Per la solenne ordinazione dei primi sette diaconi permanenti della Congregazione il 22.1.1969 nella cattedrale di Vicenza erano stati invitati alcuni operatori della TV, che vennero naturalmente ospitati nella Casa dell’Immacolata.
Giampietro Fabris frequentava all’epoca il 1° anno del corso teologico.
Giuseppe Biasio, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico, era soprannominato “rompipennini”, probabilmente perché lavorava come ragioniere in contabilità.
MI260,1 [24-01-1969]
1. Sia lodato Gesù Cristo! Questa mattina avrei pensato di cambiare metodo di meditazione, e cioè di non fare io la meditazione, ma di chiamare qualcuno di voi a dire una parola. Abbiamo vissuto in questi giorni tante esperienze: abbiamo avuto, in pratica, un passaggio del Signore e, tra le cose che ci hanno colpito e che portano un po’ il sigillo del passaggio del Signore, c’è stato anche l’incontro con un gruppo di operatori della televisione. Pertanto vorrei sentire questa mattina qualcuno dei fratelli perché cogliesse un po’ il segno del Signore anche negli incontri che abbiamo avuto con queste persone. Ieri sera ho incontrato qualcuno, nel corridoio, e gli ho detto... Ho già avvisato chi deve dire una parola, non una predica, ma un pensiero così alla buona. Il primo estratto dalla fortuna è stato il nostro caro Fabris, il secondo il diacono Giovanni Orfano, il terzo pare sia lo ‘schincapenne’ Giuseppe, e l’ultimo, per concludere un po’ e tirare i fili, sarà il nostro carissimo don Girolamo.CONGREGAZIONE storia
DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
COMUNITÀ
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Giovanni Orfano faceva parte del gruppo dei sette diaconi consacrati due giorni prima, come pure Vinicio Picco, nominato subito dopo.
Aiuto regista dell’équipe televisiva venuta a registrare l’avvenimento dell’ordinazione dei primi diaconi permanenti a Vicenza.
Famosi banditi americani della fine del secolo XIX delle cui gesta furono girati parecchi film. Era di moda per gli uomini, in quei tempi, vestire come soprabito un lungo spolverino.
Don Girolamo Venco era all’epoca vicedirettore della Casa dell’Immacolata per le sezioni del corso liceale e di quello teologico.
MI260,2 [24-01-1969]
2. Bisogna che stia attento a non fare la parte del leone, altrimenti Giuseppe e gli altri non troveranno niente da dire. Comunque io inizio raccontando il fatto. Non tutti c’erano l’altra sera in refettorio e quindi chi c’era informi gli altri in modo che sentano come sono andate le cose. All’inizio eravamo in pochi; giù, in refettorio erano scesi gli operatori della troupe della televisione, poi vi siamo andati noi, io, Giovanni Orfano e qualche altro; don Ottorino e il regista non c’erano. Lì si cominciò a parlare a gruppetti. Inizialmente io ero con Vinicio: parlavamo con l’aiuto operatore, quello con i baffetti e con il giaccone in pelle. Poi mi sono unito a Giuseppe: insieme abbiamo parlato con il tecnico del suono. Alla fine, quando è arrivato don Ottorino, mi trovavo con Giovanni Orfano a parlare con Fantoni, quello con il soprabito alla ‘Bonnie and Clyde”. Comunque lì si è notato subito l’atmosfera che si era creata e il rapporto che c’era fra noi e loro. La prima sera del loro arrivo io non li ho visti, ma mi avevano detto che non guardavano e non salutavano nessuno, squadravano solo e basta. L’altra sera, invece, si parlava proprio amichevolmente, tanto che Vinicio e quello con i baffetti si davano del tu, e don Girolamo e l’altro baffuto lo stesso. Comunque i discorsi erano tutti imperniati sulle cose nostre: o direttamente sulla Congregazione o su argomenti religiosi, e gli operatori erano molto ben disposti ad accettarli. È questa la prima osservazione che si può fare. A un certo punto Fantoni, che si trovava con Giovanni, - la discussione era abbastanza animata e si parlava dei santi che sono tutti matti... Don Ottorino era entrato da poco ed era andato a sedersi a capo tavola con il regista - ha detto: “I santi sono tutti matti, ma non come questo, perché, se hanno fatto il passo che hanno fatto, devono essere matti per forza”. Stava dicendo che anche don Ottorino aveva un rametto di pazzia, quando il regista si è girato e l’ha chiamato: “Fantoni, venga qui”. Accanto a lui c’era una sedia libera. Ma Fantoni ha risposto: “No, altrimenti sente che sto parlando male dei preti, ed è per questo che vuole tirarmi via”, e aggiunse: “Don Ottorino, stavo parlando male di lei; dicevo che i santi sono tutti matti”. E allora don Ottorino ha preso la palla al balzo e ha detto: “Sono matto, non poco, ma tanto, e penso che il matto me l’abbia fatto fare il Signore”. E allora ha cominciato a dire: “Qui non parlo più con gli operatori della televisione; adesso parlo con degli amici”. Quindi ha cominciato a raccontare il fatto di Francesco Giuliari, alcuni fatti dell’inizio dell’Istituto, della provvidenza, quando l’acqua arrivava fino alla bocca e sempre all’ultimo momento arrivava la soluzione. Loro sono rimasti molto impressionati proprio da questi fatti perché sono miracoli. E non si sono messi a fare i razionalisti davanti a questi fatti, ma li hanno accettati. Non si sono messi a discutere chiedendosi: “Sarà vero? Non sarà vero?”. Uno di loro ha anche detto: “Eh, noi vediamo subito negli occhi se uno dice il vero o se sta raccontando fandonie”. Infatti si sono mostrati molto interessati, tanto che a un certo punto don Ottorino ha detto. “Adesso basta, altrimenti vi faccio la predica!”. “No, no! - hanno detto - Vada avanti ancora!”. Siamo rimasti laggiù un’ora e mezza. Non so quanto abbia parlato don Ottorino. Comunque, ad un certo punto, il regista voleva che uno andasse a prendere lampade e cinepresa e si ripetesse la scena per mandarla in onda alla televisione. “È così bello! - commentò - Perché non possiamo inviare queste scene che sono quelle del vostro Istituto che più vi rappresentano?”. Don Ottorino non ha voluto, e anche Fantoni ha detto che lì si era creato un momento magico che la televisione non avrebbe potuto rendere. Però dopo, quando don Ottorino - don Ottorino ha fatto anche degli appunti - ha detto: “Il Signore ci vuole bene...”, e ha approfittato per dimostrare che ci vuole bene, che anche se uno sbaglia il Signore lo perdona ed è sempre disposto a riprenderlo. Non si sa quali frasi li abbiano impressionati di più. Dopo don Girolamo vi dirà anche qualche risultato pratico che si è ottenuto.CONGREGAZIONE
CONGREGAZIONE storia
DOTI UMANE televisione
CONSACRAZIONE santità
AUTOBIOGRAFIA
Don Venanzio Gasparoni era all’epoca vicedirettore della Casa dell’Immacolata per le sezioni della scuola media e ginnasiale, e incaricato vocazionale.
MI260,3 [24-01-1969]
3. Comunque, per quanto riguarda l’interesse della gente, la prima osservazione che mi viene da fare è che noi non dobbiamo avere paura. Questo ce l’ha detto anche Fantoni proprio ieri mattina prima di partire: “Non dovete avere paura; dovete rischiare e sapere che la gente è molto, molto ben disposta verso di voi, verso la gente di Chiesa. All’inizio sta sulle sue, ma se uno riesce con l’amicizia e ha veramente un messaggio da dare, la gente è molto ben disposta ad accettarlo”. Ma ci deve essere anche la disponibilità da parte nostra di comunicare il messaggio che abbiamo. Proprio Fantoni l’ha detto, appena alzati: “Guarda un po’! Dovevo venire a Vicenza per sentire queste cose. Credevo che il seme della santità fosse morto e invece la trovo ancora!”. È una frase che fa pensare. Dovevano proprio venire a Vicenza per trovare questo? Noi, se non avessimo dato loro la nostra testimonianza, l’ha notato anche don Ottorino, avremmo fatto un peccato di omissione. Non abbiamo fatto niente di speciale nel dare loro quel po’ di gioia che abbiamo dato. L’hanno notato anche loro: “La gente ha bisogno di respirare ogni tanto una boccata di aria pura, un po’ di ossigeno”. Si vedeva che sono partiti con i polmoni proprio pieni perché tutti hanno ricevuto, e anche noi, dando, abbiamo ricevuto. Si è proprio constatato che meno pretese si hanno e più si fa, perché si lascia fare di più al Signore. Noi vi abbiamo messo la nostra amicizia, le nostre doti; don Ottorino con la sua personalità si è imposto ed è anche per questo che sono stati, senz’altro, più disposti ad accettare quel che diceva; don Girolamo, con le sue doti, ha conquistato l’altro; don Venanzio, con il suo modo di fare, l’altro. Tutti hanno messo la loro parte, e infine il Signore ci ha messo la sua e ne sono venuti i risultati. Ecco, questa nostra disponibilità è indispensabile, e se noi siamo veramente come il Signore ci vuole, allora facciamo quello che il Signore vuole fare, altrimenti non facciamo nulla. Don Ottorino ci ha detto: “Questo è niente. Chissà che cosa può fare il Signore con noi se noi siamo nelle sue mani!”. Io dico che è stata bella la cerimonia di ieri mattina in cattedrale. Lo Spirito Santo lo avranno ricevuto i diaconi, ma l’altra sera in refettorio hanno visto tutti lo Spirito Santo, senza l’imposizione delle mani del vescovo; lì si sentiva che si poteva veramente toccarlo con la mano. Penso che l’abbiano toccato anche gli altri. Comunque adesso io non voglio andare troppo avanti perché poi Giuseppe non avrebbe niente da dire. Ecco, se questi sono i frutti, vuol dire che non siamo poi tanto cattivi, che qualcosa di buono lo facciamo e perciò il Signore ci benedice. Si vede che siamo sulla strada giusta.CONGREGAZIONE missione
CONSACRAZIONE santità
PECCATO omissioni
APOSTOLO testimonianza
DOTI UMANE personalità
DOTI UMANE collaborazione
DOTI UMANE disponibilità
VOLONTÀ
di DIO
VOLONTÀ
di DIO abbandono alla...
Si tratta del film “Il Vangelo secondo Matteo”.
MI260,4 [24-01-1969]
4. Intanto vorrei dire che Fabris è andato troppo avanti e ha portato via il pane a tutti, non solo a me. Per riallacciarmi un po’ a quello che diceva: è stata proprio una storia curiosa perché, prima di scendere in refettorio, gli operatori erano nel reparto meccanica, che stavamo guardando insieme con il regista. Tante volte basta una stupidaggine, magari un’occasione inventata come è stata quella di portarsi in refettorio e aprire una bottiglia, tant’è vero che don Ottorino ha detto, mi pare, al regista e agli altri: “Beh, adesso abbiamo finito; è meglio che continuiamo domani...”, perché si era là a discutere: “Facciamo o non facciamo queste riprese?”. Allora l’operatore ha detto: “Mah! C’è poca luce! Bisogna stare qui a fare tutto l’impianto di illuminazione. Domani mattina, se verrà un po’ di luce, ci sarà una prospettiva spettacolare qui dentro...”. Insomma il regista si è lasciato convincere, e allora don Ottorino ha detto: “Beh, mentre studiamo il da farsi, andiamo e vi offro una bottiglia. Così prendete una bottiglia e andate via”. Loro hanno accettato molto volentieri anche perché, a quanto pare, quella gente ci teneva a mangiare e bere. Mentre don Ottorino usciva insieme con il regista, l’operatore, che non so come si chiama... Aldo... beh, quello con i baffi, il ‘baffo’ prima e poi gli altri hanno detto: “Adesso andiamo di là a bere una bottiglia”. “E chi la offre?”. E l’altro subito: “La offre il padre”. “Beh, insomma, meno male!”. E allora siamo venuti di qua e siamo scesi. Io sono arrivato un po’ in ritardo con don Ottorino e mi sono in messo in fondo, proprio vicino al dottor Fantoni. Si è cominciato a parlare, e il dottor Fantoni, un po’ contestatario nel suo modo di fare, ha cominciato a dire che la parrocchia al giorno d’oggi non ha più la sua funzione, impostata tradizionalmente non svolge più il suo compito come una volta... bisogna allargarsi, bisogna dare, mettercela tutta, stare con i tempi, insomma; più che un territorio bisogna prendere le persone per categorie, sapere fare parrocchia veramente così... Però noi abbiamo detto più o meno come intendiamo farla noi. Lì c’era l’autista, quello alto, amico di don Venanzio, che ascoltava mentre don Ottorino parlava. Ad un certo momento è saltato fuori e ha detto: “Ma questo è quello che dovete fare voi diaconi!!”. “Bene!! - ho detto - Questo mi piace perché è riuscito a cogliere proprio quello che è un po’ come pensiamo noi il nostro diaconato”. Come vi dicevo, s’è cominciato a discutere con il dott. Fantoni così, poi è uscita la questione del film di Pasolini sulla vita di Cristo, poi ha osservato che i cattolici non si sono messi per niente dentro al cinema e si è dovuto arrivare a un marxista per fare un film del genere. E allora abbiamo cominciato a discutere che il film era stato fatto bene e che il cristianesimo è qualcosa di più che una sociologia. “Sì, è vero, però...”, ha risposto Fantoni. Gli abbiamo dovuto dare atto perché, almeno a mio avviso, un marxista è riuscito a scrivere meglio di tutti gli altri che hanno fatto la stessa cosa, però non bisogna fermarsi lì, andare più avanti, entrare in quello che è il cristianesimo. Intanto si è detto: “Beh, ma bisogna essere dei santi!”, e così si è riallacciato il discorso di prima. Allora don Ottorino, a quanto mi pare, ha captato qualcosa o chissà come mai l’ha accalappiato, anche perché il regista voleva che andasse vicino a lui, mentre lui sarebbe stato più volentieri in fondo a chiacchierare ancora un po’. Comunque questo è stato l’avvio che ha portato a quella discussioni. Credo proprio che qualche volta occorre afferrare le occasioni e anche crearsele, perché quello è stato il motivo che dopo ha fatto partire tutta quella discussione, come diceva giustamente Giampietro. Insomma bisogna saper approfittare delle occasioni e buttarci dentro.APOSTOLO testimonianza
CONGREGAZIONE storia
CARITÀ
PASTORALE parrocchia
DIACONATO diacono
Settimanale popolare italiano di grande tiratura.
MI260,5 [24-01-1969]
5. Qui bisognerebbe sottoscrivere tutto quello che è stato detto, però, alcune riflessioni si potrebbero fare, anche per non aggiungere dell’altro, altrimenti dovrei fare il cronista di “Gente”. Dico soltanto questo: io sono rimasto sconcertato per i fatti vissuti, da sabato fino all’altro ieri, perché si è visto come il Signore sia passato in modo veramente inaspettato. Abbiamo visto la faccenda di sabato, abbiamo visto quanto è avvenuto la mattina di mercoledì e il pomeriggio: sono momenti che noi giovani non dovremmo certamente lasciare passare inosservati perché quando le grazie passano, passano e non ritornano. Io dico che bisognerebbe soprattutto essere aperti a scoprire quelli che sono i piccoli, per così dire, segreti, che il Signore dà. Fra due anni io sarò prete e non vi nascondo che tante volte mi interessa vedere come si potrebbe arrivare a presentare sempre più e sempre meglio il messaggio che Nostro Signore ci affida. Se si osserva l’opinione pubblica è facile lasciarsi trasportare da quella che è la mentalità della contestazione, e cioè dare la massima esaltazione a quelle che sono le nostre scienze umane e tralasciare piuttosto il contenuto del messaggio che il Signore ci manda a portare. Ebbene, mi sono reso conto, proprio mercoledì pomeriggio, che quello che il Signore vuole da noi non è tanto il dato di cronaca, il dato di fatto oppure l’idea A o l’idea B che circolano e che vagano, ma piuttosto quello che si vive e soprattutto quello che si soffre, perché, a prescindere da quello che don Ottorino qui presente diceva, ciò che ha colpito quella gente è stato soprattutto il nostro animo, che soffriva finché essi parlavano e nello stesso tempo gioiva perché dava. Ecco, io credo che dovremmo, soprattutto finché siamo giovani, approfittare perché non è vero che Dio sia morto, come la teologia protestante cerca di dimostrare oppure come cantano certe canzonette che sono in voga. Io credo che Nostro Signore sia vivo e vivo soprattutto nella gente perché la gente lo desidera. È stata una prova veramente edificante quella di questa gente, la più disparata, gente abituata a viaggiare, a trovarsi in circostanze e in ambienti diversissimi. Eppure un sottofondo cristiano, umano, fa sì che, insomma, in qualsiasi circostanza questa gente desideri e possa arrivare a Nostro Signore. Un altro fatto, poi, mi ha colpito soprattutto in questi giorni: la verità della frase “l’apostolo deve dare”. Don Ottorino ha trovato il campo, umanamente parlando, pronto per portare il suo messaggio; noi abbiamo fatto di tutto, con l’amicizia, per prepararlo. Una cosa che dovremmo senz’altro approfondire è proprio questa: aprirci a quelle che sono le nostre doti e dare agli altri, innanzitutto ai nostri qui in casa, e poi anche agli altri, quella che è l’attenzione, la ricerca di fare qualche cosa per loro, l’aiuto da portare. Questa potrebbe essere la chiave di volta, non dico per convertire, ma per portare almeno una scintilla, qualche cosa alle persone. Concludendo si potrebbe dire: noi abbiamo una ricchezza veramente grande alla quale, forse, finché si è giovani, non si dà sufficiente peso. Dovremmo senz’altro approfondire questa riflessione ed essere sicuri che se noi corrisponderemo sempre e in modo generoso, la parola di nostro Signore non andrà certamente a vuoto, anzi colpirà e colpirà dei buoni pesci.APOSTOLO testimonianza
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DIO
CHIESA cristianesimo
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DOTI UMANE
CONSACRAZIONE
DOTI UMANE corrispondenza
Era appena morto tragicamente Lino Zuin.
Antonio Bottegal frequentava all’epoca il 2° anno del corso teologico.
MI260,6 [24-01-1969]
6 Ci sarebbero tanti altri che avrebbero qualcosa da dire, comunque vi comunico una riflessione che facevo ieri sera con Vinicio e don Ottorino. Se sabato e domenica si faceva fatica a dormire per il dispiacere, io ieri ho fatto fatica a dormire per la gioia. Eppure, sapete, non sono uno che dorma poco! È stata per me una cosa indescrivibile. Però credo che questa conclusione sia stata un po’ il frutto del lavoro di tutti quanti, perché quando sono arrivati qua quei tipi dell’ “intelligentia” laica, i primi tre di loro si aspettavano di trovare dei diaconi sposati, di trovare delle novità, e invece hanno trovato noi: hanno parlato con don Ottorino, con l’uno, con l’altro, ma si è parlato con semplicità, con bontà. E anche il giorno dopo, in cattedrale, si è cercato di essere a loro servizio, si è cercato di far capire che anche loro stavano facendo un’opera buona, cioè in pratica li abbiamo conquistati tutti quanti con l’amicizia. Don Ottorino ha detto che quando è sceso in refettorio e ha preso in mano la situazione c’era già un clima adatto, un ambiente preparato. Io penso che tutti coloro che erano presenti non se lo dimenticheranno. Io non so perché il Signore abbia dato a me la gioia di dare l’assoluzione a uno di loro e di confessarlo per la strada, perché io l’ho confessato quando voi li avete salutati; io sono partito a braccetto con lui per la strada e sono andato fino al bar San Gaetano, poi siamo ritornati per la strada, abbiamo fatto un giro in cortile e, così, abbiamo fatto le nostre cose. È la prima volta che capita a me una cosa del genere; a don Ottorino è capitata qualche altra volta... io non so proprio perché è capitato a me. A quanto pare, anche dalle domande che facevano, erano venuti per trovare la contestazione anche a Vicenza, perché l’argomento del giorno è la contestazione. Anche Fantoni lo chiedeva: “Qua, com’è con il vostro vescovo?”. In questi giorni mi è parso di avere capito una cosa, e cioè che don Ottorino talvolta ha un certo modo di fare, di trattare con il vescovo, come per esempio per la questione del diaconato, che per me che sono giovane, e penso anche per voi che siete giovani, che sembra un agire diplomatico. Cioè, alle volte, certi atti che lui fa, io non li farei perché mi parrebbe quasi che siano politica; cioè, certi modi che lui usa per arrivare a ottenere una cosa che pare sia voluta dal Signore, a me sembravano politica, e invece mi sono accorto, e ho cercato anche di farlo capire ai giovani della mia parrocchia, che questo è frutto squisito della carità. Infatti se si può arrivare ad una cosa con la carità, facendo contenti sia noi che la raggiungiamo, sia l’altro che ce la dà, è meglio procedere così perché così ci ha insegnato il Signore. E io sono convinto che alle volte noi pensiamo di ottenere le cose magari andando direttamente, cioè quasi contestando, usando i modi forti, e invece rimaniamo scontenti noi, non otteniamo quello che cerchiamo, quello che vogliamo, e facciamo star male gli altri. Io penso che la cosa che ha colpito, e che mi sono sforzato anche di farla capire, e penso che l’abbiano fatto pure tutti gli altri, sia questo modo di fare con bontà e ottenere, perché con la bontà si ottiene quello che si vuole. Mi pare che questo l’abbiano proprio capito anche loro. Non so neanch’io come si sia creato questo clima che c’era giù in refettorio e che è continuato, poi, tutto ieri, perché anche ieri mattina si è continuato su quel tono e in quel clima. Mi diceva Bottegal, che li aveva accompagnati all’albero in tre: il regista e Bersellini, l’operatore, quello dei baffi, e un altro che non ricordo neanche chi fosse, che per la strada commentavano questi fatti e avevano gli occhi rossi, veramente. “Abbiamo respirato - dicevano - un po’ di purezza, un po’ di serenità”. Infatti si sono meravigliati della serenità che ci sprizzava dagli occhi. E questo è quello che ha fatto impressione a me, e cioè che quella gente, che forse è la più preparata a contestare e a discutere, perché loro, come ha detto Fantoni: “Noi i problemi del cristianesimo li viviamo forse meno cristianamente di voi, ma più drammaticamente”, si mettono in mezzo, però tra noi non è mai venuto fuori un momento di discussione, come mi pare. Vinicio, che ne dici? Abbiamo parlato così, da amici.APOSTOLO testimonianza
CONGREGAZIONE storia
CROCE sofferenza
DIACONATO diacono
DOTI UMANE amicizia
GRAZIA Confessione
CHIESA Vescovo
VOLONTÀ
di DIO
CARITÀ
PASTORALE parrocchia
VIRTÙ
dolcezza
MI260,7 [24-01-1969]
7. Io, per esempio, la mattina in cui ero in cattedrale, ho chiesto a loro quale diaframma dovevo adoperare per la macchina: l’ho chiesto così, con semplicità, e ho visto l’operatore tutto disposto che veniva a dirmi: “Adopera questo diaframma, adopera quest’altro, sta’ attento a questo, sta’ attento a quello”. Cioè, basta metterci al nostro posto e trattare la gente con bontà. Io penso che siano utili tante cose che studiamo; sono utili, utilissime senz’altro per darci una certa quadratura, ma l’indispensabile è l’altro, insomma, cioè avere qualcosa dentro di noi per cui... Non so, ecco, mi pare che dobbiamo essere dei catalizzatori, cioè coloro che fanno scoccare la reazione tra Dio e loro. Infatti chi di noi avrebbe pensato una cosa del genere? Eravamo già tutti diffidenti verso il mondo di quella gente. Se pensiamo alla vita che fanno, essi che vanno da Vicenza a Roma, da Roma in Svezia, in Africa, eccetera; che girano in tutte le parti del mondo e non trovano certo città buone come Vicenza. Quando vanno in certi luoghi, in certe città del nord, frequentano certi ambienti... per cui loro hanno una certa difficoltà. Da noi, forse, c’era fino adesso l’opinione che fosse gente già perduta o che so io. Invece abbiamo visto che il Signore... Tutti hanno un fondo buono; basta sapere far proprio da catalizzatori, lasciar passare la grazia del Signore. Mi pare che sia questo quello che don Ottorino vuole farci andar dentro, insomma. Cultura sì e altre cose, come saper parlare, sapere tante altre cose, ma prima di tutto lasciar passare la grazia del Signore. Ecco, io faccio anche fatica a dirvi altre cose. Comunque l’operatore mi ha tanto raccomandato che andando a Milano vada a trovarlo: “Se avete bisogno di qualche cosa, non abbiate paura, verrò. Se avete bisogno di materiali vi aiuterò”. Insomma questa gente ha tanta disponibilità. Io penso che si può fare del bene anche nel loro campo e che, da questo incontro, saremo anche facilitati se vorremo documentare qualche cosa. Forse ve lo avrà già detto anche don Ottorino che il regista è andato via conquistato, tanto che all’aeroporto ha baciato don Ottorino e Bottegal, ha baciato me e ci ha raccomandato: “Quando venite a Roma, venite a trovarmi, non solo perché avete bisogno, ma soprattutto per questo contatto di amicizia umana”. Amicizia, però, che è fondata su qualcosa d’altro e non è solo umana. Perché il loro ambiente è difficile. Lo diceva uno di loro: “Voi, qui, siete in un ambiente fortunato; il nostro è fatto di sgambetti, di raccomandazioni. Come si fa a vivere così?”. E allora don Ottorino portava un esempio che non ricordo bene, mi pare quello dell’arancio: cioè bisogna saper prendere gli uomini con quel bene o quel male che hanno, cioè con le loro virtù e difetti, e essere ottimisti, insomma, nei riguardi degli altri; vedere il buono che c’è in tutti. E noi, prima di tutti, abbiamo visto che anche in loro c’era tanta, tanta buona pasta. Occorre insomma, saper lasciare passare la grazia del Signore, incanalarla. Sia lodato Gesù Cristo!APOSTOLO vita interiore
GRAZIA
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DOTI UMANE amicizia
SOCIETÀ
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