Don Ottorino inizia la meditazione commentando la vita della famiglia: Ugo Gandelli, Adriano Conocarpo e Franco Lunardon avevano manifestato la loro scelta per il diaconato permanente, e stavano allenandosi con qualche fervorino. Inoltre annuncia di aver invitato mons. Eugenio Dal Grande, insegnante di Sacra Scrittura nel seminario vescovile, per assistere ai loro esami teologici.
Nel testo registrato l’ultima parte della frase è in latino, ripetendo una nota formula liturgica. Don Ottorino invita a pensare ai confratelli riuniti a Resende in Brasile, dove don Aldo e don Giuseppe Rodighiero stavano animando un corso di preparazione al diaconato permanente.
Antonio Ferrari faceva parte della Comunità del Chaco (Argentina), ma si trovava a Resende per il corso riservato agli aspiranti diaconi.
Il riferimento è forse a Luigi Tonello, che all’epoca stava completando il corso teologico.
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1. Dopo la predica di ieri mattina del nostro padre Ugo, vien da arrossire incominciare a farne una noi. Non è vero, Ugo? Che ve ne pare? E abbiamo ancora da ascoltare il ragioniere Conocarpo la settimana ventura. Ascolteremo anche Franco? Ad ogni modo avremo la gioia di ascoltare anche gli altri diaconi. E poi, tra l'altro, ho sentito che anche il prof. Dal Grande avrà la gioia di ascoltarvi fra qualche giorno, e non solo lui! Intanto rivolgiamo il pensiero ai nostri amici di Resende che sono ancora a letto, ai quali va l’onore e la gloria nei secoli dei secoli. A Resende sono le tre e mezzo del mattino, perciò penso che siano ancora a letto, a meno che Antonio Ferrari o qualche altro confratello non stiano flagellandosi. È bello, però, sapere che, mentre noi siamo qui riuniti insieme davanti all'altare, fra qualche ora don Aldo celebrerà la Messa, insieme reciteranno le lodi, insieme faranno la meditazione, cioè sapere che altri fratelli sono riuniti con lo stesso ideale, per la stessa causa, noi lavorando qui e loro in un'altra parte del mondo. È una cosa meravigliosa! Preghiamo il Signore perché lo spirito di famiglia continui fra noi, anzi aumenti di giorno in giorno: il Signore ci conceda veramente la grazia di essere uniti in questo grande ideale e ci moltiplichi. Sei d’accordo, Luigi? Chi ha orecchi per intendere, intenda!COMUNITÀ
conduzione comunitaria
CONGREGAZIONE storia
DIACONATO diacono
MISSIONI
COMUNITÀ
unità
nella carità
COMUNITÀ
fraternità
Sono versi di una poesia popolare, che si facevano imparare anche ai bambini.
Termine dialettale veneto per bambino, figlio ancora piccolo, con una certa colorazione affettuosa nel caso concreto.
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2. Abbiamo visto nell'ultima meditazione la necessità dello spirito di preghiera, e siamo arrivati allo spirito di penitenza, secondo il quale, se non accettiamo dalle mani del Signore le croci che inevitabilmente ogni uomo incontra sul suo cammino, noi siamo degli egoisti. “Quando io nacqui, mi disse una voce: tu sei nato a portar la tua croce...” ci hanno insegnato quando eravamo piccoli, e abbiamo capito che baroni, signori, poveri, tutti portano la croce quaggiù. Quando sarete più avanti negli anni e avrete l'occasione di avvicinare la gente nel confessionale o fuori di esso, vi accorgerete che anche sotto il luccichio delle macchine e delle ricchezze c'è sempre una croce, c'è sempre una piaga. Siamo qui di passaggio, siamo diretti verso il Paradiso. Dobbiamo purificarci e noi dobbiamo pagare anche per gli altri: non dimentichiamocelo! Anche considerando la vita missionaria, pensando ai fratelli che sono in Brasile o nelle altre parti del mondo, non dobbiamo pensare a un trionfalismo: si va a predicare il Vangelo, ma prima a pagare, a pagare. E finché siamo ancora nella Casa dell'Immacolata, dobbiamo abituarci ad accettare dalle mani di Dio quello che il Signore ci manda. Così saremo sempre sorridenti, sempre sereni; non ci saranno giornate di pioggia. Che bello vedere, un domani, un uomo di Dio contento e sereno, anche se le cose vanno male, anche se ci sono delle difficoltà, e sentirlo dire: “Beh, pazienza, andiamo avanti! Vediamo un po', con l'aiuto di Dio, che cosa si può fare”! È come chi gioca a una partita a carte e la perde, e dice: “Pazienza! L'ho persa; un'altra volta la vincerò”, e la volta successiva perde ugualmente e dice: “Pazienza!”. Ma lui ce l'ha messa tutta per vincere. La vita, si può dire, è una partita a carte che si gioca senza interruzione: ce la mettiamo tutta perché riesca bene, ma... capita un incidente e noi non ci riusciamo. Pazienza! Offriremo al Signore anche questo, dicendo: “Ho fatto il mio dovere, mi sono sforzato!”. Se, invece, non ho fatto il mio dovere, chiedo perdono a Dio e poi... avanti! Bisogna avere proprio il senso dell’ottimismo, della serenità, che non vuol dire semplicismo. Dobbiamo mettercela tutta, come se tutto dipendesse da noi, ma poi dobbiamo metterci in pieno nelle mani del Signore. Scusate se ritorno ancora all'esempio di mia mamma. Quando impastava la torta, lei ce la metteva tutta perché riuscisse bene; poi dava la sua benedizione e diceva: “Signore, adesso arrangiati tu!”. E mentre si cuoceva, la torta formava talvolta una crosta bruciacchiata. “Ehi, Ottorino, guarda: si è bruciacchiata la crosta!”. “Non importa, mamma”, dicevo io. La torta veniva ribaltata ed io mangiavo la crosta, risolvendo così il doppio problema: anticipavo il gusto del dolce e rasserenavo mia mamma. Se era rimasta un po' disgustata, vedendo il suo “bocia” contento, diventava contenta anche lei. Non tutto il male vien per nuocere!PREGHIERA
PENITENZA
CROCE
VIZI egoismo
PASTORALE
NOVISSIMI paradiso
PENITENZA riparazione
MISSIONI vita missionaria
PAROLA DI DIO Vangelo
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CROCE difficoltà
APOSTOLO predicazione
APOSTOLO uomo di Dio
DOTI UMANE buona volontà
VIRTÙ
pazienza
CONVERSIONE esame di coscienza
DOTI UMANE ottimismo
VOLONTÀ
di DIO
VOLONTÀ
Zeno Daniele stava completando all’epoca il corso teologico e allo stesso tempo era animatore dei giovani del 1° anno dello stesso corso.
Anche per questa meditazione don Ottorino prende lo spunto da Note di spiritualità religiosa stese da don Matteo Pinton, che nomina sempre in maniera scherzosa. Le citazioni, tratte dalle pagine 186-188 di Scritti ispirati da don Ottorino, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.
Don Ottorino scherza fingendo che don Matteo sia morto per poter tesserne l’elogio.
La signora Eleonora Spada ved. Mistè era una benefattrice dell’Opera. Accolta come ospite nella Casa dell’Immacolata negli ultimi tempi della sua vita, era motivo di gravi difficoltà per chi la doveva assistere a causa dell’età e del carattere.
Nel testo registrato Don Ottorino pronuncia con difficoltà l'ultima parola per far capire plasticamente come non sia facile ringraziare il Signore per le croci.
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3. Dopo questa premessa, il cui scopo era quello di svegliare chi dormiva - non è vero, Zeno? - cominciamo la nostra meditazione, citando le parole profonde, difficili, teologiche del nostro padre Matteo, di felice memoria. «Un cuore pieno di fiducia in Dio soltanto sa ringraziarlo non solo dei doni, ma anche delle croci che Egli permette per il suo bene e per il bene delle anime». Naturalmente padre Matteo, quand'era ancora in vita, perché sapete che è morto da dieci anni, riusciva a ringraziare subito il Signore delle croci che gli mandava; qualche altro ci riuscirà magari dopo venti o trent'anni. Io direi: accettiamo le croci dalle mani del Signore, accettiamole con gioia, anche se non con gusto. Perché quanto al gusto è un’altra cosa. Infatti non si prova certamente gusto a masticare un tappo di sughero. Dobbiamo sforzarci di accettare le croci dalle mani di Dio, ma non pretendere anche di dire: “Signore, ti ringrazio perché hai fatto morire mia mamma”. Forse potremmo dire: “Ti ringrazio perché hai fatto morire la signora Spada”. Non è facile saper ringraziare per una croce. Che ne dici, padre Matteo? Occorre un certo eroismo quando, per esempio, capita una bocciatura, per riuscire a dire: “Signore, ti ringrazio perché sono stato bocciato... ti ringrazio perché non mi è riuscito un esame”. Io direi: accontentiamoci intanto di accettare le croci. Qualche anima grande, come quella del nostro caro padre Matteo, ai tempi d'una volta poteva arrivare anche a questo. Noi, poveri mortali, ci accontentiamo di accettare le croci dalle mani del Signore - non ti sembra, Franco? - e di dirgli: “Offro tutto a te!”. Poi, più tardi, passato un po' di tempo, gli diremo: “Signore, ti ringrazio!”. Quando lo ringraziamo? Quando siamo al sicuro, quando vediamo che il pneumatico che è scoppiato ci ha salvato la vita. O almeno diciamo: “Signore, ti ringrazio, e sia fatta la tua volontà!”. Ma siamo tanto egoisti. Parlo di me, don Matteo caro; ci è faticoso ringraziarlo, se non ci vediamo chiaro. Dico male, don Guido? Sarebbe già tanto poter dire: “Signore, accetto dalle tue mani... Sia fatta la tua volontà, e accetto con gioia, nel dolore e nella sofferenza...”, e poi, più avanti nel tempo: “Ti ringrazio, Signore, della forza che mi dai di fare la tua volontà”.DIO riconoscenza a...
CROCE
DOTI UMANE buona volontà
ESEMPI croce
VOLONTÀ
di DIO
VOLONTÀ
di DIO abbandono alla...
PROVVIDENZA benefattori
VIRTÙ
eroismo
VIZI egoismo
Marco Pinton, del 1° anno del corso teologico, è fratello di don Matteo: don Ottorino lo accomuna al fratello come esempio di accettazione delle croci e ne esalta lo spirito gioviale e allegro.
Il termine è usato evidentemente in tono scherzo da don Ottorino, come tutta la frase che segue.
Don Ottorino usa una espressione veneta molto caratteristica: “Far capele”.
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4. Se per caso stamattina morisse tua mamma, don Matteo, ti sarebbe difficile poter dire: “Signore, ti ringrazio perché hai chiamato in Paradiso mia mamma”. Eh! Forse sarebbe meno difficile dire: “Signore, ti ringrazio perché mi hai dato la forza di accettare con fede, con gioia - con gioia: ci capiamo! - la tua volontà”. Sarei contento che i nostri religiosi arrivassero a questo. Se poi qualche anima eletta, come Marco , può arrivare un pochino più in alto, pazienza... ci vuol sempre qualcuno un po' allegro nella compagnia. Anzi, statene sicuri, vi capiterà spesso di accorgervi che, passato un po' di tempo, quella che vi sembrava una disgrazia, era una grazia di Dio, un passaggio del Signore. E allora, io direi, fermatevi a guardare indietro; cercate di non vedere solo le cose gradite che il Signore vi ha dato, ma contemplate, con l'occhio della fede, anche quelle che apparentemente vi sembravano croci; allora vedrete anche con l'occhio umano, illuminato dalla fede, che quelle non erano croci, ma grazie, e avrete la forza di ringraziare il Signore anche di quelle. Se io dovessi volgere lo sguardo indietro, a questi trent'anni di sacerdozio, e fermarmi specialmente a considerare quello che il Signore ha fatto nella nostra Famiglia religiosa, dovrei ammettere che la maggior parte delle croci non erano croci: erano passaggi del Signore, pennellate del Signore, colpi di scalpello che il Signore doveva dare per formare la sua Famiglia religiosa. Supponiamo anche che qualcuno di voi, ad esempio Marco, sia stato una croce per me: “Oh, un vero disastro!”. Beh, Marco mi è servito in quel periodo, logicamente non finché l'avevo sulla spalle, ma dopo, per farmi stare in guardia affinché non ne venissero altri di simili. Per carità, perdonatemi lo scherzo. Può darsi benissimo che, voltandoci indietro, diciamo: “Guarda che croce!”. Tante volte, invece, sono croci permesse dal Signore perché, un domani, non accettiamo nella Congregazione persone e cose che potrebbero essere dannose in avvenire. Sicché avere qualche “angioletto” in casa può essere talvolta provvidenziale, perché ci fa mettere in guardia dall'accettarne troppi di questi “angioletti”, altrimenti faremmo un cielo in terra. Non è giusto che ce lo facciamo noi. Non è vero, don Guido? Che ne dici? Chi ha orecchi per intendere, intenda. Penso che tante croci, vere croci, siano state delle grazie e possano essere considerate come tali, perché ci hanno invitato ad essere prudenti per non fare errori maggiori. Non vi pare giusto? Anche un paracarro collocato in mezzo alla strada è un inciampo, ma può essere la salvezza se impedisce l'invasione dell’altra corsia e lo scontro con un'altra macchina. «Anzi il ringraziamento è correlativo alla disponibilità a fare tutto quello che Dio vuole per il suo Regno. Se mi ribello e lamento, se perdo la pace e la fede, se mi scoraggio... mi dimostro attaccato a dei motivi più o meno esplicitamente personali ed egoistici».VOLONTÀ
di DIO
VIRTÙ
fede
CROCE
GRAZIA grazie attuali
DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
DIO riconoscenza a...
CONGREGAZIONE
VIRTÙ
prudenza
Il termine dialettale significa “gelone”, ma don Ottorino in questo caso lo usa per indicare un dolore di lieve entità.
Nell’esempio molto vivace e concreto don Ottorino nomina dapprima Giuseppe Biasio, poi Ruggero Pinton e Zeno Daniele, tutti alunni del corso teologico. Quindi nomina Antonio Pernigotto e Battista Zorzo, che era il responsabile della colonia agricola di Grumolo delle Abbadesse (VI), alle cui dipendenze Antonio lavorava.
. Rom 12,15.
Don Ottorino scherza riferendosi ai lavori di restauro che si stavano facendo a Villa Valeri per ospitare benefattori anziani, e che erano seguiti personalmente da Zeno Daniele.
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5. Se non esigo che vi mettiate subito a cantare un “Te Deum” quando vi muore la mamma o il papà, però state attenti a non mettervi a suonare a morto per ogni “buganza” che vi capita addosso. Sapete che cosa vuol dire “buganza”? Non può accadere che ad ogni più piccola stupidaggine che capita si debba dire: “Oh, oggi si suona a morto, vero, Giuseppe?”! “Che cosa è successo?”. “Oh, la nonna gli ha detto che è cattivo”. Nel pomeriggio suona a morto don Ruggero. Perché? Zeno gli ha negato un sorriso a scuola. Più tardi suona a morto Antonio. Perché? Battista non gli ha mandato una bella letterina, e allora lui suona a morto. A un dato momento, allora, uno che è a capo di una Comunità di cinque o sei religiosi, ha il funerale in casa tre volte al giorno. Bisogna stare attenti a non ridurre le nostre Comunità a quel modo. Oggi muore la nonna a te, domani muore a me. Pazienza! Quando saranno morte tutt'e due, non avremo più nonne. A un dato momento bisogna avere anche la capacità di offrire al Signore, di “flere cum flentibus”, ma anche di “gaudere cum gaudentibus” Dobbiamo avere questa capacità di offrire tutto al Signore, di conservare il sorriso, nonostante si abbia qualcosa che fa soffrire. È necessario averla, specialmente nella vita apostolica. Lo fanno anche le persone del mondo per motivi umani. Negli aerei, per esempio, ci sono le assistenti di volo pagate per far sorrisi, specialmente quando scoppiano i temporali. Don Aldo, viaggiando in aereo verso Crotone, non ha passato un momento tanto bello, perché era scoppiato un temporalone. Ed esse sorridono, non so internamente, ma almeno esternamente. Ci sono persone, quindi, pagate per sorridere, per mostrare che non c'è nessun pericolo: “Io, che sono una donna, non ho paura... Ma, per carità, hanno paura?”. Zeno, non fanno così qualche volta? E lui avrà i sorrisi della Villa Valeri, perché là non c'è nessun pericolo: “Non abbia paura: i solai non cadono, le piastrelle sono bellissime!”. Se ci sono persone pagate nel mondo per sorridere, per imbrogliare la gente, non sarà possibile che noi, per amore di Cristo, dimostriamo di sapere sopportare qualcosa e conservare la gioia, nonostante qualche croce? Loro lo fanno per un motivo umano, e noi lo dobbiamo fare per un motivo soprannaturale. E questo è dimostrare chiaramente la nostra fede, dimostrare che crediamo al Paradiso, crediamo alla vita eterna, crediamo che non siamo soli, che abbiamo Dio con noi. Scusate se insisto su questo; bisogna stare attenti! Nelle Comunità si vedono spesso volti rannuvolati a destra, volti rannuvolati a sinistra; un giorno ha la luna uno, un giorno un altro. Bisogna che ci abituiamo fin da giovani a farci forti, ad essere superiori a queste cose.APOSTOLO uomo
COMUNITÀ
superiore
CROCE sofferenza
CROCE
DOTI UMANE ottimismo
MONDO
CONGREGAZIONE storia
ESEMPI croce
DIO amore a Dio
VIRTÙ
fede
NOVISSIMI paradiso
APOSTOLO testimonianza
COMUNITÀ
Il riferimento è a qualche benefattrice ospite, affidata alle cure di Zeno Daniele.
Il riferimento è a Tarcisio Magrin, che all’epoca frequentava il 3° anno del corso liceale.
Mt 26,39.
Don Ottorino scherza volentieri con il diacono Vinicio Picco, forse perché lo sentiva più vicino per età, suscitando una risata generale.
Il riferimento è al quarto viaggio di don Ottorino in America Latina, realizzato nei mesi di maggio e giugno del 1969, insieme con don Girolamo Venco.
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6. Un esempio. Oggi, supponiamo, uno di voi va a scuola. Poiché viene un po' umiliato, quando esce bisogna lasciarlo in pace fino a mezzogiorno di domani; bisogna che passi una notte, ventiquattro ore, prima che smetta il broncio. Eh, no! Almeno si dica: “Pazienza! Mi è capitata una croce; offriamola al Signore! E colpa mia? Domanderò perdono al Signore”. Non si deve far pesare su tutta la Comunità il proprio piccolo incidente. Un altro esempio. Zeno sale dalla signora... si prende quattro parolacce, discende e per una giornata... marcia funebre. Ma per carità! Stura una bottiglia e sta con il Papa. Bisogna reagire, e non far pesare sulla Comunità. Può capitare. State buoni! Tarcisio sorride come se non fosse vero. Può capitare che uno, una persona, un religioso, il quale abbia ricevuto un piccolo dispiacere, lo faccia pesare sulla Comunità, ma quando arriva un estraneo è tutto sorrisi, quando l'estraneo se ne va torna il temporale un'altra volta. Sono atteggiamenti da matti, robe da matti! Nelle famiglie a volte capita che marito e moglie si tengono il broncio. Giunge una persona e si mostrano sorridenti. Si richiude la porta: cambia registro e torna la... marcia funebre. È vero? State attenti che questo non capiti nelle Famiglie religiose: sarebbe una cosa che assolutamente non va. Se vedo che capita, vado via e mi faccio frate. «In certi momenti difficili la mia preghiera sia come quella di Gesù: “Padre, se è possibile, passi questo calice... tuttavia non come voglio io, ma come vuoi tu” ». Questo è importantissimo. C'è, per esempio, nella Comunità uno con il quale è difficile andare d'accordo perché... ha passato la cinquantina o la quarantina. Ehi, Vinicio, dove sei, caro tesoro? È naturale che a quell’età uno sia attaccato alla pipa, al sigaro, alla propria cameretta. Non è vero, Vinicio? Questo è facile. E allora, anime di Dio, non vogliate esigere, esigere. Bisogna patire un pochino e dire: “Signore, se è possibile, passi questo calice. Mi sforzerò di convincere Vinicio a cambiare stanza, ma se non ci riesco, sia fatta la tua volontà, Signore”. Propongo questi casi perché non sono veri, però guardate che tante volte noi vorremmo ridurre tutto secondo il nostro modo di pensare. Se siamo capaci, sennò pazienza: offriamo al Signore. Supponiamo d'essere in una casa e di voler dare la tinta verde ad una stanza: gli altri non sono d'accordo e allora ne facciamo una malattia. Diamo il rosso o il celeste! Perché vogliamo perdere la pace per quella sciocchezza? Bisogna saper cedere e offrire al Signore. È quello che dicevamo in Brasile e anche nelle altre Comunità con don Girolamo. Abbiamo messo l'unità della Comunità come prima cosa da raggiungere a qualunque costo, e per la quale bisogna essere pronti a pagare di persona tutto il prezzo. Per avere la carità nella Comunità bisogna donare un litro di sangue? Beh, se è possibile e siamo in quattro, diamone un quarto di litro ciascuno; se non è disposto nessuno, lo dono io. Dobbiamo essere pronti, disposti a pagare di persona tutto il prezzo, purché si conservi la carità e l'unità. Naturalmente questo costa! Ecco allora la preghiera: “Signore, io ce la metto tutta, ma se non è possibile... Padre, se tu vuoi... Sia fatta la tua volontà!”. In altre parole: bisogna partire disarmati anche qui. C'è un confratello che ha un certo difetto, un suo modo particolare di fare? È difficile andar d'accordo con lui? Si parta con l'intenzione di aiutarlo per mezzo della correzione fraterna, ma si inserisca sempre nella preghiera: “Signore, se questo è possibile, altrimenti sia fatta la tua volontà! Se è tua volontà che resti così, che sia motivo di penitenza per me, di penitenza per gli altri, sia fatta la tua volontà!”. Sbaglio, don Matteo? Sempre avremo croci, perciò chiediamo pure al Signore che ce ne liberi, ma mettiamo sempre questa firma in fondo alla nostra richiesta: “Signore, sia fatta la tua volontà!”. “Ma, - si potrebbe pensare - è possibile che il Signore voglia la sofferenza?”. Voi sforzatevi di accettarla e chiudete la vostra preghiera così: “Sia fatta la tua volontà”.CROCE sofferenze morali
CROCE prove
DIO amore a Dio
COMUNITÀ
VIRTÙ
fortezza
DOTI UMANE buona volontà
DOTI UMANE ottimismo
CONSACRAZIONE religioso
FAMIGLIA coppia
COMUNITÀ
fraternità
VIRTÙ
pazienza
COMUNITÀ
condivisione
COMUNITÀ
unità
nella carità
AUTOBIOGRAFIA viaggi
CROCE sangue
CARITÀ
CONSACRAZIONE generosità
PECCATO difetti
Evidentemente la battuta è scherzosa, priva di ogni allusione.
Il riferimento è a Giorgio Girolimetto, che con don Matteo aveva studiato filosofia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.
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7. «La mia consacrazione è risposta generosa ad un invito di Gesù ad essere come Lui redentore, anche sulla croce. La mia buona volontà dovrebbe rendermi disponibile alla sofferenza redentrice con Gesù, fino a spingermi a cercare occasioni volontarie di penitenza per amore di Dio e delle anime». Se non fate grandi penitenze volontarie, cercate almeno quelle piccole, quelle che si possono fare in famiglia. Una stanza è piena di polvere? Invece di metterti a brontolare, prendi uno straccio e spolverala. Ci sono delle carte per terra? Raccoglile e mettile nel cestino senza che nessuno se ne accorga. Sono stati abbandonati libri, riviste... la sera precedente hanno lasciato in disordine bicchieri e tutto il resto, al punto da far sembrare che siano passati i Lanzichenecchi? Beh, la mattina seguente tu, che sei il primo ad alzarti da letto perché vai a celebrare la Messa, metti in ordine senza dir niente a nessuno, offri al Signore. Si potrebbe obiettare: “Eh, ma è sempre così!”. A un dato momento allora dirai: “Ragazzi, per piacere: chi alla sera fa disordine, metta poi a posto. Se viene una persona non deve trovare disordine”. Penso che di queste penitenze ne possiamo fare tante: sono piccoli atti di carità, fatti senza ostentazione, senza che il fratello se ne accorga, ma che si possono compiere con semplicità. Quanti di questi atti possiamo fare anche nella nostra casa! Per esempio: vai ai servizi, vedi che vi manca la carta igienica, mettila. Vedi che c'è un po' di sporcizia: prendi un secchio d'acqua e ve la butti: nessuno sa niente e tu metti le cose a posto. Di questi atti ne potete compiere finché volete e il Signore, che li vede, li apprezza più che se vi metteste di notte, a luce spenta e a dorso nudo, a sferzare con il flagello... il letto anziché la schiena, come facevano quei santi frati di Monterotondo! «Se ogni giorno non è segnato da qualche sacrificio volontario in ciò che più piace alle proprie inclinazioni; se mi limito ad affermare di sopportare unicamente ciò che di inevitabilmente doloroso incontro, sfuggendo poi sempre matematicamente ciò che più mi costa nelle mie scelte concrete, non posso dirmi apostolo disponibile a tutto per la redenzione del mondo...». Si può dire che, qualche volta, noi passiamo le giornate cercando di sfuggire gli ostacoli, di evitare il più possibile tutto ciò che ci costa. Ricordiamoci, invece, che dovremmo andare noi in cerca di qualcosa per levarci il sangue. Bisogna dare un po' di sangue per la salvezza delle anime. «... anzi non essendo allenato alla rinuncia, al momento della prova sopporterò malamente le croci che Dio mi invia... e così a causa del mio egoismo rovinerò le occasioni più belle di amare divinamente». Una sola goccetta di sangue versata ogni giorno per amore del Signore con semplicità vi tiene in uno stato di donazione, per cui, a un dato momento, non barcollate se giunge una croce, perché siete in fase di dare, in atto di dare. I filosofi si esprimerebbero meglio di me, non è vero, Giorgio? Se io sono con le mani fisse al volante e attento, e capitasse un pericolo, mi troverei pronto; se invece fossi mezzo addormentato, andrei a sbattere contro un platano. L'essere sempre in atto di donazione al Signore anche nelle piccole cose, mi fa trovare preparato ad accettare anche un'umiliazione, un'ingiustizia, un'ingratitudine, come capita tante volte, da parte delle anime che ho aiutato.PENITENZA sacrificio
COMUNITÀ
servizio reciproco
ESEMPI sacrificio
FORMAZIONE educazione
COMUNITÀ
correzione fraterna
CARITÀ
amore al prossimo
VIRTÙ
semplicità
DIO amore a Dio
CROCE sangue
APOSTOLO salvezza delle anime
CROCE incomprensioni
VIRTÙ
umiltà
MI292,8 [30-01-1970]
8. «I miei voti sono la materia del mio olocausto di amore, sono segno della mia scelta pubblica e totalitaria soltanto di Dio e del suo Regno, solo se sono vissuti integralmente e generosamente, anche nei momenti in cui la rinuncia e il sacrificio si presentano in tutta la loro cruda e sanguinante realtà. I miei compromessi, le mie fughe da ciò che costa, le mie ribellioni, il mio concedermi certi lussi, certi angoli oscuri di piacere individuale (per esempio, tifo sportivo che mi rivela cedevole, hobby inutili che mi fanno perdere il tempo, eccetera), manifestano quanto spesso i miei voti siano solo un pezzo di carta e non il mio dono sull'altare di Dio, in cui si consuma il sacrificio di tutto me stesso, comprese quelle piccole cose che tanto mi piacciono e che nella loro inutilità mi fanno sfuggire occasioni su occasioni di assomigliare a Gesù, per essere come Lui, solo dono divino, anche nel segreto di una generosità che solo Dio può conoscere e apprezzare. Lo spirito di sacrificio è insieme con lo spirito di preghiera una componente essenziale della vita interiore e della santità. Anzi ne rivela la sua incompatibilità con l'egoismo». Anche nel campo umano, specialmente le mamme, si misurano dallo spirito di sacrificio che hanno. “Ah! quella donna, - si sente dire - quella mamma sempre in casa, poveretta! Ha pagato lei, sempre lei. Sì, sono andati d'accordo perché lei faceva tutto e si sacrificava”. Questo spirito di sacrificio è veramente meraviglioso! «È il saper soffrire, sopportare qualsiasi tipo di croce per la gloria di Dio, che mi può aiutare a fare sempre la sua divina volontà e il mio dovere. Senza lo spirito di sacrificio la mia preghiera perde il suo senso e rivelerà solo la mia ipocrisia; mentre d'altro canto il sacrificio non può essere puro, salvante e continuo, senza una vita di preghiera autentica e profonda». Termino la lettura perché restano ancora poche righe. «Preghiera e penitenza: ecco le basi per la lotta contro ogni egoismo. Guarito il mio cuore dall'egoismo verso Dio, saprò andare ai fratelli con un cuore divino, sovranamente pieno di amore, come è pieno di amore Dio stesso, per amarli come li ama Lui che li crea, li salva, li perdona, li attende, come ama, crea, salva, perdona, attende me». Nota bene dell'autore: «Lo spirito di sacrificio, attuato anche nelle piccole cose, come mezzo di espiazione, diviene per me segno di sincerità nelle mie continue richieste di perdono a Dio; senza dire che tiene continuamente l'animo purificato e disponibile di fronte alle esigenze della Parola di Dio e dell'obbedienza».FAMIGLIA mamma
PENITENZA sacrificio
Accademia fondata a Firenze nel 1583 con l’intento di mantenere pura ed elegante la lingua italiana. Qui don Ottorino scherza, volendo mettere in risalto il valore dell’opuscolo steso da don Matteo.
MI292,9 [30-01-1970]
9. Io farei la proposta di nominare l'autore di questo scritto membro dell'Accademia della Crusca. Che ne dite voi? Facciamolo diventare accademico anche lui, poveretto, altrimenti potrebbe avere un po' d'invidia. Che vi pare di queste meditazioni? Adesso ve ne verrà dispensata una copia ciclostilata, per cui qualche volta potreste ripetere, con calma, alcune di queste meditazioni per conto vostro o farne testo di lettura spirituale, perché sono verità che vanno un po' masticate. Le prime specialmente, quelle che trattano della famiglia, dell'essere sposati con Dio, cioè dell'essere interamente donati a Dio, se le mettiamo un po' a fuoco e cerchiamo di meditarle spesso, ci offriranno una base per le nostra vita consacrata, daranno un colore a tutta la nostra giornata. Alcune potranno essere un po' pesanti, ma portate pazienza perché senza fatica e sacrificio non potremo assolutamente farci santi.COMUNITÀ
conduzione comunitaria
FORMAZIONE
CONSACRAZIONE vita religiosa
CONSACRAZIONE santità