solo l'amorePREGHIERA
MI339,101 [25/27-12-1970]
101. . E allora il Signore dice: «Non di solo pane vive l'uomo». Ci mancherebbe altro che ci avesse dato anche i soldi senza che facessimo fatica, perché aumentassimo il nostro egoismo! Di fronte a questa tentazione egli esclama: «Non di solo pane vive l'uomo». Nella seconda tentazione, all'invito di offrire uno spettacolo clamoroso, straordinario e vanaglorioso, di buttarsi cioè dal pinnacolo del tempio, il Signore risponde: «Non tentare il Signore Dio tuo». Qualche volta anche noi siamo tentati di fare le nostre calate, dal tempio alla bidonville e lì, magari, non predicare più il Vangelo, ma la rivendicazione e l'odio. E allora... belle calate! Invece il Signore dice: «Non tentare il Signore Dio tuo». Lo dice chiaramente. Mi ha fatto impressione il discorso tenuto da Carlo Carretto il 30 settembre, di cui ci sono anche dei ciclostilati, dove tratta appunto di questo: «Sì, è facile parlare dalla mattina alla sera dei campi di Emmaus e sporcarsi per cogliere degli stracci per fratelli lontani, ma quello non è amore se poi uno in casa sua tratta suo padre e sua madre come degli estranei, e la sorella non la guarda neppure». E c'è anche l'altro fatto, quello di Nazaret, per esempio. Il Signore Gesù a Nazaret, dice esplicitamente il Vangelo, «ha fatto pochi miracoli». Noi potremmo dire: lui è venuto per amare e poteva farli lo stesso, ma... «poiché non credevano in lui ha fatto pochi miracoli». E allora gli altri se la son presa con lui: «Medico, cura te stesso. Perché non fai da noi quello che hai fatto a Cafarnao? perché questo, perché quest'altro?». Perché il Signore vedeva in loro una voglia miracolistica e non la fede nel messia. Allora lui non fa i miracoli. Tante volte noi siamo tentati di continuare a fare, supponiamo, determinate opere anche di carità, a fare determinati miracoli, pur vedendo che continuiamo a fomentare un equivoco mentre la gente non crede in Dio. Dobbiamo fermarci se vediamo compromessa la fede in Dio con le nostre opere anche buone; il Signore non li ha fatti i miracoli, e volevano buttarlo giù dalla rupe. Poi c'è l'altro equivoco nella moltiplicazione dei pani. Alla fine della moltiplicazione dei pani vogliono farlo re: «Costui ci fa comodo: risana interamente il bilancio e tutto il resto».PREGHIERA
MI339,102 [25/27-12-1970]
102. «Allora, dice il Vangelo, egli fugge, solo, sul monte a pregare». Notiamo: solo, a pregare... e subito dopo ritorna, e a Cafarnao inizia un altro discorso, quello del pane di vita. E dice: «Voi mi cercate per questo pane; cercate piuttosto l'altro pane». La gente commenta: «Questo discorso è duro!». E lui non fa nessuna obiezione per spiegare: «Guardate che ho detto questo perché...», niente. Anzi dice: «Volete andarvene?», che significa: «Se non avete nessuna fiducia in me, andatevene; resto anche solo». Esiste anche il quarto mondo, quello del peccato, che è alla base della divisione in tre mondi. È stato una volta anche questo il tema di una predica, nella quale ho rilevato il fatto che si parla sempre di tre mondi. Un giorno ci ho riflettuto sopra perché, anche sfogliando le riviste, non è possibile trovare una definizione chiara dei tre mondi. E allora ne abbiamo parlato in chiesa prima della festa dell'Immacolata. Così, appunto, è nata la denominazione di un quarto mondo, quello che non può essere rappresentato in grafico nel mappamondo, quello che interessa le nostre anime, che non si vede camminare per le strade e che crediamo non esista, mentre sta alla base della divisione degli altri tre: ed è il mondo del peccato, della dimenticanza di Dio, della mancanza di amore, dell'egoismo... di cui possiamo far parte anche noi. Il terzo mondo è ricco di miserie e di fame, il quarto soltanto di peccati e di egoismi. Ma, allora, che cosa è venuto a fare il Signore? A liberare gli uomini dal quarto mondo. Però tutti lo hanno detto «idealista» e hanno gridato: «Vattene, adesso noi abbiamo maggiormente bisogno di pane. Facciamo una rivoluzione: ecco quello che interessa di più». Anche allora c'erano gli zeloti che volevano una rivoluzione concreta. «Sarete odiati da tutti per causa mia», ha detto il Signore. Saremo odiati dagli atei, dai terrestri, perché parliamo del cielo; saremo odiati dagli attuali cristiani zeloti, perché predichiamo l'amore; saremo giudicati conigli, perché predichiamo l'amore. Abbiamo ancora un quarto d'ora a nostra disposizione. «Liberami, Signore, dal pericolo di essere fariseo. Liberami, Signore, dal pericolo di dire: io non sono come i farisei, rapaci, ingiusti, superbi, prepotenti. Liberami, Signore, dal sentirmi in diritto di giudicare i miei fratelli.PREGHIERA
MI339,103 [25/27-12-1970]
103. Liberami, Signore, dal pericolo di essere contestatore. Liberami, Signore, dal pericolo di farmi bello delle tue parole solo per giudicare gli altri. Liberami, Signore, dal pericolo di non essere più un pubblicano che si pente, per erigermi a giudicare gli altri. Liberami, Signore, dal pericolo di fare mia la preghiera del fariseo. Liberami, Signore, dal pericolo di non invocare più il perdono dei peccati. Liberami, Signore, dal pericolo di inginocchiarmi pubblicano e di alzarmi fariseo, tronfio e superbo, violento e irriducibile, pieno di ira e di rancori verso coloro che sbagliano. Liberami, Signore, dal pericolo di lasciare il mio ultimo posto di pentimento, l'ultimo del tuo tempio, per potere amare te e farti amare con un cuore gonfio di amore». Come conclusione penso che questa sera, dopo avere meditato su tante verità, occorra anche renderci conto che possiamo tutti cadere nel peccato. Perciò non meravigliamoci se avremo debolezze e cadute. Penso che un domani possiamo fare uso di frasi forti che possono essere utili. Se a te, Marco, fa impressione un pensiero, una frase della Sacra Scrittura, la segnali e ne esce uno slogan come quello del quadratino fuori posto. Potrebbe essere una ricchezza per tutta la Congregazione. Forse qualcuno raccoglie quella semente e se ne serve: è quel sassolino che getti a terra e che un altro prende e adopera per costruire qualcosa. Allora chiudiamo.PREGHIERA
Don Ottorino riassume a questo punto, forse in un momento conclusivo, quanto detto nei due giorni del ritiro.
Forse l’allusione è alla concelebrazione eucaristica del mattino, nella quale don Guido Massignan e don Zeno Daniele possono essere stati fra i concelebranti come sacerdoti e don Giorgio Girolimetto come diacono.
Il riferimento è a Mario Corato.
La registrazione si interrompe improvvisamente per cui anche la riflessione finale di don Ottorino resta incompleta.
MI339,104 [25/27-12-1970]
104. L'ultima parte del nostro tema. Nella prima parte abbiamo visto un po' i doni di Dio nella nostra Famiglia; in altre parole ci siamo sforzati di vedere un po' la nostra Famiglia per renderci conto dove siamo stati chiamati. E perciò i grandi doni del Signore che sono stati dati in forma collettiva: i doni materiali e i doni spirituali. Abbiamo messo prima i doni materiali per preparare un po' l'ambiente; dovevamo mettere prima quelli spirituali, ma ho messo i materiali per primi perché fanno più impressione, e abbiamo cercato questo; da lì, preparato un po' l'animo, abbiamo considerato i doni spirituali. Arrivati a questo punto, abbiamo visto la grazia grande che noi abbiamo ricevuto con la chiamata di Dio in questa Famiglia religiosa. E vorrei ancora sottolineare questo aspetto. Sarebbe un'eresia dire: “La grazia grande di essere stati voi chiamati dove sono io”. No! Io e voi siamo stati chiamati dove c'è Dio. Avete capito? Questo è importante! Perciò sottolineo quel noi plurale. La grazia, grande, grande, che abbiamo ricevuto tutti nell'essere stati chiamati per questa missione. È importantissimo questo, sottolineare questo, perché dobbiamo sentirci tutti sullo stesso piano in fatto di missione. Che poi uno abbia una mansione particolare in chiesa, da sacerdote come don Guido e don Zeno stamattina, e che si presenti don Giorgio per ricevere la benedizione, questa è un'altra cosa. Ma poi, celebriamo insieme, ci comunichiamo insieme, lavoriamo insieme. Arrivati a questo punto ci siamo domandati: perché in mezzo a tanto fervore, in mezzo a tanti esempi buoni, c'è una dura realtà, e cioè di tanto in tanto si vede che qualcuno ci lascia o che qualcuno perde quota? Abbiamo cercato, anche in questo punto, di non giudicare gli altri, ma di vedere quale potrebbe essere la causa di una perdita di quota. Perciò abbiamo detto: “Se perdiamo quota, attenti! Vediamo se, per caso, mentre guardo l'altro che fa fuoco vicino all'ala destra, io magari ho la coda che sta bruciando”. Perciò io non giudico gli altri, anzi cerco di avere carità per gli altri, ma devo stare attento perché, per quanto è possibile, io devo togliere le cause. Si è fermata un po' la nostra discussione sulle cause che potrebbero portare a questo raffreddamento: uno non prega o prega così tanto per pregare, cioè non con la vera preghiera umile, la preghiera che desidera portare l'individuo a fare la volontà del Signore, che desidera salvare anime, far entrare insomma l'individuo nel piano di Dio per la salvezza delle anime, che vuol dire mettersi a disposizione di Dio pronti a qualunque cosa e anche a versare il sangue, come diceva bene ieri sera, quando parlava del martirio di Santo Stefano, Mario che ha illustrato che cosa vuol dire martirio. Se non arriviamo a quel punto, c'è veramente il pericolo anche per noi di perdere quota. E siamo arrivati al punto dove bisognerebbe chiudere ogni registrazione e fare una bella discussione fraterna, e dire: “Un momentino! Noi, in casa nostra, parliamoci fraternamente, proprio fraternamente...”.PREGHIERA